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Crisi climatica / Attualità

“La giusta causa” civile contro Eni: “Peggiora la crisi climatica e vìola i diritti umani”

© ReCommon

Il “contenzioso climatico” promosso da ReCommon, Greenpeace e 12 cittadini di aree colpite dai cambiamenti climatici, è il primo contro una società di diritto privato in Italia. Citati anche il ministero dell’Economia e Cdp. “Va rivista la strategia industriale per ridurre le emissioni”. L’azienda si difende e si riserva “opportune iniziative legali”

L’Eni verrà citata in tribunale in una causa civile per danni e violazioni dei diritti umani legati ai cambiamenti climatici ai quali contribuisce con le sue emissioni. Il colosso del fossile italiano, denunciano Greenpeace Italia e ReCommon, organizzazioni promotrici dell’azione legale insieme a 12 cittadini italiani residenti in aree colpite dagli impatti della crisi ecologica, “con le sue attività nel mondo emette in un anno più gas climalteranti dell’intera Italia”.

L’atto di citazione è stato notificato anche al ministero dell’Economia (Mef) e alla Cassa depositi e prestiti (Cdp) in quanto azionisti con oltre il 30% delle quote e con “un’influenza dominante” sulla multinazionale italiana, così come certificato dalla Corte dei Conti. Al tribunale di Roma, presso il quale nei prossimi giorni verrà depositato l’atto di citazione, verrà chiesto di “accertare, ma non di quantificare, i danni già avvenuti e quelli futuri (sulla base degli articoli 2043, 2050 e 2051 del codice civile, ndr) e le violazioni dei diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata come conseguenza del cambiamento climatico”, ha spiegato Antonio Tricarico di ReCommon.

Non solo. I ricorrenti chiedono anche che Eni sia “obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre entro il 2030 le emissioni delle sue attività di almeno il 45% rispetto ai livelli del 2020”, così come previsto dagli Accordi di Parigi, che secondo le due organizzazione Eni non sta rispettando, al fine di contenere l’aumento medio della temperatura globale entro il grado e mezzo. Infine, verso Mef e Cdp, continua Tricarico, “chiediamo un’azione inibitoria affinché adottino all’interno di Eni una politica in linea con gli obiettivi internazionali sul clima”. La campagna che promuove l’iniziativa legale è stata chiamata “La giusta causa” che per Tricarico “è una causa climatica ma anche un caso di violazione dei diritti umani a partire da quelli sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla nostra Costituzione”. I dati sulla base dei quali è stata costruita “La giusta causa” sono pubblici, in parte diffusi dalla stessa azienda. “Grazie alla cosiddetta attribution science, ha spiegato Tricarico, “siamo in grado di attribuire a un preciso soggetto, in questo caso l’Eni, la quota parte di emissioni di cui è responsabile”.

L’azione di Greenpeace Italia, ReCommon e dei 12 cittadini va inquadrata all’interno del movimento globale per la giustizia climatica. Dal 2015 a oggi, infatti, il numero delle cosiddette climate litigation, azioni legali finalizzate a imporre a governi e aziende una riduzione delle emissioni, è più che raddoppiato, per un totale di 2.276 cause.

In Italia è la prima volta che un’azione simile viene avviata verso un’azienda privata (nel giugno 2021 è stato citato lo Stato italiano nell’ambito della campagna “Giudizio universale”). L’ispirazione è arrivata dai Paesi Bassi dove l’associazione ambientalista Friends of earth Netherlands, insieme a Greenpeace Netherlands, altre organizzazioni e a oltre 17mila singoli ricorrenti, hanno ottenuto da un tribunale dell’Aja una sentenza di primo grado considerata storica: il 26 maggio 2021 i giudici hanno ordinato alla compagnia petrolifera Shell di ridurre le emissioni, riconoscendo la responsabilità della multinazionale anglo-olandese, che si è appellata contro la sentenza, nell’aver danneggiato il clima e prodotto di conseguenza una possibile violazione dei diritti umani.

“Portiamo Eni in tribunale per metterla di fronte alle sue responsabilità”, ha detto Simona Abbate di Greenpeace Italia. Che ha spiegato: “La sua strategia di decarbonizzazione propone soluzioni, come la cattura della CO2 o la fusione nucleare, che rischiano solo di posticipare di anni l’abbandono dei combustibili fossili mentre tutti gli studi scientifici ci implorano di arrivare al picco emissivo entro due anni”. Abbate cita un report di Greenpeace secondo il quale “mentre più del 55% delle sponsorizzazioni di Eni parlano di sostenibilità e ambiente, l’azienda continua ad aumentare i suoi investimenti in oil e gas”. Nel 2022, “per ogni euro investito in Plenitude (la fu Eni Gas e Luce, rinominata con l’intento dichiarato di produrre e distribuire energia sostenibile, che per le due organizzazioni è però una ‘finzione verde’, ndr) Eni ha speso 15 euro in oil&gas. E i piani per il futuro prevedono che il 75% degli investimenti saranno sulle fonti fossili mentre quelli per l’espansione degli idrocarburi passeranno da 4,5 a 6,5 miliardi di euro”. Abbate punta il dito anche contro i profitti record del 2022 pari a 20,4 miliardi: “Sono stati distribuiti in forma di dividendi agli azionisti, per il 70% privati, al posto di essere investiti nella transizione energetica”.

Nel corso della conferenza stampa sono intervenuti anche Rachele e Vanni, due dei 12 cittadini che hanno avanzato la causa civile. La prima vive in Piemonte, “una regione che già oggi subisce gli effetti di una gravissima siccità e che in futuro vivrà cambiamenti ancor più radicali”. Rachele, vent’anni, ha aderito alla causa perché “non può accettare che lo Stato sia azionista di progetti che vanno contro il mio diritto a vivere una vita tranquilla”. Vanni è invece originario del Polesine, un territorio dove la crisi climatica genera “conseguenze sempre peggiori, con il mare che a causa della siccità risale nelle falde acquifere e rischia di trasformare la terra in un deserto”.

Contattata da Altreconomia, Eni dichiara di “prendere atto dell’iniziativa” e che “dimostrerà in tribunale l’infondatezza dell’azione messa in campo e, per quanto necessario, la correttezza del proprio operato e della propria strategia di trasformazione e decarbonizzazione, che mette insieme e bilancia gli obiettivi imprescindibili della sostenibilità, della sicurezza energetica e della competitività del Paese”. Eni conclude che “si riserva a sua volta di valutare le opportune azioni legali per tutelare la propria reputazione rispetto alle ripetute azioni diffamatorie messe in campo da ReCommon”.

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