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Ambiente / Approfondimento

La fotografia impressionante dello stato della salute umana nei siti più inquinati d’Italia

Lo stabilimento dell'Ilva di Taranto © Andrea Donato Alemanno, via flickr

Il progetto di sorveglianza epidemiologica “Sentieri” avviato dall’Istituto superiore di sanità ha presentato a fine febbraio il suo sesto rapporto. Analizza 46 siti di emergenza ambientale dove vivono in oltre 6,2 milioni: da Taranto alla valle del fiume Sacco, alle porte di Roma, da Gela a Brescia. E pone al centro la giustizia ambientale

È una fotografia precisa e impressionante dello stato della salute umana nei siti più inquinati sparsi per l’Italia. Il progetto di sorveglianza epidemiologica noto come Sentieri, acronimo di “Studio epidemiologico nazionale dei territori e insediamenti esposti a rischio di inquinamento”, ha presentato il 23 febbraio il suo sesto rapporto. Avviato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) nel 2006 (il primo rapporto è del 2011), Sentieri è un lavoro importante e innovativo perché descrive che cosa significa convivere con la contaminazione, per lo più di origine industriale, combinando la sorveglianza epidemiologica e il monitoraggio della salute.

L’ultima edizione del rapporto Sentieri analizza 46 siti di emergenza ambientale riconosciuti dal governo, quelli definiti “siti di interesse” per le bonifiche: 39 sono Sin, o “siti di interesse nazionale”, mentre gli altri sette di interesse regionale. Tra questi ci sono casi di cui molto si è parlato, come Taranto con le sue acciaierie, e altri poco noti oltre l’ambito locale come ad esempio la valle del fiume Sacco alle porte di Roma, o Bussi sul Tirino, in provincia di Pescara. Alcuni sono inaspettati, come la benestante Brescia dove l’area su cui sorge la ex Caffaro attende una bonifica da oltre vent’anni. Altri luoghi ancora sono addirittura ignorati: dalla siciliana Gela con il suo petrolchimico alla sarda Porto Torres (anche qui, industria chimica), alle aree portuali di Livorno. Insieme disegnano una mappa dell’eredità di inquinamento dell’industrializzazione italiana: non esaustiva forse, perché nuovi casi si potrebbero aggiungere a quelli riconosciuti dal governo, ma molto significativa. Anche perché quei 46 siti sono abitati da oltre 6,2 milioni di persone, circa il 10% della popolazione italiana. E sebbene ogni area sia un caso a sé, il dato globale fa impressione: viverci, infatti, significa avere un rischio maggiore del 2% di morire di malattia, in particolare di tumori maligni, e un rischio di ospedalizzazione maggiore del 3%.

Il rapporto Sentieri è pubblicato dalla rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia, ed è consultabile online insieme a tutti gli annessi e aggiornamenti che verranno aggiunti nel tempo. Sono decine i ricercatori, coordinati dall’Iss, impegnati sul progetto Sentieri che hanno raccolto e analizzato i dati delle fonti accreditate su mortalità, ricoveri ospedalieri, incidenza di tumori e anomalie congenite nel periodo tra il 2014 e il 2018, ultimo anno per cui il ministero della Sanità ha fornito i dati completi al momento in cui è iniziata l’elaborazione del sesto rapporto. È stata presa in esame sia la popolazione adulta sia quella giovanile e in età pediatrica per poi analizzare quanto i dati epidemiologici si discostino dalla media della Regione in cui è localizzato ciascun sito e individuare così il numero di casi “in eccesso”.

Il gruppo di lavoro “ha analizzato in particolare le patologie di interesse ‘a priori’, cioè quelle per cui l’evidenza scientifica mostra un’associazione con le fonti di contaminazione presenti in ciascun sito”, ha spiegato Amerigo Zona, responsabile scientifico di Sentieri, presentando il rapporto durante un convegno presso l’Istituto superiore di sanità. È questa l’innovazione di Sentieri: guardare in particolare le malattie che già possiamo collegare con ragionevole certezza al tipo di contaminazione presente in quei siti (il rapporto contiene tra l’altro un’approfondita revisione della letteratura scientifica in materia). “Questo approccio permette di ridurre i falsi positivi e riconoscere i segnali di un rapporto causale, o con-causale, delle varie fonti di contaminazione nel determinare gli eccessi di mortalità e di malattie che abbiamo osservato”, spiega Zona. Dunque associare precise malattie a precise fonti di contaminazione.

In generale, Sentieri osserva che le cause di mortalità “in eccesso” più frequenti sono il tumore maligno del polmone, il mesotelioma della pleura, i tumori della vescica, le malattie respiratorie seguite da altri tumori maligni, inclusi quelli del seno. In questo rapporto, tuttavia, a differenza dei due precedenti non c’è stata la collaborazione con l’Associazione italiana dei registri tumori, in parte a causa della difficoltà di rispettare il nuovo regolamento sulla protezione dei dati personali dell’Unione europea.

Il pezzo forte del rapporto Sentieri sono le singole schede che analizzano nel dettaglio ciascuno dei 46 siti da bonificare: si tratta di aree portuali, impianti chimici, petrolchimici o siderurgici, miniere, ex cave o fabbriche del cemento-amianto, centrali elettriche, inceneritori, discariche illegali o non controllate. Spesso le esposizioni sono multiple: diverse fonti, diverse sostanze tossiche coinvolte. Alcuni siti sono particolarmente popolosi -come nel caso di Brescia o di Taranto- più spesso però sono municipalità di piccole o medie dimensioni.

Ma non tutte queste località sono uguali di fronte all’inquinamento. Per questo il rapporto insiste sul concetto di giustizia ambientale: se sovrapponiamo i dati sull’esposizione ambientale, sullo stato di salute degli abitanti e sulla “deprivazione socio-economica”, osserviamo “un gradiente di ingiustizia distributiva sull’asse Nord-Sud, con condizioni peggiori al Sud e nelle isole dove le comunità esposte a processi di contaminazione presentano condizioni di deprivazione socio-economica”, si legge nel rapporto. Meno abbienti, più esclusi e più inquinati.

Roberto Pasetto, ricercatore del Dipartimento ambiente-salute dell’Istituto superiore di sanità, parla di “comunità sovraccaricate” dal peso della contaminazione ambientale, dell’ingiustizia distributiva e di un maggiore rischio di mortalità. Ma è proprio nella comunità locale che si gioca la capacità di comunicare il rischio e di adottare le possibili contromisure. Rispetto a questo specifico aspetto, il rapporto Sentieri evidenzia come l’ingiustizia ambientale venga perpetuata da quelle “procedurali”, ovvero il fatto che le comunità più emarginate abbiano meno accesso a determinati servizi e difficilmente abbiano voce nei processi decisionali, ad esempio sulla permanenza di impianti industriali o nei processi di bonifica. Ci sono quindi siti più svantaggiati rispetto ad altri, come ad esempio il litorale vesuviano o le aree industriali della Val Basento in Basilicata, il bacino del fiume Chienti e ancora Gela, Porto Torres, Milazzo, Priolo e Crotone. E anche gruppi di abitanti più penalizzati di altri all’interno di ciascun sito: così nella lista delle fragilità troviamo anche Livorno, Massa Carrara, Trieste.

Anche per questo è importante un altro concetto rimarcato con forza da Sentieri: la comunicazione partecipativa con i portatori di interesse, cioè amministratori locali, strutture del Servizio sanitario nazionale sul territorio e tutti gli attori sociali delle comunità inclusi i gruppi di cittadini, le associazioni ambientaliste, i media locali e tutte le forme di cittadinanza organizzata. I ricercatori coinvolti in questo progetto lavorano anche per “costruire linguaggi condivisi”, come ricorda Paolo Ricci, epidemiologo, già nell’Asst di Mantova. Si tratta di diffondere una “alfabetizzazione sanitaria ambientale”, secondo Daniela Marsili, ricercatrice del Iss che ha ideato e coordinato una mappa concettuale interattiva che permette di comprendere in maniera più facile e immediata le informazioni contenute nel rapporto.

Il metodo di Sentieri ha fatto scuola in Europa ed è stato ripreso dall’Organizzazione mondiale della sanità, che nel 2017 ha inserito il tema della salute nei siti contaminati tra le sue priorità, almeno nella regione europea. È un programma permanente ed è uno strumento di lavoro. Conferma che i siti inquinati restano una minaccia per la salute di chi vi abita. Dice che la contaminazione industriale pesa anche sulla salute dei bambini e dei giovani, come si può misurare negli “eccessi” di malattie e ricoveri: ad esempio a Taranto, dove si continua a registrare eccessi di tumori in età pediatrica. Fornisce indicazioni sugli interventi di salute pubblica necessari a minimizzare il rischio. Ma osserva che il rischio per la salute perdura perché l’impatto di certe sostanze tossiche emerge a distanza di tempo e perché in gran parte dei siti analizzati le fonti di inquinamento restano presenti. E questo è un appello a realizzare le bonifiche che si trascinano, a volte da decenni: altrimenti potremo solo continuare a misurare i danni.

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