Esteri / Reportage
La crisi idrica incombe sul Nord-Est della Siria
Il livello dell’Eufrate è ai minimi storici a causa del cambiamento climatico e della decisione della Turchia di ridurre il flusso di acqua nel fiume. Il 40% delle aree agricole irrigate sono a rischio
Quando si avvicina l’ora del tramonto a Raqqa, giovani e famiglie si godono il piacere di sedersi sulle splendide rive del fiume Eufrate per rinfrescarsi dal caldo e fumare la shisha (narghilé), con i piedi immersi nell’acqua. Nonostante il momento di relativa calma in quella che è stata la capitale del gruppo estremista Stato Islamico in Siria, la popolazione locale è consapevole che i momenti felici vicino al fiume potrebbero non durare per sempre. L’intera popolazione del Nord-Est della Siria è interessata da una nuova crisi, emersa negli ultimi anni e in particolare a partire dalla scorsa estate: il livello dell’acqua nel fiume infatti ha raggiunto il minimo storico e sta vivendo la peggiore siccità dal 1953 causando una delle più gravi crisi idriche in Siria e in tutto il Medio Oriente. Poiché l’Eufrate è la principale risorsa per l’agricoltura, il consumo domestico e la produzione di elettricità in quest’area della Siria, la crisi ha colpito tutti e tre i settori vitali.
“Dove c’è acqua, ci sono insediamenti. È come il pane, uno dei beni di prima necessità della vita umana”, spiega l’ingegnere Hussein al-Jurjub, capo del dipartimento idrico di Raqqa, sotto l’Amministrazione autonoma del Nord-Est della Siria (Aanes), l’autorità a guida curda che amministra il territorio sulla sponda orientale dell’Eufrate. “Quando, in passato, gli abitanti di queste terre erano pastori e nomadi, vivevano ovunque trovassero acqua. Cercavano un luogo per poter bere e per dissetare il bestiame. È un bene essenziale per gli esseri umani fin dai tempi antichi. Ma ora è a rischio”, riprende. L’ingegnere spiega che il basso livello del fiume va a impattare sul funzionamento delle stazioni idriche che pompano e depurano l’acqua: “Ora sono più distanti rispetto alle fonti, il cui livello si sta abbassando. La crisi idrica ci sta creando moltissimi problemi: ci sta colpendo più duramente rispetto a quella causata dalla guerra”.
La popolazione è preoccupata da questa scarsità d’acqua, con le sue conseguenze sulla vita e le attività dei cittadini comuni, già minacciati militarmente dall’esercito turco e dai suoi alleati siriani che a ogni momento potrebbero invadere parte dei territori controllati dai curdi. Un nuovo attacco determinerebbe un’altra ondata di sfollati come nel 2018 e nel 2019. “Ogni giorno temo che non avrò abbastanza acqua per me, la mia famiglia e le mie piante -dice Najla che vive a Qamishli, cittadina che ai primi di giugno 2022 è stata colpita dai droni turchi, che hanno ferito cinque persone-. Nemmeno durante più di dieci anni di guerra abbiamo mai affrontato una cosa del genere. Sono fortunata, qui a Qamishli è meglio rispetto ad altre zone dove non c’è per nulla accesso all’acqua”.
Le istituzioni locali e le Ong internazionali riconoscono che la situazione peggiora di anno in anno, vista la limitata disponibilità di risorse idriche nel Nord-Est della Siria: il 70-80% del territorio, infatti, è privo di fonti che permettano di attingere direttamente acqua pulita. “Se ne soffre la mancanza ad Hasake e Kobane e anche in altre città che attingono al fiume per ragioni diverse -racconta Faiza Abdi, co-presidente del Consiglio legislativo della regione dell’Eufrate-. Quando, nell’ottobre 2019, la Turchia ha occupato Sere Kaniye (Ras al-Ayn) e Tell Abyad, le persone sono state sfollate dai loro villaggi e così la popolazione di città come Hasake è quasi raddoppiata e nella provincia sono stati allestiti campi per i profughi. Nel frattempo, la Turchia continua a bloccare il corso del fiume con grandi dighe costruite sul suo territorio, riempiendole e abbassando così il livello dell’Eufrate. Inoltre, le precipitazioni invernali sono diventate un evento raro, con conseguenze per l’agricoltura da cui dipendiamo. Non è solo una questione climatica, è anche una questione politica”.
La condizione di siccità si è aggravata e il 40% delle aree agricole irrigate sono ora affamate d’acqua. Le istituzioni dell’Aanes hanno cercato di affrontare i problemi causati dalla sua scarsità: “Il dipartimento per la gestione idrica ha costruito grandi pozzi e realizzato alcuni progetti per incoraggiare le persone a piantare alberi e poi a innaffiarli, fornendo loro generatori per attingere l’acqua”, continua Faiza. Ma la crisi ha causato anche una riduzione della fornitura di elettricità dagli impianti idroelettrici, come i due principali, Tishreen e Tabqa, anch’essi colpiti dal basso livello dei fiumi. “È un circolo vizioso, difficile da affrontare”, conclude Faiza.
“Mia figlia ha un anno e negli ultimi due mesi ha sofferto di diarrea. I medici mi hanno dato le medicine, ma lei si ammala sempre più. Non abbiamo acqua pulita” – Ammuna
L’accesso limitato alle sorgenti, spesso altamente contaminate a causa di un sistema fognario inefficiente e dell’interruzione dell’energia elettrica, ha provocato la diffusione di diverse malattie. “Stiamo affrontando epidemie di leishmaniosi cutanea, malnutrizione, diarrea”, spiega Khawla (che per ragioni di sicurezza ha chiesto di non essere identificata) specialista di salute pubblica per Learn, un consorzio di quattro Ong internazionali guidato da Solidarités International. “Abbiamo organizzato sessioni di sensibilizzazione sulle malattie legate all’acqua per sostenere la comunità e aiutare a prevenirle”, spiega. La malnutrizione e altre malattie connesse colpiscono soprattutto i bambini, come spiega Ammuna, che si trova alla clinica di Manbij: “Vengo da un villaggio, ci vuole mezz’ora di autobus per arrivare qua: mia figlia ha un anno e negli ultimi due mesi ha sofferto di diarrea. I medici mi danno le medicine ma lei si ammala sempre di più. Non abbiamo acqua pulita”.
Negli ultimi dieci anni la guerra ha imperversato in tutta l’area e diverse stazioni idriche sono state saccheggiate o completamente distrutte, come quelle di Musheirfa e Zahera. Quella principale di Raqqa era stata colpita da razzi e il 70% della struttura era stato danneggiato rendendola praticamente inservibile, ma oggi è tornata in funzione. “È stata costruita oltre 50 anni fa, nel 2019 abbiamo iniziato i lavori di riparazione che sono stati completati nel 2020”, spiega l’ingegner Tareq, originario di Qamishli, che ci ha chiesto di non usare il suo vero nome. Negli ultimi anni ha vissuto a Raqqa per lavorare con il consorzio Learn che ha sostenuto il processo per rimettere in moto la stazione. “Controlliamo costantemente il funzionamento del sistema, con dei follow-up per assicurarci che si possa fornire acqua non contaminata. La gente di Raqqa ha percepito la differenza prima e dopo, sicuramente in termini di qualità”.
Prima della guerra, la Turchia lasciava fluire verso la Siria circa 500 metri cubi d’acqua al secondo. Oggi il flusso si è ridotto a 200 metri cubi al secondo che vengono utilizzati sia in agricoltura sia per la produzione di energia elettrica
Ma nonostante l’orgoglio per il lavoro compiuto, non è sufficiente per fronteggiare la crisi. “Prima della guerra la Siria riceveva 500 metri cubi d’acqua al secondo dalla Turchia, ora sono meno di 200 per coprire il fabbisogno in agricoltura e nella produzione di energia elettrica. Inoltre, dipendiamo dai finanziamenti dei donatori e la situazione di instabilità politica unita alle sfide climatiche non ci permettono di riparare le altre stazioni idriche come avevamo previsto. Non possiamo affidarci a soluzioni di emergenza, serve una strategia a lungo termine”. Le istituzioni locali hanno visto però alcuni risultati, soprattutto per la popolazione. “Dopo la riparazione dell’impianto di depurazione principale, abbiamo notato il ritorno di famiglie sfollate dalla campagna o da altre province -dice l’ingegnere Hussein al-Jurjub-. Sono tornati a Raqqa dopo aver saputo che l’acqua potabile è disponibile in tutti i quartieri. Inoltre, il Consiglio civile della città ha creato un ufficio di comunicazione”. Il suo compito è quello di informare la popolazione sui progetti in corso, sui benefici e sui rischi della crisi idrica, per far sì che la gente diventi più consapevole. “Senza, la vita sarebbe insopportabile e la città diventerebbe una città fantasma. L’acqua è vita”, conclude al-Jurjub.
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