Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Intervista

La crisi degli Istituti penali per minorenni vista dal “Meucci” di Firenze

L'Istituto penale per minorenni "Meucci" di Firenze © Ragazzi dentro, Antigone

Tra le condizioni di sovraffollamento delle strutture che rendono improbo lo svolgimento delle attività, gli psicofarmaci e la necessità di scegliere il male minore, compreso il trasferimento dei giovani adulti nella sezione per adulti del “Dozza” di Bologna. Intervista ad Antonia Bianco, che dal 2020 è direttrice dell’Ipm fiorentino

“Navighiamo a vista”, dice Antonia Bianco, che dal 2020 è direttrice dell’Istituto penale per minorenni “Meucci” di Firenze, a proposito del difficile momento della giustizia minorile italiana. Una crisi al centro della nostra inchiesta “Il male minore” in cui si dà conto delle difficili condizioni in cui vivono i giovani reclusi negli Ipm ma anche delle soluzioni proposte dal Governo Meloni per risolvere questa emergenza. Ne abbiamo parlato con la direttrice Bianco per avere uno sguardo privilegiato dall’interno del sistema.

Direttrice Bianco, la giustizia minorile è in crisi?
AB
Purtroppo sì. Il sistema sta scoppiando con un sovraffollamento generalizzato negli Ipm. Sono arrivata a Firenze nel 2020 con tra le 13 e le 15 presenze in istituto di media, oggi siamo a 24-25. Numeri così incidono su tantissimi fronti: la relazione tra i ragazzi, costretti a vivere in spazi più ristretti; la necessità di fare i turni per svolgere l’attività; il minor tempo da dedicare a ogni ragazzo per il personale che già scarseggia in parecchi istituti. Insomma è complicato: grazie al prezioso lavoro del personale dell’area educativa, sanitaria e di polizia penitenziaria il nostro istituto sta grosso modo tenendo, riusciamo a garantire le attività con gli operatori esterni, da altre parti c’è qualche problema in più. Noi tutti siamo in prima linea con i ragazzi ed è un momento difficile in cui navighiamo a vista.

Condivide la decisione del Dipartimento di trasferire alcuni giovani detenuti in una sezione speciale del carcere per adulti “Dozza” di Bologna?
AB
Partiamo da un dato di fatto. Tenere i ragazzi in stanze sovraffollate, a volte sui materassi per terra non è dignitoso e non è accettabile. In linea di principio interrompere il percorso di un ragazzo e trasferirlo non è positivo ma è anche vero che fino a quando non saranno attivi i nuovi Istituti penali per minorenni che sono in fase di riapertura mi sembra una necessità. Noi abbiamo spostato due ragazzi che erano entrati da poco, quelli su cui questo trasferimento incideva meno attivandoci comunque per renderlo meno impattante possibile. Non l’abbiamo fatto a cuor leggero ma dovevamo aver più spazio per chi rimaneva.

Apriranno nuovi Ipm entro fine anno. Aumentare i posti è davvero la soluzione? Il rischio è che più ce ne sono, più vengono riempiti.
AB
Non è una soluzione ma si tampona l’emergenza. Vorrei sottolineare però che il problema non sono “solo” gli Ipm ma quello che sta oltre le nostre mura dentro le quali i ragazzi proprio non ci dovrebbero arrivare. Penso al sistema di accoglienza per minori stranieri non accompagnati che è ancora più in crisi del nostro: i gruppi criminali sono molto più bravi dei progetti educativi delle comunità di accoglienza ad agganciare i ragazzi che poi commettono i reati. Non è ovviamente solo un problema di stranieri. Tra chi si trova nel nostro Istituto, quelli che hanno commesso i reati più gravi sono italiani. Anche loro soffrono l’incapacità di accogliere la loro sofferenza da parte della loro comunità di riferimento, della famiglia, della scuola. Spesso abusano di sostanze che sono ancora pre-adolescenti, hanno tanta rabbia dentro, commettono reati e poi si ritrovano qui. Mi sembra, inoltre, che i fatti reato che li portano in Istituto siano più gravi e violenti rispetto al passato. Tutto questo per dire che il sistema di giustizia minorile assorbe un disagio che nasce ben prima della commissione del reato. Alcuni ragazzi dicono che stanno meglio in Istituto che altrove e questo la dice lunga su quello che avevano prima di essere reclusi.

Il sovraffollamento è stato contenuto, a fronte dell’aumento di ingressi, anche grazie al trasferimento di giovani adulti nelle carceri italiane per adulti. Che cosa ne pensa?
AB Nella nostra esperienza i trasferimenti sono avvenuti perché erano necessari, per motivazioni serie e gravi e con il dovuto avvallo della magistratura di sorveglianza. Noi abbiamo una responsabilità ancora maggiore nei confronti dei minorenni e questo ci porta a valutare con molta attenzione quali effetti può avere tenere in struttura qualcuno che crea problemi. Sicuramente però è anche vero che se hai un ragazzo difficile da gestire su 13 presenti, oppure uno su 25 o 50 la differenza è enorme. Anche per questo probabilmente diversi direttori hanno dovuto procedere ai trasferimenti, perché si abbassa la soglia entro la quale tu riesci a gestire adeguatamente la situazione. Questo è il lato negativo della medaglia.

E quello “positivo”?
AB
Io non sono d’accordo con chi vuole tornare ad abbassare a 21 anni l’età massima per poter restare in un Ipm. Per due motivi. Se i ragazzi costruiscono percorsi molto belli fin dall’ingresso in carcere avendo la possibilità di accedere a quelle opportunità che gli sono sempre mancate, più il tempo è lungo più il percorso sarà solido. E magari si riuscirà ad accompagnarli in una misura penale di comunità in alternativa al passaggio al carcere adulti. Inoltre, avere dei giovani che sono buoni esempi all’interno del carcere, può essere fondamentale per i minori o comunque per chi ha appena fatto ingresso in Istituto: riduce gli effetti dell’impatto negativo e può contribuire ad orientarli in positivo.

Se gli Ipm sono in crisi, come valuta lo stato di salute delle comunità esterne?
AB
Sono alla saturazione dei posti anche loro. È sempre più difficile collocarvi i ragazzi e le ragazze dell’area penale. Soprattutto coloro che assumono terapie anche perché le comunità educative, non avendo personale sanitario, non possono prendersene cura, devono appoggiarsi ai servizi territoriali e non è così semplice. Per non parlare poi delle comunità terapeutiche, soprattutto quelle a doppia diagnosi: per i minorenni ce ne vorrebbero davvero molte di più. Sembra poi che, dalle comunità, ci sia una crescente fuga dei professionisti, soprattutto educatori, e questo crea vuoti e carenze nelle strutture, logoramento in chi rimane sottoposto a turni stressanti, abbassamento della qualità del servizio. Non escludo che su questo incida anche la dimensione economica e forse la scarsa puntualità del pagamento delle rette da parte degli enti collocatari, il personale specializzato che costa di più: è una gestione economica complessa. È un sistema che sembra fare fatica in termini di strutturazione e poi inevitabilmente anche di “relazione” con i ragazzi che sono gli stessi che abbiamo negli Ipm con una differenza: il “contenimento”. Chi esce dall’Ipm per andare in comunità pensa di essere libero, poi si ritrova senza cellulare per qualche settimana, magari nell’impossibilità di uscire da solo e così via. I ragazzi non riescono a gestire queste nuove regole perché pensavano di non averne più. E così stare dentro alla cornice della comunità è difficilissimo. Ecco allora che la difficoltà è un po’ di tutti ma in tante fanno davvero un ottimo lavoro. Penso poi che andrebbe finanziata e sostenuta il più possibile anche lì la previsione di nuove figure in organico. Nel nostro Istituto, per esempio, da qualche mese lavora un’etnopsicologa: una risorsa preziosissima perché con i ragazzi di origine straniera spesso la difficoltà va ben oltre la componente linguistica. Certi comportamenti vanno letti con gli occhiali giusti.

Nella nostra inchiesta abbiamo fotografato l’aumento generalizzato in tutte le strutture italiane dell’uso di psicofarmaci. Sono dati che la preoccupano?
AB
Sicuramente sono dati che fanno impressione ma che vanno contestualizzati. I ragazzi presenti negli Ipm stanno continuamente aumentando, stanno cambiando e sono sempre più fragili: per un periodo lo scorso anno abbiamo avutola metà dei presenti che erano attenzionati, ovvero sotto particolare osservazione per il rischio suicidario e atti di auto/etero aggressività. Molti erano già seguiti dai servizi territoriali fin dall’età infantile, spesso ci sono dipendenze pregresse, anche da psicofarmaci, soprattutto nel caso dei minori stranieri. Per quanto riguarda il nostro Istituto, oltre a una psichiatra e due psicologhe, dopo diversi mesi di assenza abbiamo di nuovo un neuropsichiatra infantile. Fa riflettere che in alcuni casi lui chiama i ragazzi “pazienti”, non detenuti con disagio psichico o comportamentale: questo significa che la patologia è presente e va curata. In ogni caso, però, nel nostro istituto l’utilizzo del farmaco è finalizzato a rendere più presenti a sé stessi e partecipativi i ragazzi che ne necessitano, non di certo a stordirli. Per qualcuno il contenimento che impone la detenzione è stato ritenuto quasi opportuno dagli operatori del territorio e, alla lunga, efficace dagli stessi ragazzi: fuori rifiutavano i colloqui con gli specialisti e qualsiasi tipo di trattamento farmacologico, ora li accettano e ricercano entrambi sperimentandone il beneficio. Potremmo definirlo contenimento educativo: sono due parole che apparentemente sono distanti ma oggi è la nostra sfida partendo dal presupposto che anche l’utilizzo dei farmaci in alcune situazioni sembra essere una necessità che però assicuro è professionalmente gestita.

L’uso degli psicofarmaci è un tema “rimosso” nel sistema penitenziario?
AB Forse se ne dovrebbe parlare di più e sarebbe necessario confrontarsi maggiormente sul tema. Magari allargando lo sguardo oltre le mura dell’Ipm. Dovremmo forse interrogarci sulla medicalizzazione del disagio che avviene ben prima dell’ingresso in carcere dove poi i problemi esplodono: tantissimi adolescenti sono in cura, le comunità terapeutiche non hanno posto e così via. Servirebbe approfondire di più tutto questo.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2025 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati