Finanza / Attualità
La cessione della rete Tim a Kkr: gli interessi della finanza non coincidono con quelli generali
Il primo luglio di quest’anno Tim vende a una finanziaria statunitense l’intera rete delle linee telefoniche e dei cavi di fibra ottica per la trasmissione dati del nostro Paese. Un’operazione da oltre 20 miliardi di euro che pone più di un problema: per la “sovranità” nazionale, per la qualità e i costi dei servizi e per la democrazia. L’analisi di Remo Valsecchi
Il primo luglio di quest’anno Tim vende a una finanziaria statunitense di nome Kkr l’intera rete, ossia la struttura sia primaria sia secondaria, delle linee telefoniche e dei cavi di fibra ottica per la trasmissione dati del nostro Paese.
La rete di telefonia e della trasmissione dati è strategica per il Paese ed è anche un supporto e una garanzia per la democrazia perché la limitazione dell’accesso è anche una limitazione della libertà delle persone e, per questo motivo, deve rimanere nella sfera pubblica.
Già la privatizzazione del 1997 ha consegnato a operatori finanziari esteri l’86% dell’allora Telecom Italia con la solita motivazione di realizzare entrate per la riduzione del debito pubblico che, comunque, ha continuato a crescere.
La privatizzazione delle banche, dei servizi pubblici, della sanità, delle autostrade e delle comunicazioni ha consegnato la funzione pubblica alla finanza con una maggioranza, se non effettiva, di controllo, non italiana. Il nostro, dobbiamo esserne consapevoli, è un Paese di fatto “colonizzato” che non ha più alcuna autonomia e non dipende dall’Unione europea, ma dalla finanza. Non è un caso che i profitti aumentino nelle società oggetto di privatizzazione e non è nemmeno un caso che aumentino la disoccupazione e i disservizi e che sia stato messo in crisi il sistema delle imprese, cioè il sistema trainante della ricostruzione del Dopoguerra.
Non è l’attuale cessione a Kkr il problema, il problema è il governo del Paese degli ultimi trent’anni e le responsabilità non sono solo delle maggioranze che hanno governato ma anche delle opposizioni che non hanno mai capito e denunciato quello che stava succedendo.
Il comportamento del governo attuale è per certi versi ridicolo: rivendica la sovranità nazionale ma la limita a banalità, come quella del tappo delle bottiglie di plastica della Lega nella recente consultazione elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, mentre autorizza la vendita delle reti di Tim e ha già previsto l’ulteriore cessione di partecipazioni pubbliche in società di gestione strategiche per il Paese. Può essere che i partiti della maggioranza, i sovranisti, non si siano spiegati, del resto il termine “sovranisti” è un neologismo che non è certo si possa identificare con il rafforzamento della sovranità popolare.
Non è comprensibile il motivo dell’autorizzazione alla vendita delle reti di Tim non direttamente a Kkr ma ad una società “veicolo” della stessa, Optics Bidco Spa, con un capitale sociale di 50mila euro, controllata da Optics Holdco Srl, con capitale sociale di 10mila euro, a sua volta controllata dal socio unico Kkr. Probabilmente la Optics Holdco ha già contratto un debito per il versamento del capitale sociale della Optics Bidco oppure non lo ha versato integralmente.
Eppure, da quanto si legge, l’accordo preliminare per la cessione prevede un pagamento complessivo a Tim di 22 miliardi di euro. È evidente che 50mila euro non sono sufficienti. Nella tecnica finanziaria ci sono meccanismi che consentono di acquistare beni o società senza pagarli, uno di questi si chiama “leverage buy out” (pagamento con denaro della società acquistata, ndr), vietato in Italia sino al primo gennaio 2004, e che, probabilmente sarà quello utilizzato da Kkr. Il fatto che Optics Bidco sia una società “veicolo” come riportato dalla stampa, potrebbe essere una conferma.
Una possibile modalità di finanziamento dell’operazione potrebbe essere quella di un indebitamento, con le banche o con la stessa Kkr, di Optics Holdco con il quale, quest’ultima, finanzia l’acquisto delle reti da parte di Optics Bidco, che a seguito della fusione delle due società annulla il debito e il credito tra le stesse senza annullare il debito nei confronti del finanziatore primario, banche o Kkr, ed il suo rimborso, e relativo pagamento degli interessi, sarà a carico della gestione delle reti, cioè delle bollette del telefono e di internet.
Les jeux sont faits, i giochi sono fatti. Tim incassa 22 miliardi per ridurre il suo debito ma non ha più le reti, diventerà una società di servizi come tante altre e dovrà pagare a Optics Bidco l’utilizzo delle reti per l’erogazione del servizio che comporterà l’aumento delle bollette, Kkr, tramite Optics Bidco, realizzerà profitti, sia per gli interessi del credito sia per i dividendi e anche per le speculazioni di Borsa, farà gli investimenti solo se remunerativi e non se necessari e detterà le regole di gestione magari, anche con delocalizzazione in Paesi con costo del lavoro più basso e con un sistema fiscale più favorevole.
Non si può nemmeno ignorare che la proprietà e gestione della rete consente l’accesso a dati sensibili degli utenti di cui non si sa che utilizzo può essere fatto, diventando magari utili per le truffe telefoniche, come sta accadendo nonostante l’impegno dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato per sventarle.
Per una gestione razionale delle attività economiche del pubblico, che sono economiche non perché producono profitti ma perché devono essere organizzate in impresa gestendo risorse finanziarie ingenti ma con lo scopo del servizio a sostegno della funzione pubblica ossia lo sviluppo sociale ed economico, compreso quello dell’imprenditoriale, bisogna preliminarmente individuare le attività con finalità istituzionali e quelle che non lo sono, le normali attività commerciali, cioè la libera iniziativa privata economica, quella indicata dall’articolo 41 della Costituzione.
La distinzione dovrebbe assegnare alla gestione pubblica le reti, ossia la struttura necessaria per l’erogazione del servizio, e garantirne l’accesso a tutti, questo consentirebbe una reale promozione del mercato e della concorrenza e una crescita del sistema delle imprese anche con un aumento dei consumi interni e dei livelli occupazionali.
In una situazione come l’attuale, dove la capitalizzazione di Borsa è un quarto del patrimonio netto della società, l’operazione avrebbe dovuto essere l’esatto opposto, ossia la separazione dell’attività di erogazione dei servizi mettendola sul mercato e con i proventi mantenere le reti nell’area pubblica ma, forse, è stata la finanza a volere, nel suo interesse, questa modalità.
Finché la politica non si renderà conto che gli interessi della finanza non coincidono con gli interessi generali e che la finanza, i soliti fondi, non investe a sostegno del sistema sociale ed economico ma solo ad aumentare i propri profitti, il Paese sarà destinato a regredire e l’unico detentore della sovranità, il più volte tirato per la giacca “popolo”, a diventare sempre più povero.
Remo Valsecchi, già commercialista, è autore del nostro dossier “Carissimo gas” e coautore dell’inchiesta “È arrivata la bolletta”
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