Diritti / Opinioni
La cecità europea sul diritto all’accoglienza
A vent’anni dalla prima normativa sull’asilo manca ancora uno standard condiviso tra i Paesi dell’Ue. E il Belgio vuole escludere gli uomini soli dai centri. La rubrica di Gianfranco Schiavone
Correva l’anno 2003 quando venne emanata la prima Direttiva dell’Unione europea sull’accoglienza, confluita dieci anni dopo nella Direttiva 2013/33/Ue tuttora vigente. Questo percorso normativo ha sancito in Europa il diritto del richiedente asilo privo di mezzi a essere accolto a carico dello Stato fin dal momento della manifestazione della volontà di chiedere protezione (art.3) assicurandogli una qualità di vita adeguata (art.17).
L’accoglienza deve essere garantita per tutto il tempo in cui è pendente la domanda, compresa la fase dell’eventuale contenzioso giurisdizionale. La concreta attuazione di tale diritto, però, è divenuta in questi vent’anni una questione dirimente nel panorama politico e sociale europeo.
In tutti gli Stati dell’Unione l’accoglienza o la sua mancanza, l’organizzazione del sistema pubblico predisposto a garantirla e qualunque altro aspetto connesso sono finiti al centro di scontri politici anche violenti. In alcuni Paesi, tra cui l’Italia, questo tema ha sconvolto il quadro partitico e immense fortune politiche sono state costruite su un terreno che sarebbe ingenuo considerare solo umanitario o di stretto rispetto della legalità.
A determinare la centralità politica di questo fenomeno hanno concorso due fattori: da un lato l’aumento esponenziale del numero dei rifugiati e dei migranti forzati nel mondo. Se nel 2003 le domande d’asilo presentate nell’Ue erano 345mila (dati Eurostat) nel 2022 si sono raggiunte le 962mila unità: il più alto dato finora registrato dal 1990, con l’eccezione degli anni segnati dalla crisi siriana (2015 e 2016). Dall’altro la mancata evoluzione di un sistema normativo che stabilisca a livello europeo almeno norme minime in materia di ingressi per lavoro e studio (materia che è rimasta di quasi esclusiva competenza degli Stati) ha prodotto l’esplosione di modelli e strategie diversissimi tra loro, frenando la nascita di politiche comuni per l’inclusione sociale dei cittadini stranieri.
Mentre le sempre più nette restrizioni agli ingressi regolari (anche in ciò il caso italiano è paradigmatico) hanno reso quello della domanda di asilo spesso l’unico canale di ingresso effettivamente accessibile e l’accoglienza dei richiedenti l’unica misura con la quale gli Stati hanno fornito agli stranieri dei sostegni per inserirsi nella vita sociale.
Anche se in molti Stati sono stati sviluppati modelli efficaci e intelligenti per una gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo che garantisca il rispetto dei loro diritti e assicuri ricadute socioeconomiche positive (in Italia, per la sua impostazione e visione valoriale, lo è stato il sistema Sprar-Sai, ora in grave crisi), l’accoglienza quale istituto giuridico è divenuto diretto oggetto di attacco.
Le domande di protezione internazionale presentate nel 2022 in tutti i Paesi dell’Unione europea sono state 962mila
A metà settembre il governo conservatore, ma non ultra sovranista, del Belgio ha deciso di sospendere il diritto all’accoglienza per i richiedenti asilo di sesso maschile che non hanno una famiglia. Un fatto molto grave che potrebbe portare a conseguenze generali a catena.
Il Paese ha alcune ragioni: nel 2022 ha registrato 2.791 domande di asilo per milione di abitanti (molto più della media europea) mentre l’Italia ne ha solo 1.308, meno della metà, e urla all’emergenza. La situazione che si registra in Belgio (così come in altri Stati dell’Ue) è però il frutto avvelenato del fallimento della riforma del Regolamento Dublino III e del mancato sviluppo di un sistema europeo di accoglienza che abbia standard se non uniformi almeno rispondenti a una armonizzazione minima.
Mettere in discussione il principio giuridico del diritto all’accoglienza, come sta facendo il Belgio (o come fa l’Italia, abbandonando in strada i richiedenti asilo) evidenzia una cecità morale che non può essere mai giustificata.
Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste
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