Diritti / Opinioni
Il delicato kit dell’operatore umanitario
Neutralità, imparzialità e indipendenza sono le coordinate di ogni missione internazionale. Valori che possono scontrarsi con le singole realtà locali
In ogni nostro progetto assumiamo medici e infermieri locali che ci permettano di garantire la continuità assistenziale durante la nostra presenza e quando ce ne saremo andati. Ovunque operiamo seguendo i princìpi cardine dell’azione umanitaria di neutralità, imparzialità e indipendenza, ma nella ricerca costante di difenderli di fronte alla nostra coscienza e agli occhi di chi ci osserva, quanto possiamo contare sulla comprensione e sull’adesione del nostro staff nazionale? Come ho già raccontato nella seconda parte del diario scritto per Altreconomia durante la missione condotta a Mosul, ho lasciato l’ospedale di Hamam al-Alil pochi istanti dopo la morte di un prigioniero, ricoverato per una gravissima insufficienza renale dovuta alle torture subite in carcere, che ho curato, nelle sue ultime ore di vita, insieme a un infermiere iracheno.
La domanda che mi segue dal rientro in Italia è: “Che cosa significa per un medico o per un infermiere di Mosul cercare di salvare la vita di chi ha trasformato la città in un inferno?”. A che tipo di pressioni, personali, familiari e sociali, viene sottoposto un sanitario iracheno che contribuisce a curare, nell’ospedale di un’organizzazione internazionale, un prigioniero accusato di far parte di Daesh?
10% è la quota della popolazione mondiale affetta da insufficienza renale cronica; solo 2 milioni di persone però, il 10% di quelli che ne avrebbero bisogno, ricevono un trattamento adeguato con dialisi o trapianto di rene. Fonte: National Kidney Foundation
Imparzialità e neutralità significano curare tutti e non schierarsi con nessuno. Il terzo principio, l’indipendenza, consente di poter scegliere in modo libero quando, come e dove intervenire: se è un diritto per ciascuno ricevere assistenza sanitaria, un’organizzazione medica sa che non può essere un obbligo prestare la propria assistenza a tutti i costi, soprattutto se il prezzo richiesto fosse rinunciare ai primi due princìpi, imparzialità e neutralità. Purtroppo, negli ultimi anni, il termine “umanitario” ha acquisito una connotazione ambigua: operazioni di guerra, volte a difendere gli interessi commerciali e strategici di un Paese, vengono sempre più spesso mascherate da interventi di peacekeeping. Quando un’organizzazione medica presta la sua opera in un’area di guerra, si può generare una confusione di ruoli nei rapporti con le forze militari e paramilitari, le correnti politiche, i gruppi etnici, gli schieramenti religiosi e le altre organizzazioni di cooperazione, sia con quelle indipendenti sia con quelle dichiaratamente finanziate dagli stessi Stati coinvolti. Le dinamiche di terreno sono fluide e gli attori in campo possono mettere sotto scacco i princìpi fondanti l’azione e l’incolumità stessa degli operatori. È successo in Afghanistan dopo l’intervento americano e in Siria con l’avvento dell’Isis.Non sempre è facile interpretare i sentimenti della popolazione locale o prevedere le ripercussioni che ci possano essere decidendo di curare persone sospettate di avere seminato il terrore contro quella popolazione che ci accoglie. Vero è che se si rompe il patto di fiducia tra un’organizzazione presente su un territorio e le persone che lo abitano, si mette a rischio un progetto e l’incolumità stessa degli operatori, nazionali o internazionali. Chiedere al personale sanitario nazionale di credere nei princìpi della nostra organizzazione è doveroso. Alcuni degli infermieri che si sono candidati come assistenti di anestesia nel nostro ospedale di Hamam al-Alil sono arrivati al colloquio di assunzione molto preparati sui nostri valori identitari. La maggioranza dei locali con cui ho lavorato nelle mie missioni ha dimostrato di agire secondo questi valori. Aspettarsi però che tutti possano aderirvi sempre con la stessa integrità e passione di chi, invece, è estraneo alle dinamiche locali è forse illusorio.
Luigi Montagnini è un medico anestesista-rianimatore. Dopo aver vissuto a Varese e Londra, oggi è a Genova, dove lavora presso l’Istituto Gaslini. Da diversi anni collabora con Medici Senza Frontiere.
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