Interni / Intervista
In Italia i “poveri” mangiano male: il rapporto tra basso reddito e cattiva alimentazione
Chi ha redditi più bassi è spesso costretto ad acquistare cibo più economico e di scarsa qualità. Anche nel nostro Paese. Un fattore di rischio che può portare allo sviluppo di patologie -dai tumori alle malattie cardiovascolari- e incidere anche sulla crescita dei più piccoli, spiega Chiara Cadeddu, ricercatrice all’Università Cattolica
“Il problema della malnutrizione va inteso nel senso più ampio: non è solo la mancanza o la carenza di nutrienti di vario tipo all’interno dell’alimentazione di una persona, può essere anche una sovra-alimentazione. Io affronto questo tema in una prospettiva di sanità pubblica ed è un problema molto importante perché rappresenta un fattore di rischio per molteplici patologie che in Italia, purtroppo, sono molto frequenti anche a causa di una cattiva alimentazione”.
Chiara Cadeddu è ricercatrice del Dipartimento di Scienze della vita e sanità pubblica della facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. È tra i coordinatori scientifici dell’Italian institute for planetary health, polo di ricerca che mette al centro il rapporto tra salubrità e sostenibilità dell’alimentazione oltre agli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute umana. L’abbiamo intervistata per discutere con lei della complessa relazione tra alimentazione e povertà, sollevato nei giorni scorsi a Rimini dal ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida.
Professoressa Cadeddu, c’è una connessione tra cattiva alimentazione, malnutrizione e povertà?
CC Penso innanzitutto sia più corretto parlare di reddito e non di povertà, che è un concetto per cui non esiste una definizione univoca. Se prendiamo in considerazione le fasce di popolazione a basso reddito vediamo chiaramente che anche nel nostro Paese queste si alimentano peggio. Forse in passato i nostri nonni -che vivevano in un contesto sociale e culturale diverso da quello attuale- avevano la possibilità di coltivare un piccolo orto e scambiarsi i prodotti con i vicini. Ma oggi i più “poveri” acquistano i generi alimentari soprattutto in supermercati e discount andando alla ricerca di quelli meno costosi e che purtroppo sono anche quelli di peggiore qualità. A tutto questo si deve poi aggiungere un’altra componente “moderna”, il cosiddetto junk food il “cibo spazzatura” gustoso ed economico che attrae in particolare bambini e ragazzi.
È solo una questione di reddito?
CC Non solo, diversi studi dimostrano come la scolarizzazione incida su alimentazione e rischio malnutrizione: anche all’interno delle fasce di reddito più basse le famiglie e le persone con un livello d’istruzione più elevato si alimentano meglio e nutrono meglio i propri figli rispetto a chi ha una scolarizzazione più bassa.
Lei ha parlato del legame tra cattiva alimentazione e problemi nella sfera della salute. Può farci qualche esempio?
CC Si va da diversi tipi di tumore alle malattie cardiovascolari come l’ipertensione, dal diabete alla cosiddetta sindrome metabolica. Inoltre, per quanto riguarda la malnutrizione c’è un gradiente Nord-Sud che coincide con quello della qualità dell’assistenza sanitaria, che vede nelle Regioni del Sud e nelle Isole una maggiore presenza di individui sovrappeso e obesi, anche tra i minori. E questo è un problema particolarmente rilevante dal momento che le patologie connesse alla cattiva alimentazione sono multifattoriali. Sappiamo poi che nel Mezzogiorno mancano le infrastrutture dove fare attività fisica e le famiglie a basso reddito non possono permettersi di mandare i figli in centri sportivi privati: il discorso, quindi, diventa molto più ampio rispetto a quello strettamente collegato alla questione alimentare o nutrizionale. I nostri decisori politici dovrebbero tenerne conto.
Il rapporto 2022 su povertà ed esclusione sociale della Caritas stima che 1,4 milioni di bambini in Italia si trovino in condizioni di povertà assoluta e che non abbiano accesso a un’alimentazione adeguata. Che cosa significa questo per un bambino o una bambina?
CC Si traduce innanzitutto in problemi legati alla crescita e di tipo endocrinologico. Pensiamo ad esempio alla fase prepuberale, quando il corpo si trasforma per entrare nella pubertà: in questa fase dello sviluppo è fondamentale per i più piccoli avere accesso a un’alimentazione adeguata per assicurare un corretto sviluppo negli anni a seguire. Questo è particolarmente vero per le bambine, anche per prevenire l’insorgenza di disturbi legati alla fertilità. L’accesso a un’alimentazione adeguata, quindi, è qualcosa che non riguarda solo l’infanzia e l’adolescenza, ma può avere conseguenze di lungo periodo anche in età adulta.
I più recenti dati dell’Organizzazione mondiale della sanità stimano che nel nostro Paese il 37% dei bambini di nove anni di età sia sovrappeso e di questi il 16% obeso. Che effetti ha sul lungo periodo questa condizione?
CC Quando diventeranno adulti rischiano di essere esposti a un maggiore sviluppo di quelle malattie che citavo in precedenza, in particolare quelle cardiovascolari. Ci sono poi diversi studi che dimostrano come il maggiore rischio permane anche quando un bambino sovrappeso o obeso crescendo torna ad avere un peso normale. A mio avviso questa è una questione estremamente rilevante perché tutti i costi legati alla presa in carico di queste patologie e di queste condizioni vanno a ricadere sul Servizio sanitario nazionale.
A suo avviso ci sono altri elementi che vanno tenuti in considerazione?
CC Nel mio ambito di ricerca mi occupo anche di sostenibilità ambientale: penso sia estremamente importante iniziare a tenere in considerazione anche questo aspetto quando si affrontano le sfide legate all’alimentazione. Pensiamo, ad esempio, al consumo di carne rossa: sono ormai numerosi gli studi che ci dicono che ridurlo può dare benefici sia all’ambiente sia alla nostra salute. Tutti questi aspetti sono collegati tra loro e impattano, in modo diverso, sulla nostra salute.
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