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Economia / Approfondimento

Il cibo è sempre di più nelle mani di poche e grandi imprese multinazionali

© Red Zeppelin - Unsplash

Il sistema alimentare globale è dominato da un ristretto gruppo di aziende dal potere crescente. Gli esperti di Ipes-Food ha misurato questo oligopolio e fatto i nomi, formulando proposte per dar vita a nuovi processi decisionali democratici, limitare l’influenza industriale e imporre il rispetto di diritti umani e ambiente

Quattro aziende multinazionali controllano il 62,3% del settore dell’industria chimica per l’agricoltura. Altre quattro coprono il 60,5% del mercato dei prodotti farmaceutici per gli animali. E tra le prime dieci multinazionali, pubbliche e private, che commerciano materie agricole (cereali, carne, zucchero, etc.), le quattro davanti dominano le vendite con una quota del 66,8%.

Tre settori del sistema alimentare in cui la concentrazione di potere raggiunge i livelli più alti, le cui dinamiche però riguardano anche altri comparti: dalla fabbricazione di attrezzature per l’agricoltura, alla produzione di fertilizzanti fino al commercio degli alimenti.

Sull’attuale squilibrio che caratterizza il sistema alimentare globale riflette l’Ipes-Food, il gruppo internazionale di esperti di sostenibilità nel settore, in una recente breve nota informativa dal titolo “Who’s Tipping the Scales?”. Secondo gli esperti è arrivato il momento di riflettere sul ruolo delle grandi imprese private dell’industria agroalimentare e di regolamentare la loro influenza nei processi decisionali che regolano il sistema. “La crescente presenza delle imprese nei processi e negli spazi di governo ha creato una nuova normalità. Pochi governi sollevano dubbi e il coinvolgimento delle imprese nelle decisioni passa inosservato e non viene problematizzato”, scrivono infatti gli autori.

Il documento ricostruisce dal punto di vista storico l’evoluzione del fenomeno e fa il punto sulle strategie, esplicite o meno, messe in atto dai grandi gruppi per farsi spazio nei contesti istituzionali internazionali. Gli autori hanno messo insieme informazioni raccolte dalla revisione della letteratura scientifica, di documenti e di interviste con attori della società civile. Nella parte finale, inoltre, propongono idee per costruire processi decisionali più democratici e rendere le imprese più responsabili in termini di trasparenza, rispetto dei diritti umani e dell’ambiente.

Gli esperti di Ipes evidenziano come le strategie per guadagnare potere di mercato siano strumentali a sfruttare il ruolo dominante anche negli spazi internazionali. L’uso del potere economico per esercitare potere politico è considerato dagli autori una modalità di influenza meno esplicita e meno comprensibile dall’opinione pubblica generale. 


Negli anni si è assistito a una rinnovata attività di consolidamento delle grandi imprese. Le più grandi fusioni degli ultimi decenni includono aziende agroalimentari: Kraft e Heinz, Dow e Dupont, Anheuser Busch InBev e SABMiller. Attraverso queste operazioni le imprese aumentano le loro quote di mercato e sono in grado di modellare i mercati dei prodotti che vendono, anche creando barriere che impediscono ad altre di competere. I grandi gruppi sono infatti capaci di destinare elevate somme di denaro alla ricerca e sviluppo, di capitalizzare grazie alla protezione di brevetti e altre forme di diritti di proprietà intellettuale oppure di ridurre i prezzi pagati ai fornitori, a fronte di un aumento dei prezzi applicati agli acquirenti. Inoltre, man mano che le imprese aumentano di dimensioni, attirano maggiori investimenti finanziari, acquisendo la capacità economica per rilevare aziende rivali e concentrare ulteriormente il potere.

La grande disponibilità finanziaria permette anche alle aziende di esercitare direttamente una influenza sui responsabili politici, finanziando campagne elettorali, e sulla scienza e sull’opinione pubblica attraverso la sponsorizzazione di progetti di ricerca, la pubblicazione di articoli scritti dall'industria su riviste e quotidiani e il pagamento di annunci pubblicitari. 

Guadagnata una posizione dominante, le imprese sono diventate sempre più esplicite nel rivendicare la loro presenza nei processi e negli spazi di governo del sistema alimentare globale, spesso sostenendo di avere un ruolo chiave da svolgere nella trasformazione del sistema. Si sono così sviluppate iniziative di partenariato pubblico-privato.

Uno degli esempi più recenti di questo tipo di accordi è la partnership della Fao con CropLife, una grande organizzazione di lobby dei pesticidi che conta tra i suoi membri molte grandi aziende agroalimentari. Tra le più importanti ci sono poi la Global alliance for improved nutrition (Gain), l’Alliance for a green revolution in Africa (Agra) e l’iniziativa del G8 New alliance for food security and nutrition (Nafsn), che coinvolgono governi, organizzazioni internazionali, grandi imprese e fondazioni private. Questi partenariati hanno concesso alle aziende accesso privilegiato ai tavoli dei decisori e la possibilità di migliorare la propria reputazione attraverso i legami con l’Onu o altri organismi intergovernativi. Allo stesso tempo, accordi di questo tipo forniscono fonti di finanziamento fondamentali per iniziative del genere. 

Il documento dell'Ipes sottolinea poi come la narrazione della necessità di un coinvolgimento aziendale abbia permesso lo sviluppo di strategie di influenza più esplicite e dirette e la diffusione di iniziative multi-stakeholder, che mettono insieme attori pubblici e privati con interessi diversi, a scapito delle iniziative multilaterali tra Stati, e di usufruire così di finanziamenti pubblici. In questo contesto, nel 2021 il Vertice di alto livello delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari (Unfss), organizzato da Fao e World economic forum (Wef), ha rappresentato per gli esperti di Ipes il culmine del rafforzamento del rapporto tra organismi come la Fao e il settore agroalimentare. Più di mille organizzazioni della società civile, movimenti sociali e studiosi del sistema alimentare hanno firmato una dichiarazione per boicottare l'incontro "colonizzato” dalle aziende agroalimentari. Lo stesso Relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo, Michael Fakhri, aveva espresso forti dubbi sull’evento e sui risultati ottenuti.

L’influenza dei grandi gruppi industriali preoccupa gli studiosi del sistema alimentare perché produce iniziative non efficaci od opache, come i meccanismi di certificazione sui prodotti ideati dalle industrie. Un esempio è quello che certifica la coltivazione sostenibile dell’olio di palma ma che non ha impedito violazioni di diritti umani e di standard ambientali, denunciate anche da inchieste giornalistiche. Inoltre le pressioni esercitate dalle imprese possono compromettere misure di salute pubblica come l'etichettatura informativa sulla confezione, o le tasse sui prodotti alimentari ultra-lavorati e sulle bevande zuccherate, spingendo i decisori verso approcci che lasciano la possibilità ai privati di intervenire su base volontaria. Così come forte può essere la pressione per evitare regole che impongono alle imprese di assumersi la responsabilità, sia dal punto di vista legale che finanziario, quando le loro pratiche causano danni a terzi.

Gli sforzi in corso per limitare il potere delle imprese, come i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani e il processo di elaborazione di un trattato Onu vincolante sulle imprese transnazionali e i diritti umani, sono considerate da Ipes incomplete, insufficienti e soffocate dalla capacità di governi e imprese potenti di bloccare cambiamenti significativi.

Solo un ripensamento radicale, che trasformi i sistemi e le strutture di potere esistenti, potrà secondo il documento contrastare la conquista del sistema alimentare da parte delle imprese, prendendo spunto dalle azioni intraprese in passato dall’Organizzazione mondiale della sanità in contrasto alle industrie del tabacco. Le raccomandazioni proposte per compiere i primi passi verso una riprogettazione dei sistemi alimentari nell'interesse pubblico sono divise in base a tre principi. Il primo riguarda la regolamentazione dei rapporti tra le imprese e il pubblico e propone di implementare meccanismi chiari per la valutazione, il monitoraggio e la gestione dei conflitti di interesse delle industrie; rafforzare le norme che regolano i mercati finanziari per ridurre la speculazione sulle materie prime alimentari; definire regole più severe sulle attività di lobbying e sul finanziamento alla politica, alla ricerca e nel settore pubblicitario. Il secondo punta a democratizzare i processi di governo dei sistemi alimentari, sostenendo un approccio basato sui diritti umani e strumenti di riparazione per correggere i torti e le ingiustizie del passato, nonché strutture per prevenire le ingiustizie in futuro. L’ultimo principio indicato infine raccomanda di costruire spazi autonomi di confronto per dare spazio e voce alle rivendicazioni e alle proposte delle organizzazioni di persone e dei movimenti sociali. 

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