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In epoca di “ripresa e resilienza” l’interdittiva antimafia è stata mitigata. Perché?

© Simone Secci - Unsplash

Due novità introdotte per decreto nel “Codice antimafia” vorrebbero tutelare le aziende in merito ai provvedimenti preventivi adottati dalle prefetture. Il rischio è però di agevolare realtà contigue alla criminalità organizzata, spiegano David Gentili e Ilaria Ramoni

Contraddittorio nel procedimento e prevenzione collaborativa. Sono le principali novità introdotte nel “Codice antimafia” a seguito della pubblicazione del decreto legge “Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale (Serie Generale, 6 novembre del 2021).

Novità non di poco conto, desiderate dalla DIA (leggi intervista a Vallone ne Lavialibera), e accolte positivamente da Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone (dichiarazioni sul Domani del 16 novembre scorso), che, a parere di chi scrive, rischiano però di rendere meno efficaci le informative antimafia. O meglio, ne potrebbero depotenziare l’effetto deflagrante, improvviso e immediatamente efficace che fino al 6 novembre scorso possedevano. Ora dovranno essere definitivamente convertite in legge dai due rami del Parlamento.

Pare strano però: proprio nel momento in cui arrivano i fondi del Pnrr, proprio nel momento di massima attenzione al rischio di infiltrazioni mafiose, l’ago della bilancia si sposta verso la tutela delle aziende. Tutela legittima, ovviamente, se non rischia di agevolare le realtà contigue alla criminalità organizzata. Vediamo perché.

Siamo all’interno del Titolo IV (“Investimenti e rafforzamento del sistema di prevenzione antimafia”) del Capo I (“Investimenti e rafforzamento del sistema di prevenzione antimafia”). Qui si trova l’articolo 48 del decreto legge n. 152/2021, rubricato “Contraddittorio nel procedimento di rilascio dell’interdittiva antimafia”, che emenda l’art. 92 del “Codice antimafia” e l’art. 93 di questo stesso Codice e l’articolo 49 del d.l. n. 152/2021, rubricato “Prevenzione collaborativa”, che introduce il “nuovo” art. 94-bis del “Codice antimafia”. Partiamo dal nuovo istituto introdotto.

La prevenzione collaborativa può essere decisa dal prefetto quando accerta che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale. In questo caso sembrerebbe che l’informativa antimafia non venga emessa, essendo invece previsto un serrato scambio di richieste e di documentazione grazie al quale la prefettura monitorerà l’azienda per minimo sei mesi, massimo un anno, al termine del quale dovrebbe venire presa una decisione definitiva in merito alle sorti aziendali.

Dobbiamo qui ricordare che prima del 6 novembre l’informativa antimafia veniva emessa per tutte le aziende che si aggiudicavano appalti soprasoglia europea, per le concessione di beni demaniali oppure per le attività commerciali, quando il Comune ne faceva richiesta. Se dalle informazioni raccolte viene attestato il tentativo di infiltrazione mafiosa allora viene emessa l’interdittiva che blocca il provvedimento di aggiudicazione, di concessione o di autorizzazione.

Il concetto di tentativo di infiltrazione mafiosa è in effetti poco concreto e da molti già visto come una eccessiva anticipazione di tutela del bene giuridico. Lecita, nel nostro ordinamento, perché volta a contrastare un fenomeno così devastante per la nostra democrazia come quello mafioso.

Nel “Codice antimafia” vengono elencati in diversi articoli gli elementi da cui il prefetto, come detto titolare dell’emanazione questo provvedimento preventivo di natura amministrativa, può desumere il tentativo di pericolo di infiltrazione mafiosa da condotte sintomatiche e da una serie di elementi fattuali, taluni dei quali elencati all’articolo 84 comma 4, del “Codice antimafia”: i cosiddetti reati spia. Altri sono lasciati alla discrezionalità dell’autorità amministrativa, che può desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata (articolo 91, comma 6, “Codice antimafia”).

La definizione con la quale viene individuata la nuova fattispecie prevista nel decreto e inserita come nuovo articolo 94 bis nel “Codice antimafia”, lascia perplessi. Risulta infatti, a parere pressoché unanime, già piuttosto complicato provare l’agevolazione alle organizzazioni criminali mafiose. Figurarsi un’agevolazione che viene definita occasionale.

L’agevolazione occasionale delle attività criminose è diversa dall’agevolazione indiretta e dal condizionamento. Nel condizionamento si immagina che l’azienda abbia subito il tentativo di infiltrazione mafiosa. Nell’agevolazione occasionale pare emergere una volontà dell’azienda di agevolare l’organizzazione criminale. E quindi saremmo davanti ad una condotta ed ad un elemento psicologico più grave di quello di chi subisce il condizionamento.

Il rischio che vediamo è che la prevenzione collaborativa possa scattare in ogni procedura già avviata, laddove si intraveda anche solo la possibilità dell’applicazione di una interdittiva. Anche perché è lecito ritenere che una azienda che agevoli l’organizzazione criminale mafiosa direttamente e permanentemente, e non saltuariamente, integri un vero e proprio reato. Mentre l’informativa antimafia è un provvedimento di natura amministrativa e non penale. Pensare che un’interdittiva venga emessa “solamente” a causa dei reati spia quando non viene ravvisata l’agevolazione saltuaria all’organizzazione mafiosa sembra peraltro altamente improbabile.

Possiamo sostenere con buona certezza che tutte le procedure che prima del 6 novembre avrebbero prodotto un’informativa antimafia, ora avvieranno una misura, la prevenzione collaborativa, che prevederà uno scambio costante di documentazione, che monitorerà l’azienda e che potrà durare per un anno. Un periodo durante il quale l’azienda sarà già in cantiere. Prima del 6 novembre l’azienda che subiva un’interdittiva cessava immediatamente di lavorare oppure, laddove fosse giunta l’interdittiva nei termini previsti, l’aggiudicazione sarebbe stata assegnata al secondo classificato, la concessione non sarebbe stata sottoscritta e l’attività commerciale sarebbe stata interrotta.

Il Contraddittorio, invece, altra novità introdotta dal Decreto, si applica quando si ritengano sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva ovvero per procedere all’applicazione della nuova prevenzione collaborativa e non ricorrano particolari esigenze di celerita’ del procedimento. E fin qui, in linea teorica la ratio sarebbe anche giusta. In buona sostanza, però, mentre la prefettura prima del 6 novembre scorso avrebbe emesso l’interdittiva e basta, ora dovrà dare tempestiva comunicazione al soggetto interessato, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. A questo punto verranno assegnati venti giorni per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, nonche’ per richiedere l’audizione. Potranno passare fino a 60 giorni per la conclusione del contraddittorio. Termine, peraltro, non perentorio.

Quindi potrebbe essere rimandato per più di un anno il provvedimento interdittivo che prima del 6 novembre sarebbe stato emesso immediatamente con gli effetti che abbiamo descritto sopra. Perché, quindi, anche chi ha fatto della lotta alla mafia il proprio quotidiano impegno ha accolto con favore tale modifica legislativa? I dati di Expo 2015 sono ancora impressi nella memoria degli addetti ai lavori: 97 interdittive antimafia relative a 67 imprese. Francesco Paolo Tronca, allora prefetto di Milano, stimò anche il valore dei contratti che rischiavano di andare alle aziende oggetto di tentativi di infiltrazione mafiosa: 200 milioni di euro. Per difetto. Al netto delle indagini per corruzione. Da tutti fu indicato un modello di intervento di successo.

La prefettura di Milano ci ricorda anche, giustamente, che il Consiglio di Stato gli ha dato sempre ragione. Che le imprese colpite da interdittiva possono avvalersi del controllo giudiziario che, se concesso, permette loro di proseguire nell’appalto.

C’è anche la possibilità dell’aggiornamento a fronte di operazioni di cosiddetto self cleaning aziendale, ora sostituito dal contraddittorio che evita, a monte, l’emissione dell’interdittiva. Se la ratio del supplemento di contraddittorio la capiamo e possiamo anche condividerla, la prevenzione collaborativa proprio non riusciamo a inquadrarla. Difficile capire quando adottarla, pesa drammaticamente sulle prefetture che rischiano di non avere risorse per gestirla al meglio.
Lo sappiamo, nei prossimi anni arriveranno molti soldi che andranno spesi per efficientare il nostro Paese. Tutto il nostro Paese. Ma c’era proprio bisogno in epoca Pnrr di mitigare gli effetti di una misura preventiva così deflagrante?

David Gentili, counsellor psico-sociale, ha lavorato per anni in ambito educativo, in particolare come mediatore sociale nel carcere di San Vittore, ha insegnato educazione etica all’istituto professionale Rizzoli e oggi lavora per la Fondazione ENAC occupandosi di inserimento lavorativo delle categorie protette. È stato Consigliere comunale del Comune di Milano dal 2008 al 2021 e presidente della Commissione antimafia. Con Ilaria Ramoni e Mario Turla è autore del libro “Il giro dei soldi”.

Ilaria Ramoni, avvocata, si occupa da sempre di contrasto alle mafie, personalmente e professionalmente. Ha militato per 10 anni in Libera Milano, di cui è stata coordinatrice. È esperta in diritto del lavoro, ambientale e legislazione antimafia e Amministratore Giudiziario di beni confiscati. Autrice del libro “Per il nostro bene” (Chiare Lettere) con Alessandra Coppola sul tema dei beni confiscati.

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