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Crisi climatica / Intervista

Il ruolo dell’attribution science nell’indagare il clima che cambia

Friederike Otto è senior lecturer presso il Grantham institute for climate change and the environment all’Imperial College di Londra. Ha fondato e dirige il gruppo di ricerca World weather attribution

La climatologa Friederike Otto è tra i fondatori del gruppo di ricerca World weather attribution che studia un nuovo ambito: le relazioni tra cambiamenti climatici ed eventi meteorologici estremi. L’abbiamo intervistata

Tratto da Altreconomia 245 — Febbraio 2022

Friederike Otto è stata riconosciuta lo scorso dicembre dalla rivista Nature tra i dieci scienziati che hanno contribuito maggiormente al progresso scientifico nel corso del 2021. Grazie agli studi del World weather attribution (gruppo di ricerca che ha fondato nel 2014 in collaborazione con diverse università tra cui l’Imperial college di Londra e l’Istituto meteorologico reale dei Paesi Bassi) è stato possibile sviluppare la cosiddetta attribution science, una nuova branca della scienza che mette in relazione cambiamenti climatici ed eventi meteoreologici estremi. 

“L’attribution science ha guadagnato molto credito negli ultimi sette anni -spiega Otto ad Altreconomia– sia per un miglioramento tecnologico che ci ha permesso di effettuare simulazioni più precise e rapide, sia per una maggiore consapevolezza sulla lotta per il clima”. Riguardo l’importanza di una corretta divulgazione scientifica Otto sostiene che “la pandemia da Covid-19 ci ha mostrato come la nostra società manchi di comprensione sul funzionamento del metodo scientifico. I miei studi in filosofia della scienza, in cui ho un dottorato, mi hanno aiutata a pormi le giuste domande e a guardare il problema in modo più completo”.

Professoressa Otto, come si è sviluppata l’attribution science?
FO Tutto ha avuto inizio nel 2010 quando le ondate di calore in Russia provocarono la morte di quasi 55mila persone. Sul fenomeno sono stati pubblicati due studi di attribuzione: uno riportava che le cause erano principalmente naturali, mentre il secondo affermava che i cambiamenti climatici lo avevano reso cinque volte più probabile. Da allora ho iniziato a studiare la materia perché volevo sapere come fosse stato possibile giungere a conclusioni così diverse. Abbiamo condotto un’analisi indipendente e scoperto che entrambi i lavori erano corretti perché i ricercatori si erano posti domande diverse. Il primo gruppo si era domandato se il riscaldamento globale fosse stato l’unico fattore, il che ovviamente non era vero visto che il clima è governato da molteplici forze. Chi, invece, aveva trovato la causa nei cambiamenti climatici si era limitato a chiedersi se influenzano le ondate di calore estreme.

Quali sono i motivi dietro al crescente “successo” di questa scienza?
FO È stato un processo a tappe: migliorando le nostre tecnologie e allargando il nostro team siamo riusciti a produrre più lavori su diversi fenomeni. Il che ci ha permesso di comunicare meglio sia il nostro metodo, sia l’urgenza nell’affrontare i cambiamenti climatici. Quest’anno abbiamo ottenuto alcuni importanti riconoscimenti: il principale è arrivato dall’Intergovernamental panel on climate change (Ipcc) che ha tenuto in considerazione i risultati raggiunti dalle nostre ricerche all’interno del loro ultimo rapporto “Climate change 2021: the physical science basis”, pubblicato ad agosto 2021. I recenti riconoscimenti ci hanno permesso di dimostrare che l’attribution science non è frutto di qualche pazzo, ma che si tratta di un nuovo campo di ricerca coerente con il metodo scientifico e sostenuto dalla comunità. Infine quest’anno abbiamo studiato alcuni eventi che hanno avuto un grande impatto mediatico come l’ondata di calore in Canada e nel Nord degli Stati Uniti, dove sono stati sfiorati i 50 gradi. Grazie al lavoro del nostro gruppo abbiamo potuto stabilire rapidamente che questo evento non sarebbe mai accaduto senza l’influenza dell’uomo. Penso che i nostri risultati siano molto importanti per trasmettere al pubblico che cosa significa vivere in un mondo governato dai cambiamenti climatici. 

“Limitandosi a considerare il ruolo delle emissioni climalteranti si rischia di sottovalutare la vulnerabilità del sistema, che è spesso un fattore decisivo nel trasformare un fenomeno meteorologico in una catastrofe”

Quali sono i più grandi fraintendimenti sui cambiamenti climatici?
FO
 Uno dei più importanti è pensare che tutti gli eventi estremi siano causati unicamente dai cambiamenti climatici. Limitandosi a considerare il ruolo delle emissioni climalteranti si rischia di sottovalutare la vulnerabilità del sistema, che è spesso un fattore decisivo nel trasformare un fenomeno meteorologico in una catastrofe. Un altro errore è ritenere che quello di 1,5 gradi (limite stabilito dall’Accordo di Parigi sul clima) sia una sorta di soglia: se la superiamo il mondo verrà distrutto, ma fino a quando si rimane al di sotto non ci saranno conseguenze. Non è così che funziona il clima. Dobbiamo smettere di parlarne come se fosse qualcosa che avverrà in futuro quando sta già influenzando le nostre vite. 

Nel luglio 2021 violente piogge si sono abbattute su Germania, Belgio e Lussemburgo provocando l’esondazione di diversi fiumi. Sono morte più di 100 persone e i danni hanno superato quota 43 miliardi di dollari © www.istockphoto.com

Alcuni scienziati che negano il riscaldamento globale lo fanno sostenendo che il clima sia un sistema caotico e che l’aumento delle temperature faccia parte del suo ciclo naturale.
FO In un certo senso lo è: infatti abbiamo ancora ondate gelide oltre a picchi di caldo record. Il cambiamento climatico, però, è un fenomeno deterministico, basato su un meccanismo di causa-effetto: con l’aumentare della concentrazione di gas serra nell’atmosfera, una frazione sempre maggiore dell’energia proveniente dal Sole rimane prigioniera riscaldando il Pianeta. Agisce sul normale andamento caotico di un parametro come la temperatura media globale e la costringe a oscillare attorno a valori medi più alti. Sono quasi 200 anni, ben prima dell’elaborazione di qualsiasi modello climatico, che siamo consapevoli di come un incremento della CO2 in atmosfera avrebbe riscaldato la Terra.

Uno dei temi più attuali riguardo il cambiamento climatico è il greenwashing: come è possibile svelare le false pretese di sostenibilità da parte delle aziende?
FO Il greenwashing è sicuramente più insidioso rispetto alle narrazioni apertamente “negazioniste”. Il modo per fermare il riscaldamento in realtà è semplice: smettere di bruciare combustibili fossili. Se le iniziative che le aziende presentano come green non portano a una effettiva riduzione del consumo di carbone o gas è evidente che non possono essere considerate coerenti con un progetto di decarbonizzazione. Una delle principali strategie di greenwashing avviene promettendo compensazioni. Le aziende si vantano di piantare alberi per riassorbire le emissioni, ma non è possibile ammortizzarle completamente in questo modo. È necessario per tutte le imprese, soprattutto le più grandi, arrivare a consumare solo energie rinnovabili. Le domande che dobbiamo porre per smascherare il greenwashing sono: state effettivamente bruciando combustibili fossili? Avete inserito fonti energetiche non rinnovabili nei vostri piani futuri? Se la risposta è affermativa siamo davanti a una strategia che non ci aiuterà a raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica.

“A scuola non si impara che cos’è il metodo scientifico e come funziona. Esiste ancora questa idea dello scienziato solitario che arriva ai suoi risultati con un colpo di genio”

Lei ha conseguito un dottorato di ricerca in Filosofia della scienza nel 2012 alla Freie Universität di Berlino. In che modo l’ha aiutata nella sua ricerca?
FO Sono convinta che mi sia stato di grande aiuto nella ricerca a cui sto lavorando. In una facoltà come Fisica ti viene insegnato come risolvere le equazioni e come affrontare il formalismo. Ma ciò che si impara dalla filosofia della scienza è porsi delle domande del tipo: “Che cosa possiamo effettivamente imparare da un determinato metodo? A che cosa ci porta e quali sono i suoi limiti?”. Questi interrogativi sono stati di grande aiuto nella ricerca sul clima. 

La pandemia da Covid-19 ha mostrato al mondo l’importanza e la difficoltà di una corretta divulgazione scientifica. Quali strategie bisognerebbe adottare per una migliore comunicazione?
FO Attualmente alla nostra società manca la comprensione di come funziona la scienza. A scuola non si impara che cos’è il metodo scientifico e come funziona. Esiste ancora questa idea dello scienziato solitario che arriva ai suoi risultati con un colpo di genio. Non è così che funziona la ricerca scientifica: si tratta invece di un grande processo collaborativo in cui si valutano numerose ipotesi e dopo averlo fatto abbastanza volte si otterrà un risultato soddisfacente. Quando ci si trova davanti a un nuovo fenomeno, come la pandemia da Covid-19, ci si pone subito molte domande ma le risposte non arriveranno immediatamente. Si tratta quindi di comunicare correttamente i limiti del processo scientifico e dei risultati che si possono dare piuttosto che illustrare un singolo articolo, magari pubblicato in pre-print (prima di subire un processo di revisione, ndr). Per la scienza del clima vale la stessa questione, il citato rapporto dell’Ipcc di agosto 2021, proprio per come è costruito, rappresenta il documento scientifico più solido che ci sia: nonostante ciò contiene dati su cui abbiamo molte più incertezze. Ed è proprio sui fattori che non conosciamo con grande precisione che dobbiamo lavorare. 

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