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Ambiente / Opinioni

Il problema non è l’articolo 9 della Costituzione ma chi rovescia il senso delle cose

© Markus Spiske - Unsplash

È in atto una pesante operazione delle lobby industriali e finanziarie del “capitalismo green” per demolire il dettato costituzionale. Il grimaldello usato è inventare, isolare ed estrapolare una nozione generica di “ambiente” e contrapporla a quella di “paesaggio”, nel nome di un falso “sviluppo sostenibile”. L’intervento di Paolo Cacciari

Non è l’articolo 9 riformulato della Costituzione a essere sbagliato ma una sua interpretazione che rovescia il senso delle cose e che viene da ambienti filogovernativi, come l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis) del pluriministro Enrico Giovannini, e -molto più grave- da alcuni giudici (vedi, della VI sezione del Consiglio di Stato, la sentenza n. 08167/2022 REG.PROV.COLL. del 23/09/2022). 

È in atto una pesante operazione delle lobby industriali e finanziarie del “capitalismo green” (fotovoltaico a terra, pale eoliche ovunque, biocombustibili, “termovalorizzatori”, impianti di “cattura del carbonio”, oleodotti, trivelle, infrastrutture elettriche di ogni genere) per demolire l’articolo 9. Il grimaldello usato è inventare, isolare ed estrapolare una nozione generica di “ambiente” e contrapporla a quella di “paesaggio”, così da poter giustificare il sacrificio di valori ambientali specifici dei territori quali quelli paesaggistici, naturalistici, ecologici in nome del “principio di integrazione delle tutele, in virtù del quale -scrivono i giudici nella sentenza citata- le esigenze di tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile”. 

In tal mondo i giudici non solo contraddicono la lettera e rovesciano l’essenza della norma costituzionale (sia quella vecchia sia quella nuova), ma fanno rientrare surrettiziamente ciò che il Parlamento aveva esplicitamente cassato: la equivoca e contraddittoria nozione di “sviluppo sostenibile”. A essere colpiti -come è chiaro- non sono solo i valori paesaggistici, estetici, storico-culturali dei luoghi, ma gli ecosistemi nella loro interezza e integrità.

Secondo questi giudici, infatti, il “principio di integrazione” comporta un “adeguato equilibrio” tra interessi differenziati e contrapposti che si applica non soltanto in riferimento alle tutele del patrimonio culturale e ambientale, ma anche alle “attività produttive” nel loro insieme e, in particolare, al “valore dell’iniziativa economica privata”. Se poi questi ultimi interessi economici prendono la forma di “impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili” utili alla “transizione energetica” e dichiarati “opere di pubblico interesse”, allora non c’è tutela paesaggistica o ecologica che tenga. 

Ma procediamo con ordine. Ricordiamo i due commi che sono stati aggiunti da Camera e Senato l’8 febbraio 2021. All’articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali“. E, conseguentemente, all’articolo 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. In concreto si tratta di un’aggiunta a completamento e rafforzamento del principio generale della salvaguardia delle basi materiali della vita. 

A me pare del tutto evidente che la Costituzione pone i beni individuati in questi articoli (cultura, ricerca scientifica, paesaggio, patrimonio storico e artistico, biodiversità e animali, salute, libertà, dignità umana) sullo stesso piano e rango. Non può esserci tutela di uno ai danni di un altro.

Trattandosi di beni fondamentali e insostituibili, sono intangibili e inalienabili. Non si tratta di “riequilibrare” e “bilanciare” il loro grado di tutela, in una aritmetica di interessi contrapponibili, dove alcuni beni perdono di importanza e altri ne acquistano. Sacrifici di beni primari tutelati dalla parte prima della Costituzione non sono ammessi, nemmeno se la manomissione dovesse avvenire “a fin di bene”. Del resto, si tratta di un concetto noto in campo ecologico e riconosciuto anche a livello europeo proprio nelle politiche ambientali: “Do no significant harm” (Dnsh). Gli interventi su un settore (ad esempio quello energetico) non devono arrecare danni ad altre matrici ambientali (per esempio la preservazione della biodiversità). 

La VI sezione del Consiglio di Stato afferma invece che “l’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale (espresso dall’Amministrazione dei beni culturali, contro la realizzazione di pale eoliche) non ha, nel caso concreto, il peso e l’urgenza per sacrificare interamente l’interesse ambientale indifferibile della transizione ecologica, la quale comporta la trasformazione del sistema produttivo in un modello più sostenibile che renda meno dannosi per l’ambiente la generazione di energia e la produzione industriale, più in generale, lo stile di vita delle persone”. 

È lo stesso concetto espresso più brutalmente dalle imprese green dell’Asvis. “Le fonti rinnovabili sono la strada da seguire, ma sappiamo che ci sono resistenze da parte di alcuni, perché secondo questi soggetti, per esempio, gli impianti eolici o quelli fotovoltaici rovinano o rovinerebbero il paesaggio. Come se il nostro meraviglioso paesaggio potesse resistere alle crisi climatiche, come se le nostre meravigliose colline toscane, per fare un esempio, non rischierebbero di essere annientate proprio dall’aumento delle temperature -come ha affermato il professor Giovannini il 20 giugno 2023-. La modifica della Costituzione, da questo punto di vista, che mette sullo stesso piano la tutela del paesaggio e la tutela dell’ambiente, nell’interesse delle generazioni future, è un passo in avanti importante per riequilibrare queste esigenze”.

Se le cose stanno così, ho difficoltà a capire le critiche che vengono ripetutamente avanzate alla riformulazione combinata degli articoli 9 e 41 della Costituzione da parte di alcuni intellettuali che sono punto di riferimento di tante battaglie a difesa del patrimonio storico, artistico e naturalistico del nostro maltrattato Paese (Tomaso Montanari e Salvatore Settis in specie). Che cosa c’è di sbagliato nell’introdurre anche nella nostra Costituzione le parole ambiente, biodiversità ecosistemi, animali? 

Se le parole hanno ancora un valore e un senso contenutistico anche nelle leggi e nelle aule dei tribunali -e io credo che sarebbe bene battersi perché così sia-, allora le parole aggiunte sono chiare e inequivocabili.

Prima obiezione, si dice che è stata un’improvvisata. Non è vero. Della questione se ne discuteva da alcuni decenni per iniziativa di molte associazioni, studiosi e forze politiche. Cito ad esempio il testo presentato nella XI legislatura nel 1992 con firme importati: Matteoli, Scalia, Galasso, Serafini, Turrorni, Calzolaio e molti alti deputati Verdi, Partito democratico della sinistra, Margherita, Rifondazione Comunista (Prc). Immodestamente ricordo che io stesso a nome del Prc mi feci promotore di una proposta di legge costituzionale nel 2007, con una formulazione simile a quella approvata poi nel febbraio del 2022. In tutti questi anni il confronto e lo scontro c’è stato ed è stato anche molto duro.

Per semplificare, si sono confrontate due visioni: da un lato l’idea dei “diritti della natura” sull’esempio del nuovo costituzionalismo dei movimenti indigeni latinoamericani (la nuova costituzione dell’Ecuador del 2008, e molte altre esperienze di tutela di grandi ecosistemi fluviali e montani in India e in altri Paesi asiatici); dal lato opposto la proposta avanzata sulla scia degli Obiettivi dello sviluppo dell’Onu (2015) dalla potente coalizzate Alleanza per lo sviluppo sostenibile che attraverso una larga campagna di stampa e raccolte di firme proponevano di inserire in Costituzione lo “sviluppo sostenibile”. Questo sì sarebbe stato un disastro, un viatico per ogni tipo di intervento ai danni della natura, oltre che del paesaggio. Se siamo riusciti a impedire tale manomissione lo dobbiamo a tutti quegli scienziati, giuristi e movimenti (soprattutto -lo devo dire – ai movimenti animalisti ed ecologisti più radicali) che si sono fatti sentire nelle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato nel lungo andirivieni dei testi. Un ringraziamento particolare alla senatrice Loredana De Petris, che si appassionò (non sola) alla questione. Quindi, ottenemmo doppio risultato: battuto lo “sviluppo sostenibile” e approvata una formulazione corretta. E questo non capita spesso.

Seconda obiezione. La formulazione sarebbe inutile e pleonastica, poiché la giurisprudenza costituzionale ha da tempo equiparato la difesa del paesaggio a quella degli ecosistemi. Ma non è sempre andata così (vedi sentenze sull’Ilva di Taranto) e non è sempre possibile a comitati e movimenti arrivare fino alla massima Corte. Meglio quindi fornire altri strumenti giuridici alle lotte per la difesa dell’ambiente (naturale, storico-artistico e biologico). Non dimentichiamoci della “funzione maieutica” dei testi costituzionali come ricorda Massimo Villone su il manifesto dell’11 febbraio 2022.

Terza obiezione. La nuova formulazione aprirebbe una possibile contrapposizione in sede giurisdizionale tra “paesaggio” e “ambiente” naturale. È vero che gli azzeccagarbugli riescono in imprese che a noi umani sono impossibili, ma in questo mondo “e” non è “o”. La nuova formulazione non crea alcuna gerarchia tra i beni da tutelare, anzi li equipara. Quindi non se ne può sacrificare uno in nome di un altro (ambiente vs paesaggio). Abbiamo però già visto che nelle file dei cementificatori (compresi quelli delle pale eoliche e del fotovoltaico a terra) c’è chi sostiene questa ardita tesi. Non abbiamo alternative che prepararci a sconfiggerli. Sapendo che mai come oggi la Costituzione è dalla nostra parte. 

Quarta obiezione. I termini ambiente, biodiversità ed ecosistema non avrebbero contenuto scientifico. Non sarebbero in grado, cioè, di contemplare al loro interno questioni come il clima, le acque, il suolo, etc.. I miei maestri di ecologia (non li cito solo perché la bibliografia sarebbe troppo lunga) mi hanno insegnato che l’ecologia è la scienza delle connessioni e che tutti i cicli naturali che reggono la trama della vita sul Pianeta sono interconnessi e complementari. Non se ne scappa. Un ecosistema (leggo dal dizionario) è l’insieme degli organismi viventi e delle sostanze non viventi con le quali si stabilisce uno scambio di materiali e di energia.

Capisco la diffidenza preventiva verso ogni proposta di modifica della Costituzione. Il clima generale politico e culturale non è certo tra i più favorevoli. Così come -al pari- non mi illudo del fatto che basti un articolo della Costituzione a garantire la sua attuazione (se fosse così oggi non avremmo disoccupazione, malasanità, abbandoni scolastici o discriminazioni di genere). Ma mi pare sinceramente autolesionistico non riconoscere che le aggiunte agli articoli 9 e 41 possono costituire un punto di forza per la lotta per la salvaguardia dei nostri territori.

Paolo Cacciari (Venezia, 1949), laureato in architettura, è giornalista e autore, ma anche attivista nei movimenti sociali, ambientalisti e per la decrescita. Eletto Deputato nella XV legislatura, negli anni 2000 è stato a più riprese amministratore, assessore e vice-sindaco del Comune di Venezia. Il suo ultimo libro per Altreconomia s’intitola “Ombre verdi”.

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