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Altre Economie / Intervista

Il primo “Festival del lavoro nelle aree interne”. Una questione di futuro

Dal 25 al 27 maggio a Soveria Mannelli (CZ) esordirà la rassegna voluta da RESpro, Rubbettino e Fondazione Appennino. Al centro, le fragilità e le opportunità di “un patrimonio nei territori interni dell’Italia contemporanea”. Intervista ad Augusto Ciuffetti, professore di Storia economica all’Università Politecnica delle Marche

Augusto Ciuffetti è professore associato di Storia economica presso la Facoltà di Economia “Giorgio Fuà” dell’Università Politecnica delle Marche e docente a contratto di Storia dell’Adriatico e del Mediterraneo presso l’Università degli Studi di Macerata. È anche presidente dell’associazione RESpro, Rete di storici per i paesaggi della produzione, che dal 25 al 27 maggio promuove -con Rubbettino e Fondazione Appennino- il primo Festival del lavoro nelle aree interne, che si terrà a Soveria Mannelli (CZ) ed è dedicato a “Il lavoro tra passato e futuro”, tre giorni per affrontare fragilità e opportunità nei territori interni dell’Italia contemporanea.

Punto di partenza sono riflessioni già presenti nel suo libro dedicato all’Appennino (Carocci, 2019), nato da una serie di incontri tenuti in varie località dell’Appennino maceratese dopo il terremoto che tra il 2016 e il 2017 ha colpito l’Italia centrale, di cui Ciuffetti è originario. “Nell’Appennino sono maturati nel lungo periodo comportamenti e modalità lavorative (capacità di svolgere mestieri diversi nelle prospettive della pluriattività e della protoindustria), attitudini a una continua mobilità sinonimo di apertura e di crescita (transumanze e migrazioni stagionali di braccianti e artigiani) e modelli economici e sociali (centralità delle comunità di villaggio e gestione collettiva delle risorse, come pascoli e boschi, attraverso la pratica degli usi civici e dei beni comuni) assolutamente originali e alternativi agli schemi predominanti. Sono questi i connotati di una società ‘tradizionale’ che ha permesso all’Appennino dell’Italia centrale di resistere al declino economico e al ripiegamento demografico, sinonimo di spopolamento, almeno fino agli anni Cinquanta del Novecento, quando il ‘miracolo economico’ ha cambiato la chiave interpretativa dello sviluppo italiano, trasformando in spazi arretrati, poveri e marginali dei territori che non lo sono mai stati, almeno fino a tempi recenti”.

Perché a dieci anni dall’avvio della Strategia nazionale aree interne e di una riflessione culturale intorno a questi territori avete ritenuto opportuno porsi una questione legata al lavoro nelle aree interne?
AC Non sempre, nel dibattito cresciuto intorno alle aree interne, si è assegnata una posizione centrale al lavoro, a differenza dei servizi e delle infrastrutture. Esso rappresenta, invece, l’unico approccio possibile per evitare il definitivo declino dei paesi delle aree interne e nello specifico della dorsale appenninica. L’evento sarà l’occasione per superare anche altre retoriche, come quella del turismo come unica opportunità per i territori montani o come quella dei giovani destinatari di ogni progetto di rilancio, mentre le comunità nel loro insieme vengono poste in secondo piano. All’interno delle comunità vivono persone anziane depositarie di memorie fondamentali per le identità dei paesi. La lunga storia di queste realtà ci consegna una moltitudine di mestieri in grado di indicare validi percorsi per il futuro, da rileggere in una chiave moderna e di qualità, capace di preservare preziose originalità. 

Hai già parlato di turismo come di una retorica che vuole che sia l’unica opportunità per le aree interne e i borghi: può una monocoltura e l’occupazione che genera garantire la sopravvivenza demografica di un territorio?
AC Per anni si è insistito sul turismo come unico percorso capace di garantire un futuro certo alle tante comunità delle aree interne. Non è così, perché agli spazi montani si applicano forme di turismo di massa che non possono funzionare. Si tratta di modelli che interpretano le aree interne appenniniche e alpine come una sorta di prolungamento di contesti urbani congestionati e sovraffollati, modelli che scaturiscono da logiche predatorie e di sfruttamento, le quali, anziché favorire la tenuta demografica delle comunità montane ne favoriscono lo spopolamento. Il caso della stazione sciistica di Frontignano di Ussita (MC) è in tal senso emblematico. Nello stesso periodo in cui Frontignano, tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento, diventa la principale stazione per sport invernali dei Monti Sibillini, l’intero territorio comunale registra anche i più alti tassi di spopolamento. I progetti che oggi si ripropongono per le nostre montagne, basati sulla costruzione di nuovi impianti di risalita, rispondono ormai a logiche antiquate, del tutto superate e distanti dalle reali esigenze dei territori locali. 

Avete ricevuto decine di paper e selezionato una ventina di storie ed esperienze da raccontare: quali sono a tuo avviso alcune esperienze significative ed esemplari?
AC Tutte le esperienze sono importanti quando partono dal basso attraverso dei processi di partecipazione diretta, quando sono le comunità a essere protagoniste del loro destino, opponendosi a una marginalità imposta dall’esterno. E sono significative quando riescono a riscoprire la storia dei territori di riferimento, con attività lavorative e mestieri legati a precisi contesti sociali e culturali, che evitano facili omologazioni. Il futuro di questi paesi è nella loro unicità, nella loro capacità di rifarsi a modelli economici del tutto alternativi a quelli dominanti, inadeguati a preservare delicati equilibri ambientali. Si pensi, in tal senso, alla gestione collettiva delle risorse praticata per secoli attraverso le comunanze agrarie, che oggi possono rivivere nella formula delle cooperative di comunità. Le comunità devono diventare i veri centri decisionali, rifiutando le soluzioni imposte dall’alto, tese a salvaguardare interessi del tutto estranei alle comunità stesse. 

Si può parlare anche di terremoto e di aree sismiche: quali sono le specificità di questo territorio e come queste potrebbero generare occupazione?
AC I terremoti costituiscono un carattere originario della dorsale appenninica. Da sempre le comunità montane convivono con i terremoti, che funzionano da semplici amplificatori di fenomeni già in atto. Gli eventi sismici alimentano le crisi e i processi di spopolamento nelle congiunture negative ma si possono configurare anche come occasioni di rilancio e rinnovamento. I terremoti che negli ultimi decenni hanno colpito l’Italia centrale ci dicono che i paesi possono risollevarsi soltanto ripartendo dalle persone e da una ricostruzione che deve assumere un carattere sociale e non solo fisico. Affinché una comunità possa continuare a esistere è necessario prendersi cura della sua memoria, come punto di riferimento per ogni processo rivolto al futuro. Per vivere una comunità ha bisogno di quelle attività lavorative da sempre presenti al suo interno, da riattivare mediante una concreta e fattiva micro-progettualità, ma soprattutto ha bisogno di essere aperta, solidale, ben disposta nei confronti di ogni diversità e accogliente. 

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