Diritti / Opinioni
Il peso del lavoro irregolare sui conti pubblici
Potenziare i controlli non solo permetterebbe di migliorare le condizioni di sicurezza ma anche di ridurre l’evasione contributiva e fiscale. La rubrica di Pierpaolo Romani
“Non c’è dubbio che il problema dell’evasione fiscale sia grave per qualunque Paese. Lo è in maniera importante per l’Italia”. Sono queste le parole pronunciate a fine novembre 2022 dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella al termine della visita in Svizzera. Ai primi di dicembre, il commissario europeo per l’Economia Paolo Gentiloni ha affermato: “Le finanze pubbliche hanno bisogno di solide entrate fiscali”. L’occasione è stata la presentazione del rapporto della Commissione europea sull’evasione dell’Iva che vede l’Italia al primo posto tra i ventisette Paesi Ue, con un mancato incasso annuo stimato in 26,2 miliardi di euro. In altri termini: nel nostro Paese più di un quinto dell’Iva dovuta all’erario non viene pagata.
Da dieci anni un documento illustra dettagliatamente il cosiddetto tax gap, ovvero la differenza tra quanto lo Stato dovrebbe riscuotere sotto forma di imposte (fiscali e contributive) e quanto incassa realmente. Si tratta della “Relazione sull’economia non osservata”, allegata alla documentazione che accompagna la legge di Bilancio: è una vera e propria miniera di informazioni. I dati presentati nell’ultima edizione si riferiscono al quinquennio 2015-2019 mentre quelli relativi agli anni 2020 e 2021 sono in parte ancora in elaborazione sulla base dei conti nazionali pubblicati dall’Istat a marzo 2022.
Il primo elemento che balza agli occhi è che il tax gap italiano si colloca sotto la soglia dei cento miliardi di euro (più precisamente 99,2 miliardi) di cui 86,5 di mancate entrate tributarie e 12,7 di mancate entrate contributive. Questo è dovuto principalmente alla diminuzione dell’evasione di Iva, Irap, locazioni e canone Rai. In controtendenza il dato riguardante il mancato versamento delle accise sui prodotti petroliferi e, soprattutto, l’Irpef relativa al lavoro autonomo e impresa dove la tassazione dovuta evasa ammonta a 32 miliardi di euro. In un Paese come l’Italia, dove il lavoro regolare si sta caratterizzando per la precarietà e i bassi salari, la Relazione evidenzia come nel 2019 l’economia sommersa da lavoro irregolare valga 77 miliardi di euro (il 4,8% del Pil). I settori merceologici a maggior rischio di economia sommersa sono il terziario (in particolare le attività collegate ai servizi), il commercio, i trasporti, la ristorazione, le costruzioni, le attività professionali. In agricoltura, il sommerso è completamente imputabile all’uso di manodopera non regolare.
Sono 77 i miliardi di euro di economia sommersa imputabili per il 2019 al lavoro irregolare in Italia. Una cifra che incide per il 4,8% sul Prodotto interno lordo.
Il tasso di irregolarità è sceso dal 15,5% del 2016 al 14,9% del 2019, mentre nel settore primario e in quelli settori affini (silvicoltura e pesca) è cresciuto dal 18,3% del 2016 al 18,8% del 2019. Nell’industria è del 9,7% nel 2019. La Relazione analizza la stima dell’evasione contributiva per i lavoratori dipendenti irregolari: questi ultimi percepiscono meno di metà del salario rispetto a quelli regolari, vale a dire 8,2 euro l’ora contro 16,8 euro. L’industria è il settore dove la differenza è più marcata: da 18,9 euro l’ora (regolare) a 8,3 euro l’ora (irregolare). Nel 62% dei casi, i controlli effettuati dall’ispettorato del lavoro nelle imprese hanno rilevato situazioni di irregolarità. Potenziare le ispezioni per migliorare la qualità e la sicurezza sul lavoro e rendere tracciabili i movimenti del denaro sono due strumenti che permettono di ridurre sensibilmente la quantità di imposte evase. Un obiettivo previsto anche dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il denaro recuperato si traduce nella possibilità di mettere a disposizione dei cittadini servizi e opportunità che garantiscono i diritti e riducono le disuguaglianze.
Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso Pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”.
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