Diritti / Approfondimento
Il nuovo orizzonte della class action italiana, a difesa dei cittadini
A novembre entra in vigore la nuova legge sull’azione di classe che estende le fattispecie per cui si può fare causa per il danno subito e fa anticipare le spese di consulenza al presunto danneggiante. Ecco perché può essere una rivoluzione
La class action è uno strumento a disposizione dei cittadini per difendere i propri diritti. Un gruppo di persone si rivolge a un giudice perché la condotta di qualcuno ha provocato un danno per cui si chiede un indennizzo. In Italia l’azione di classe esiste dal 2007. I media, le associazioni dei consumatori, gli studi legali ne hanno promosso un utilizzo diffuso. Eppure, fino a questo momento, le aspettative di giustizia sono state disattese. Tante le azioni non andate a buon fine: dalle cause in ambito medico, come quella fatta da numerosi utenti contro il Policlinico Gemelli di Roma per un caso di contagio da tubercolosi, nel 2011; a quelle ambientali, come quella di 200 famiglie di Bologna contro Rete ferroviaria italiana e Astaldi per un presunto aumento delle polveri sottili nella zona interessata dai lavori per la stazione dell’alta velocità nel 2014; fino a quelle del mondo bancario, come la causa per le commissioni sugli scoperti di conto corrente degli utenti di Intesa Sanpaolo nel 2016. Tutte cause respinte dai tribunali perché giudicate inammissibili, finite con risarcimenti minimi o perdute, con il problema delle ingenti spese legali cui i ricorrenti hanno dovuto far fronte. Rari i successi. Solo tre in 13 anni (le cause contro Trenord, Wecantour, Woden Medical). Dal 19 novembre 2020, con l’entrata in vigore della nuova class action, questo sistema potrebbe cambiare in meglio. Il Parlamento, con la legge 31 del 2019, ha operato una serie di modifiche che hanno cambiato radicalmente la natura dell’istituto.
3 sono gli unici casi di class action andati a buon fine in Italia negli ultimi 13 anni
La prima riguarda l’ampliamento dei casi. “Prima per attivare l’azione di classe occorreva si trattasse di un rapporto tra professionista e consumatore”, spiega Laura Cagnin, avvocata dello studio Calvetti di Treviso. “La nuova, invece, potrà essere attivata da chiunque, anche da una cooperativa o da un’impresa, e si applicherà anche ai contenziosi tra professionisti. È una riforma rivoluzionaria, almeno sulla carta”. Il nuovo strumento, inoltre, potrà essere applicato quando un gestore di servizi pubblici, o di pubblica utilità, metta in atto un comportamento illecito verso una pluralità di utenti.
Ipotizziamo un caso pratico: alcuni coltivatori di una stessa zona subiscono delle interruzioni nella fornitura di acqua a causa di ripetuti guasti alle tubature dell’acquedotto. La compagnia che gestisce il servizio promette agli utenti la sostituzione dell’intera condotta senza specificare quando. Nel frattempo i guasti continuano e i coltivatori subiscono un danno patrimoniale in conseguenza delle mancanze d’acqua (per esempio devono attrezzarsi con serbatoi privati per salvaguardare le coltivazioni, sostenendo delle spese). Con il vecchio sistema i coltivatori, identificati come professionisti, non potevano avvalersi dell’azione di classe, riservata solo ai consumatori. Con la nuova riforma, potranno unirsi e fare causa all’azienda che gestisce la fornitura d’acqua.
In Italia l’azione di classe esiste dal 2007. Associazioni dei consumatori e studi legali ne hanno promosso un uso diffuso ma finora le aspettative di giustizia sono state disattese
L’estensione dell’ambito di applicazione dai consumatori a chiunque subisca un danno (“portatori d’interesse”) fa sì che la nuova class action riguarderà un novero di rapporti non regolati da un contratto molto più ampio di prima. In passato nei rapporti tra professionista e consumatore potevano ricadere nell’azione di classe solo le pratiche commerciali scorrette, i comportamenti anticoncorrenziali, le responsabilità del produttore per prodotto difettoso. Pensiamo a un classico caso di responsabilità extracontrattuale: il comportamento doloso o, gravemente colposo, di un medico dipendente di una struttura sanitaria che crea danni a molteplici utenti di quest’ultima. Anche questo tipo di casi potrà essere oggetto di giudizio.
Importante è che i ricorrenti abbiano avuto una lesione omogenea dei propri diritti. E questo è un tema dibattuto. Dal 2012 si è affermato un principio: la lesione dei diritti individuali è omogenea se origina dallo stesso fatto illecito anche se, come spesso accade, i danni da risarcire ai componenti della classe sono di diversa entità. Quando viene utilizzato il termine class action, il pensiero va subito a quella americana, il modello di riferimento in tutto il mondo. Negli Stati Uniti l’azienda che perde non solo indennizza i ricorrenti per i danni subiti ma può dover pagare anche “i danni punitivi”. Introdotti in Inghilterra nel Settecento, hanno finalità deterrente per condotte future: se riconosciuta responsabile di un fatto con dolo o colpa grave, l’azienda paga alle controparti una somma aggiuntiva a titolo di “sanzione sociale”. In Italia non è previsto perché il risarcimento serve unicamente a ristorare il danno patrimoniale o non patrimoniale effettivamente patito dal ricorrente. Questo principio è confermato anche nell’ultima riforma.
300mila euro è il risarcimento ottenuto nella class action contro Trenord del 2017
Altra importante novità è il meccanismo di adesione. Fin dalla sua introduzione, la versione italiana della class action è basata sul cosiddetto meccanismo opt-in (“decidere di partecipare”): ogni singolo danneggiato, se vuole prendere parte all’azione di classe, deve aderire esplicitamente. Prima, l’adesione doveva manifestarsi nella prima fase del giudizio con il rischio che la maggior parte dei danneggiati, in caso di scarsa pubblicità, non venisse a conoscenza dell’azione e perdesse il diritto a partecipare al giudizio. L’ultima riforma offre al danneggiato la possibilità di aderire anche in seguito, subito dopo la sentenza di condanna che sancisce la responsabilità del danneggiante. Questa previsione, positiva per i ricorrenti, è stata duramente criticata dal mondo imprenditoriale, non potendo le imprese avere consapevolezza del numero finale di aderenti e, nel caso, provare a chiudere la vicenda con un accordo transattivo. Formalmente la parte processuale della nuova azione di classe dovrà essere un’associazione senza scopo di lucro, anche se i singoli ricorrenti manterranno i propri diritti individuali.
Nel vecchio sistema, una delle note più dolenti per chi volesse intraprendere una class action era quello dei costi. Non solo quelle di pubblicità dell’azione ma, soprattutto, gli onorari degli avvocati e di tutte quelle figure professionali che, nel processo civile, sono chiamati “consulenti tecnici”. “Con la riforma tutte le spese di consulenza tecnica saranno anticipate dal presunto danneggiante”, continua l’avvocato Cagnin. “Questo perché il legislatore considera questa parte, e non chi avvia il giudizio, la parte economicamente più forte”.
Nel luglio 2020 Parlamento e Consiglio europeo hanno definito le linee guida per “un’azione collettiva europea”, applicabile in casi come le controversie sui sistemi finanziari
La riforma della class action, utilizzabile solo per tutti i fatti commessi dopo l’entrata in vigore questo novembre, va di pari passo con le discussioni in Europa su come garantire a utenti e consumatori la possibilità di un ricorso collettivo.
In caso di illecito commesso da un’azienda in più stati membri (si pensi a Dieselgate, lo scandalo delle emissioni truccate da Volkswagen su vetture vendute in Europa e Usa), il diritto comunitario non prevede la possibilità di un ricorso congiunto tra consumatori di diverse nazioni.
Il 7 luglio 2020, i negoziatori del parlamento europeo e del Consiglio d’Europa hanno definito le linee guida per “l’azione collettiva europea”. Sarà applicabile per le controversie su protezione dei dati, servizi finanziari, telecomunicazioni, salute, ambiente, turismo, diritti dei passeggeri. Se da una parte l’Ue vuole rafforzare gli strumenti di tutela a disposizione dei cittadini, dall’altra vuole disincentivare i ricorsi collettivi privi di fondamento e possibili abusi. “Abbiamo cercato di trovare un equilibrio tra la tutela degli interessi dei consumatori e la necessità della certezza del diritto per le imprese”, ha dichiarato Geoffroy Didier, relatore dell’accordo di luglio. Il compromesso raggiunto è ispirato al principio del “chi perde paga”: nel nuovo ricorso, la parte sconfitta pagherà le spese sostenute dalla parte vincitrice. Il potere di rappresentare i consumatori, proponendo i ricorsi, sarà assegnato a organizzazioni o enti pubblici senza scopo di lucro, già presenti o da creare nei singoli Stati. Incerto chi deciderà sui ricorsi: l’ipotesi principale è la creazione di un “difensore civico” comunitario. L’accordo sarà votato dal Parlamento e dal Consiglio europeo entro fine anno. Poi gli Stati dovranno trasporre il nuovo strumento nelle proprie legislazioni nei successivi due anni. “Questa nuova legislazione, e questi nuovi diritti, dimostrano che l’Ue sta facendo la differenza. Sempre di più, l’Europa deve diventare uno scudo che protegge i cittadini”, ha dichiarato Didier al termine del negoziato.
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