Diritti
Il mezzo scandalo dei contributi pubblici ai giornali
"I finanziamenti ai giornali sono uno scandalo" si sente dire sempre più spesso. Il caso Lavitola insegna, ma tolti i contributi si tolgono gli scandali? Una riflessione "non di parte".
Il sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’Editoria Paolo Bonaiuti ha annunciato che il governo taglierà del 50% i contributi diretti all’editoria cooperativa e di partito. Ogni anno dell’ultimo esecutivo di Berlusconi ha fatto ballare il valzer dei finanziamenti all’editoria. Fondi si, fondi no, fondi forse.
Fino ad oggi a rimetterci erano state le radio, mentre i giornali sono stati solo scalfiti. Per capire il perchè basta ascoltare le intercettazioni telefoniche pubblicate nell’ambito di una delle molte inchieste che riguardano il premier. Valter Lavitola, al telefono con Berlusconi, chiede che venga rinnovato lo stanziamento che riguarda il suo giornale, L’Avanti, anche se questo comporta il finanziamento anche di quelli "della sinistra".
Sempre in un’altra intercettazione, il 27 ottobre del 2009, Paolo Nusiner -che erroneamente è riportato dalle cronache come "Lusiner"-, direttore generale dell’editoriale Avvenire, chiama Lavitola per chiedere informazioni sulla copertura da parte del governo dei fondi all’editoria. Chiedere informazioni a Lavitola non è reato e l’Avvenire non è l’Avanti (4 pagine, 2,5 milioni di euro), per storia, qualità dell’informazione e funzione all’interno della società.
Il problema non si pone sul piano personale, ma su quello politico: regole che finiscono per mettere sullo stesso piatto i giornali editi da soggetti non profit -come Avvenire o Il Manifesto– che hanno storia e dignità ben diversi da altri come L’Avanti, o che permettono di far arrivare contributi irregolarmente come risulta avrebbero fatto Libero e il Riformista (dobbiamo attendere il responso dei vari ricorsi, ma in prima istanza è risultato che l’incasso dei contributi era irregolare perchè arrivava a due giornali controllati sostanzialmente dallo stesso editore).
Il fatto è che è impossibile distinguere il grano dall’oglio. I finanziamenti diretti all’editoria vanno indistintamente a favore di giornali editi da cooperative e onlus e a quelli espressione di partiti e movimenti politici. Le regole ci sono, ma è un sistema difficile da sbrogliare e che naturalmente finisce per avere un sostegno bipartisan.
Mediacop -l’associazione di categoria che riunisce i mezzi di informazione editi da cooperative- ha denunciato il rischio di far sparire una fetta importante dell’informazione. Si parla "dell’uccisione di 100 testate".
Già con i finanziamenti attualmente attivi molti giornali (come il Manifesto o Terra) faticano a far quadrare il bilancio, il dimezzamento avrebbe l’effetto di far salvare le testate più strutturate e di spazzare via la maggior parte di quelle più piccole (spesso le più battagliere). Con il risultato di lasciare l’informazione sempre più in mano, come ha ricordato Mediacop, a banche ed industrie che hanno anche altri e più forti interessi rispetto all’editoria.
Certamente il caso di Lavitola e dell’Avanti, così come quello di Libero e Il Riformista, hanno fatto una brutta pubblicità al finanziamento pubblico ai giornali, che non trova riequilibrio nelle pur importanti proposte di Mediacop per aumentare rigore e trasparenza.
Oltre ad un problema drammatico di perdita di lavoro (che porterebbe almeno inizialmente un ulteriore aggravio alle spese della Casagit, la Cassa Autonoma di Assistenza Integrativa dei Giornalisti Italiani), si profila un’ulteriore riduzione del pluralismo dell’informazione a danno di quel giornalismo critico e di qualità che nobilita la storia italiana.
Resta però il dubbio più forte: la decisione di tagliare i fondi all’editoria è politica -si parla annualmente di cifre intorno ai cento milioni di euro, una piccola quota della spesa pubblica-, ma difficilmente il sistema potrà reggere ancora, a prescindere dal colore politico -e dagli interessi personali- della classe al potere. Perchè di soldi ce ne saranno meno e di emergenze sempre di più.
Per evitare la morte certa serve però uno scatto d’orgoglio di questi giornali: prendere iniziative autorevoli che creino alleanze con le forze sociali e politiche disposte a sostenerle, nell’ottica di una riforma complessiva equa che onori il dettato dell’articolo 21 della Costituzione.
L’informazione è un bene comune, soprattutto quella espressione di forme non profit. Servono regole capaci di premiare la qualità e la correttezza (anche nei confronti dei propri giornalisti…) dei giornali, ma serve anche altro: la crisi sempre più nera dovrebbe portare i mezzi di informazione che ne verranno investiti a sinergie e forme di collaborazione innovative che, seppur dolorose, potrebbero portare l’informazione indipendente ad unirsi, fare un salto nel futuro ed uscire dalle comode nicchie (che comode non lo sono più).