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Il governo vuole azzerare le risorse per la realizzazione di piste e corsie ciclabili in città
Nella “manovra” spunta un taglio di 94 milioni di euro già stanziati per il biennio 2023-2024. Una proposta “inaccettabile” per le organizzazioni che chiedono invece un piano di investimenti sulla mobilità sostenibile per recuperare il gap europeo. In un Paese dove solo tra gennaio e agosto di quest’anno sono morti 105 ciclisti in incidenti
A partire dal primo gennaio 2023 c’è il concreto rischio che nel bilancio dello Stato non vi sia più nemmeno un euro per la realizzazione di piste e corsie ciclabili in città. Nella “manovra” proposta dal Governo Meloni e trasmessa alla Camera dei deputati, e nella nota integrativa del ministero delle Infrastrutture, è spuntato infatti il taglio totale dei fondi residui per questo capitolo di spesa: si tratta di 94 milioni di euro (47 milioni di euro per il 2023 e altrettanti per il 2024) che erano rimasti nel Fondo per lo sviluppo delle reti ciclabili istituito dalla legge di Bilancio 160 del 2019 e non ancora assegnati. La denuncia del possibile taglio arriva da Clean Cities Campaign, Federazione italiana ambiente e bicicletta (Fiab), Kyoto club, Legambiente e Cittadini per l’aria.
“La ciclabilità non sembra essere una priorità per questo governo: se la legge di Bilancio non verrà emendata, nei prossimi anni non ci saranno risorse pubbliche per questi investimenti -spiega ad Altreconomia, Claudio Magliulo, responsabile italiano della campagna Clean Cities Campaign-. L’azzeramento è una proposta inaccettabile che ci riporta indietro di decenni e impedisce alle amministrazioni locali di rendere le nostre città davvero ciclabili, riducendo così l’uso dell’auto privata. Il tutto mentre le notizie di ciclisti travolti e uccisi continuano a moltiplicarsi, segno che spostarsi in bicicletta continua a essere rischioso, soprattutto per gli utenti più vulnerabili come bambini e anziani”.
Secondo gli ultimi dati forniti dall’Istat relativi al 2021, gli incidenti stradali che hanno coinvolto ciclisti sono stati 16.448, causando la morte di 220 persone. Mentre, per quanto riguarda l’anno in corso, l’Osservatorio dell’Associazione sostenitori e amici della polizia stradale (che rielabora dati dell’Aci e dell’Istat) fissa a 105 il numero di persone che hanno perso la vita in sella a una bicicletta tra gennaio e agosto. A questo conteggio però mancano i decessi avvenuti a distanza di giorni o settimane dall’incidente.
Numeri di una vera e propria strage che proprio in questi giorni è tornata sui quotidiani nazionali e sui principali telegiornali a seguito della morte dell’ex ciclista professionista, Davide Rebellin, investito e ucciso il 30 novembre da un tir mentre era impegnato in una seduta di allenamento sulle strade del vicentino. Solo poche ore dopo, un altro ciclista, un ragazzo di soli 16 anni, ha perso la vita a seguito dell’impatto con un suv in provincia di Ferrara che ha coinvolto anche un altro adolescente, ricoverato in ospedale in gravi condizioni.
Il taglio del governo potrebbe andare quindi ad aggravare una situazione già carente per quanto riguarda la presenza di infrastrutture ciclabili (in particolare piste e corsie riservate) che permettono di incentivare gli spostamenti su due ruote nelle città. Tra il 2015 e il 2020 i capoluoghi di provincia e le città metropolitane hanno aggiunto altri 857 chilometri (+20,8%) alla propria rete ciclabile (con punte di 93 chilometri a Milano, 47 a Venezia e 46 a Brescia) ma questo è ancora “largamente insufficiente” a garantire una quota significativa di spostamenti su due ruote, come si legge nel dossier “L’Italia non è un Paese per bici” curato da Clean Cities Campaign in collaborazione con Fiab, Legambiente e Kyoto club.
Sono pochi, infatti, i Comuni che hanno aumentato in modo sostanziale la propria dotazione di infrastrutture ciclabili, mentre in ben 38 capoluoghi non c’è stato alcun cambiamento. In altre parole: sono le città che già investono su questa forma di mobilità a continuare a farlo per migliorare la propria rete ciclabile, andando così ad ampliare una disparità territoriale che è già marcata. “È particolarmente preoccupante il fatto che le città con il più alto numero di veicoli a motore per abitanti siano anche quelle con dotazioni ciclabili più scarse e con il reddito medio più basso -evidenzia il rapporto-. Muoversi in bicicletta, oltre a ridurre l’inquinamento dell’aria e le emissioni climalteranti, è prima di tutto un’opzione economica per spostarsi in città. Il fatto che non sia possibile per molti inforcare la bici e andare al lavoro, a scuola o a sbrigare una commissione non è solo un problema dal punto di vista ambientale e sanitario, ma anche una questione di giustizia sociale”.
“Questo definanziamento rappresenta un vero e proprio scippo ai danni dei Comuni, che non avranno risorse per finanziare gli ampliamenti delle reti ciclabili già pianificate -riprende Magliulo- Nel nostro dossier avevamo calcolato, al giugno 2022, un investimento per 1,3 miliardi di euro solo per la realizzazione delle opere previste dai 58 Piani urbani della mobilità sostenibile (Pums) già approvati o in fase di approvazione. Dove prenderanno le risorse gli enti locali?”.
Nonostante alcune realtà virtuose, l’Italia sconta un grave ritardo rispetto alle altre città europee. I capoluoghi di provincia hanno in media 2,8 chilometri di ciclabili per 10mila abitanti: si va dallo zero di molte città del Centro-Sud (tra cui Enna, Caltanissetta, Vibo Valentia, Trapani e Campobasso) ai 12-15 di Modena, Ferrara e Reggio Emilia. Un quarto delle città capoluogo non raggiunge nemmeno un chilometro di piste ciclabili per 10mila abitanti. Per fare un confronto, la finlandese Helsinki e la belga Gand possono contare su circa 20 chilometri per 10mila abitanti, Amsterdam e Anversa circa 15 chilometri e Copenhagen nove.
Gli investimenti sulle infrastrutture ciclabili possono anche dare un contributo fondamentale alla decarbonizzazione del nostro sistema di trasporto che oggi è incentrato prevalentemente sui mezzi privati: a Roma, ad esempio, il rapporto è di 70 automobili ogni 100 abitanti. “Per un futuro dei trasporti a zero emissioni, bisogna prioritariamente trasferire il maggior numeri possibile di spostamenti dall’auto privata al trasporto pubblico e alla mobilità attiva, a piedi e in bicicletta -si legge nel rapporto-. La città dell’automobile e dei combustibili fossili è una città inquinata e intasata dove lo spazio per le persone è ridotto ai minimi termini. Le città ciclabili sono al contrario più vivibili, meno inquinate e contribuiscono meno alla crisi climatica”.
Per gli autori del dossier trasformare l’Italia in un Paese ciclabile e colmare il gap con il resto d’Europa è possibile, a patto però di mettere in campo un piano straordinario di investimenti da 3,2 miliardi di euro nell’arco di sette anni. La proposta delle organizzazioni al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e al Parlamento è quella di integrare il Piano generale della mobilità ciclistica approvando un piano straordinario di investimenti da 500 milioni all’anno fino al 2030. Una cifra a prima vista significativa, ma che in realtà è solo una frazione di quanto il nostro Paese spende per il settore dell’automotive (circa 10 miliardi di euro sotto forma di incentivi all’acquisto di automobili a partire solo dal 2018) e per le infrastrutture stradali e autostradali nazionali: 63,2 miliardi di euro stanziati per i prossimi dieci anni dal ministero per le Infrastrutture cui se ne aggiungono altri 25 a favore di Comuni, Province e Città metropolitane per la manutenzione stradale e le opere collegate.
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