Terra e cibo / Intervista
Il “gastronazionalismo” in Costituzione. Perché la proposta Lollobrigida è un problema
Il ministro dell’Agricoltura ha annunciato l’intenzione di modificare l’Articolo 32 sulla salute inserendo la tutela della “sovranità alimentare” e dei “prodotti simbolo dell’identità nazionale”. La promozione di una sana alimentazione non c’entra: l’obiettivo è propagandare un modello agricolo conservatore, come spiega il professor Michele Antonio Fino dell’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo
Il cibo è uno straordinario veicolo di propaganda: la retorica legata al made in Italy e alle presunte “aggressioni” contro le eccellenze enogastronomiche del nostro Paese (l’ultima è quella legata al vino, di cui scrive Nicoletta Dentico su Ae 270) è talmente ridondante da aver preso forma di un vero e proprio “gastronazionalismo”, fenomeno che è anche il titolo di un bel libro di Michele Antonio Fino e e Anna Claudia Cecconi (vedi Ae 243).
Uno dei più ferventi gastronazionalisti è oggi il ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, che in chiusura del suo intervento alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia a Pescara, il 26 aprile, ha dichiarato l’intenzione di procedere a una modifica dell’Articolo 32 della Costituzione.
“Chiederemo -ha detto- di aggiungere questo passaggio: ‘la Repubblica garantisce la sana alimentazione del cittadino. A tal fine persegue il principio della sovranità alimentare e tutela i prodotti simbolo dell’identità nazionale'”. Ha aggiunto che si tratta di “un dovere non della destra, non della sinistra, ma di tutti gli italiani”, indicando anche tra i colleghi di partito un deputato e un senatore per portare la discussione all’attenzione del Parlamento.
Abbiamo chiesto di commentare la proposta di Lollobrigida a Michele Antonio Fino, professore associato di Fondamenti del diritto europeo all’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo e divulgatore su Instagram (@ermezio), che dal 21 maggio torna in libreria con un libro dedicato al vino, “Non me la bevo”, pensato come un’azione di debunking delle mode e delle leggende che il marketing ha infilato con abilità nei calici che ogni giorno alziamo al cielo.
Fino, possiamo dire di trovarci di fronte a una proposta di riforma costituzionale “gastronazionalista”?
MAF Certamente. Non perché la sana alimentazione non possa entrare in Costituzione, trattandosi senz’altro di una declinazione del concetto integrale di salute che i nostri costituenti immaginavano come un obiettivo della Repubblica nata dalla Guerra di liberazione, ma i dettagli della disciplina esposti dal ministro rendono contraddittoria la tutela della sana alimentazione rispetto alla declinazione di questa che Lollobrigida ha presentato.
Per quanto sia importante parlare di “sana alimentazione”, perché è a suo avviso inopportuno inserire un riferimento nell’Articolo 32 della Costituzione e dire che la Repubblica deve garantirlo?
MAF Inserire il concetto di tutela della sana alimentazione nell’articolo 32, dedicato alla salute, non rappresenta assolutamente un problema di per sé, e potrebbe coordinarsi con una previsione dell’educazione alimentare che trovi spazio nella Carta stessa per rendere completo l’approccio alla salubrità delle scelte alimentari, unendo conoscenze nutrizionalmente assodate a consapevolezza culturale dell’impatto che ciò che mangiamo ha sul Pianeta. Il riferimento all’esigenza di garantire, però, espone il Paese a un impegno, anche economico, enorme, perché la Repubblica si impegna a farlo a proprio spese. Si tratta di un termine usato poche volte, del resto, in tutta la Carta, e solo in relazione ai diritti inviolabili dell’uomo, alle cure agli indigenti, alla tutela dal lavoro minorile.
Il cibo italiano è necessariamente sano, come lascia intendere il rifermento alla sovranità (o sovranismo) alimentare?
MAF Il cibo non è salubre in base alla sua provenienza ma in base al modo in cui viene inserito nella nostra dieta, ragione per cui nessun cibo deve essere demonizzato ma le scelte alimentari debbono riflettere le nostre esigenze fisiologiche e le nostre preferenze culturali. Coerentemente con un’intera azione politica dell’attuale governo, invece, sì punta a far passare il concetto che il cibo italiano -promosso non senza importanti interferenze di carattere economico corporativo- sia di per sé qualcosa da preferire e da consumare senza riguardo per una dieta bilanciata, come se l’origine nazionale degli alimenti costituisse di per sé un’indicazione dietologica senza bisogno di ulteriori riflessioni. Sta in questo l’essenza del gastronazionalismo, che punta ad affermare delle superiorità ontologiche del tutto carenti di fondamento tanto dal punto di vista culturale quanto dal punto di vista nutrizionale nello specifico.
Nella proposta di Lollobrigida si parla anche di prodotti identitari: che cosa c’entrano con la salute le denominazioni Dop e Igp?
MAF Il tema della identità nazionale rappresentato dai cibi è probabilmente la cartina di tornasole dell’impostazione culturale del ministro. Egli, infatti, è un sostenitore delle produzioni tipiche ove non anche tradizionali del nostro Paese, avendo ben compreso come una narrazione nazionalista possa essere un utile strumento poiché il nazionalismo banale che si esercita attraverso l’affermazione di vere e proprie petizioni di principio, quali “la cucina italiana è la migliore del mondo” o “tutti nel mondo vogliono mangiare prodotti italiani” e simili, risulta molto accattivante. Questo colpisce anche quei ceti culturalmente non privi di strumenti che però indulgono verso atteggiamenti sciovinisti, inutili e a lungo termine perniciosi perché capaci di spalancare la porta ad affermazioni di superiorità nazionali di portata ben ulteriore rispetto alla semplice tavola. Per questo, personalmente, sono particolarmente duro riguardo a queste scelte, perché ritengo che il mondo progressista italiano sia stato per troppo tempo connivente, anche attraverso veri e propri uomini di punta nelle istituzioni nazionali e internazionali, rispetto a narrazione interessate, promosse da associazioni di categoria con interessi economici e politici tutt’altro che occulti ma soprattutto conservatori e negativi per il Paese.
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