Diritti / Reportage
Il filo solidale che da Oulx a Briançon protegge i respinti al confine italo-francese
Al rifugio Massi, in alta Val di Susa, Mamadou e Ousmane ricevono i vestiti necessari per la traversata in mezzo alla neve. Dovranno schivare i controlli della polizia. Oltre la frontiera, i maraudeurs sono pronti a soccorrerli in caso di difficoltà. I transiti e le “riammissioni” diminuiscono, i rischi per i migranti no. Il nostro reportage
“Questi guanti sono un po’ piccoli secondo me, a te vanno?”. In Val di Susa, nel rifugio “Fraternità Massi” di Oulx, Mamadou e Ousmane si preparano a uscire indossando abiti pesanti, mentre parlano tra loro per controllare di non aver dimenticato nulla. Li aspettano due giorni molti lunghi, probabilmente i più intensi da quando sono arrivati in Italia dopo la traversata da Sfax, in Tunisia. A settembre 2023, sono sbarcati a Lampedusa dopo un viaggio di tre mesi partito dalla regione di Kindia, in Guinea, il Paese da cui lo scorso anno sono arrivate più persone migranti. Oltre 18mila secondo i dati del ministero dell’Interno.
In una giornata calda e soleggiata di metà marzo, con una temperatura attorno ai 15 gradi, i due giovani tengono le giacche vintage da sci e il cappello senza battere ciglio, come se fossero già pronti ad affrontare la nottata che sta per arrivare. “In Francia ci aspettano i miei parenti, vivono a Lione da qualche anno”, racconta Ousmane mentre esce dal rifugio Massi per dirigersi alla stazione dei bus di Oulx, dove insieme ad altre quattro persone sta per prendere la corriera per arrivare a Claviere, l’ultimo Comune piemontese prima del confine. “Partiremo questa notte sperando che la polizia non ci prenda, è un rischio ma non abbiamo altra scelta -aggiunge il 19enne guineano- siamo coperti abbastanza da non soffrire il freddo e la neve alta”.
Come loro, al calare del sole decine di migliaia di persone lo scorso anno hanno tentato di scavalcare la frontiera del Colle del Monginevro, al valico di frontiera tra Italia e Francia noto per il turismo invernale e per l’omonimo comprensorio sciistico. Un percorso impervio, sia in estate sia in inverno, a causa della conformazione del territorio e dei controlli da parte delle autorità francesi. Tra il 2018 e l’ottobre 2023, almeno 12 persone hanno perso la vita tra le cime innevate del confine, che in alcuni punti raggiungono i duemila metri di altezza. La maggior parte dei casi, però, non è avvenuta in inverno, ma in primavera o estate: “Sono solamente tre le morti nel periodo invernale -spiega ad Altreconomia Silvia Massara, volontaria del rifugio Fraternità Massi-. Due di loro sono stati ritrovati in un bacino d’acqua, dove si presume siano caduti scappando da un inseguimento della polizia di frontiera francese (Paf) nel buio più totale”.
La paura di essere catturati dalle forze dell’ordine o la pressione di scappare dalle termocamere dei droni sono fattori che spingono le persone che tentano la traversata a correre rischi enormi, specialmente quando fa più caldo: “Le temperature estive tendono a fuorviare chi prova a valicare, la maggior parte di loro non è consapevole di quanto possano calare in montagna”, continua Massara, spiegando che oltre ai casi di ipotermia sono vari anche quelli di caduta. “Il 29 ottobre un ragazzo di nome Youssef è precipitato da una falesia nei pressi di Briançon ed è stato ritrovato senza vita vicino al ponte Asfeld all’ingresso della città”.
La rotta alpina del Nord-Ovest, che passa proprio per l’alta Val di Susa, ha avuto i primi picchi di arrivi nella primavera del 2017, con una prevalenza dall’Africa Sub-sahariana. Dal 2020, con l’aumento esponenziale del flusso dalla rotta balcanica e dalla Turchia, dal rifugio di Oulx transitavano circa 150 persone al giorno. Numeri eccezionali, ridimensionati per un breve periodo a fine 2022 con la nascita della “deviazione” in direzione della Svizzera, attraverso Trieste, Milano e poi Chiasso. Se nei mesi invernali del biennio 2020-2021 gli arrivi dai Balcani nel piccolo Comune piemontese erano “inarrestabili”, anche con metri di neve, negli scorsi due anni il fenomeno è andato diminuendo.
Nel 2023 però con l’aumento delle temperature, il flusso ha cominciato a crescere fino alla scorsa estate a un ritmo incontenibile, durato quasi fino alla metà di novembre. “Si stima che questo picco abbia portato il numero di passaggi a quasi 15mila, ben 3mila in più rispetto l’anno precedente”, spiega la volontaria del rifugio Massi, raccontando del periodo di inusuale mancanza di transiti: “Siamo di fronte a una primavera anomala, solitamente i numeri di questo periodo erano molto elevati. In questo momento, nel nostro centro ci sono solo 12 ospiti”.
Delle persone in transito sulla rotta del Nord-Ovest, non sono molte quelle che richiedono asilo in Italia. Le motivazioni principali di tale fenomeno sono riconducibili alla generalizzata difficoltà di accesso alle pratiche di domanda di protezione internazionale: in città come Torino, Milano e Roma, infatti, le lunghe code di fronte alle questure possono durare mesi, costringendo le persone a un’attesa infinita in strada, giorno dopo giorno. A Oulx, lo sportello di Diaconia Valdese, operativo nell’ambito del progetto Open Europe anche a Trieste e Ventimiglia, offre servizio di consulenza legale per coloro che, per diverse ragioni, vogliono allontanarsi dall’Italia: “La difficoltà di accesso ai canali dell’accoglienza e alla formalizzazione della propria domanda di asilo per coloro che non arrivano in Italia tramite sbarco rende difficilissima la permanenza sul territorio nonostante l’intenzione sarebbe quella di fermarsi, integrarsi, lavorare -spiega ad Altreconomia Martina Cociglio, operatrice legale di Diaconia Valdese-. Per coloro che da Lampedusa vengono collocati nei centri di accoglienza istituzionale, invece, la motivazione è spesso legata alle tempistiche molto lunghe per ottenere anche solo il primo attestato nominativo, quello che permette di iniziare concretamente ad accedere ai servizi e ai propri diritti. In molti lamentano l’aver trascorso mesi, dall’arrivo in Italia, senza poter fare nulla”.
Come ente in frontiera, Diaconia Valdese informa le persone migranti rispetto a cosa prevede la normativa in materia di protezione internazionale, accoglienza, ricorso avverso provvedimenti di espulsione, segnalazione delle situazioni di particolare vulnerabilità, monitoraggio e informativa alle potenziali vittime di tratta. “Lavoriamo poi sul monitoraggio del confine, inteso come procedure di pushback, che dal 2015 a oggi vengono operate dalla Francia verso l’Italia per coloro che provano ad attraversare, ma vengono intercettati in montagna, sui treni e sui bus dalla Paf”, aggiunge Cociglio, descrivendo la pratica del sistema di respingimenti da parte della polizia di frontiera francese, che nel 2023 ha colpito migliaia di migranti. Una modalità ritenuta però non legittima dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza C-143/22, a cui è seguita la pronuncia del Consiglio di Stato francese del 2 febbraio 2023 a seguito del ricorso di diverse associazioni riguardo l’utilizzo del refus d’entrée come unico provvedimento notificato in sede di respingimento al confine. “La Corte Ue aveva affermato l’impossibilità di applicare il rifiuto di ingresso senza tenere conto della Direttiva Rimpatri -conclude l’operatrice di Diaconia Valdese- seguendo questa linea, il Consiglio di Stato ha ribadito la sostanziale illegittimità della prassi del refus d’entrée sistematico, annullando parte dell’articolo di riferimento del codice sull’ingresso e il soggiorno dei cittadini stranieri e sull’asilo (Ceseda) e invitando il governo francese a modificare la norme per introdurre limiti e garanzie all’utilizzo di questi provvedimenti”.
I respingimenti, però, continuano a essere operati lungo tutto il confine, spesso con modalità violente che spingono le persone migranti a mettere a rischio la propria vita. Per coloro che riescono nell’impresa senza essere intercettati, la tappa successiva è l’arrivo a Briançon alla “Terrasse Solidaire”, rifugio per migranti a pochi passi dal centro storico. Nella struttura c’è chi ci è arrivato autonomamente o grazie all’aiuto dei maraudeurs, una rete di attivisti che durante la notte pattuglia i sentieri percorsi dai migranti e offre soccorso e guida in caso di difficoltà o infortunio. “Agiamo solamente in territorio francese per non essere criminalizzati, ma nonostante questo sono oltre 30 i casi di processo che stiamo affrontando per favoreggiamento all’immigrazione clandestina”, spiega l’esperto maraudeur Jean-Philippe camminando sui sentieri a margine della “Grande Maraude Solidaire“, manifestazione promossa da varie organizzazioni attive sulla frontiera franco-italiana. “In molti casi, siamo stati accusati di aver valicato in suolo italiano sulla base degli agganci alle cellule telefoniche -aggiunge-. Chi vive al confine, tuttavia, sa benissimo che questo fenomeno è normalissimo da una parte e dall’altra”.
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