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Il disastro delle tante Casamicciola scritto in quei dati (non letti) sul consumo di suolo

Il disastro di Casamicciola, Ischia © Napolipress / Fotogramma

Quante Casamicciola dovremo ancora vedere? Quante Giampilieri? Quante Senigallia? Quanti torrenti Misa esonderanno ancora? Il ruolo della sciagurata pianificazione urbanistica non va taciuto, scrive Paolo Pileri. La difesa del suolo deve essere in cima all’agenda. Ma così non è, come dimostrano le scarse risorse previste nel Pnrr

La lista delle località stravolte dalle frane è lunghissima in un Paese come il nostro dove ogni 45 minuti abbiano un fenomeno del genere. Per Casamicciola Terme, a Ischia, non è la prima volta, purtroppo. Non possiamo non ricordare che le frane sono tanto fenomeni naturali quanto aiutati nell’innesco dall’incauta, ma faremmo meglio a dire sciagurata, pianificazione urbanistica che, incurante della natura, continua a cementificare e asfaltare suoli laddove è acclarato lo stato di pericolosità per frana. A ciò si aggiunge l’incuria e l’assenza di manutenzione preventiva.

Non sarà il caso di quest’ultima Casamicciola, ma rimane il fatto che nell’ultimo rapporto Ispra sul consumo di suolo, a pagina 215 e seguenti, c’è l’elenco delle urbanizzazioni fatte nelle aree più pericolose d’Italia dove è matematico che accadrà qualcosa e dove ci saranno vittime.
Ricordo allora che tra il 2020 e il 2021 si è costruito su 39 ettari a pericolosità di frana molto elevata (P4), altri 79 ettari in aree a pericolosità elevata (P3), 99 a media pericolosità (P2) e 104 in aree a moderata pericolosità. Totale: 321 ettari, più o meno il 5% del consumo annuale italiano. E sia chiaro che questi ettari vanno ad aggiungersi alle centinaia di ettari a rischio già cementificati negli anni passati. Lo diciamo e scriviamo da anni.

Ispra fa un lavoro eroico nel produrre un rapporto annuale sul consumo di suolo che ci attendiamo venga letto da politici, sindaci, assessori, consiglieri, deputati, ministri e presidenti di Regione e pure da urbanisti e funzionari comunali e regionali. Ma lo leggono? I rapporti tecnici come quello sul consumo di suolo servono per aiutare i decisori a cambiare, a rendersi conto dei guai fatti così da non farne più. Ma questo non accade. Ogni anno è la stessa storia. Ogni anno questa lista non produce il minimo interesse tra coloro che hanno responsabilità politiche. Men che meno preoccupazione. Men che meno indignazione. Accade più facilmente che sindaci e governanti si lamentino del rapporto dell’autorità ambientale perché trovano che metta in cattiva luce lo sforzo politico degli amministratori. Ma poi, puntuale, arriva l’alluvione, la frana, l’esondazione e chissà quante di quelle case divelte, di quelle strade distrutte, di quelle opere pubbliche cancellate, di quei paesaggi stravolti appartengono a quelle liste.

Si coglie il tragico paradosso? Oggi tutti a piangere le vittime e i danni, ma ieri? Ieri quando firmavano i condoni o le concessioni edilizie o le sanatorie dov’erano? Ieri quando facevano varianti sui piani urbanistici per prevedere altre strade, altri parcheggi o nuove trasformazioni in deroga alla ragionevolezza, dove erano? E perché non leggiamo mai sui giornali articoli di sindaci, governanti o presidenti, disperati per quei dati sul consumo di suolo nelle aree a rischio ambientale? Perché non ci sono assemblee e convegni politici su questo? Perché in campagna elettorale nessuno ne parla, se non un accenno giusto per decenza?

Se il consumo di suolo deve azzerarsi al più presto, immediatamente deve azzerarsi in tutte le aree a pericolosità ambientale. Il prossimo anno quelle tabelle devono essere piene di zeri. Ma non sarà così. Ed è un paradosso folle che questo Stato con una mano apposti risorse finanziarie (poche) per far fronte al dissesto idrogeologico, ma con tante altre manine continui a generare le premesse per altri danni e altre vittime. Occorre prendere in mano la situazione e stravolgere le priorità.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina appena otto miliardi di euro in sei anni per il dissesto idrogeologico (3,5%) a cui si aggiungono sette miliardi per varie azioni di monitoraggio (semplifico). Le decisioni urbanistiche continuano a essere fuori controllo: troppa frammentazione amministrativa, troppi interessi finanziari dei Comuni (che incassano oneri di urbanizzazione, contributi, multe, etc.), troppe leggi che mancano e non vengono chieste (non abbiamo una legge contro il consumo di suolo, non abbiamo una norma per togliere le previsioni urbanizzative, etc.), troppe rendite e troppi interessi che fanno gola a proprietari e investitori disposti a tutto, spesso, pur di costruire e incassare; troppa prepotenza di chi vuole farsi la villa sul suo terreno a tutti i costi; troppa accondiscendenza politica verso gli interessi dei più ricchi e dei più forti che ricattano le amministrazioni in vario modo; troppe teste che si girano dall’altra parte facendo finta di non vedere fin quando non capita il fattaccio: troppi compromessi.

Migliaia di comitati di cittadini denunciano con coraggio il consumo di suolo, gli inquinamenti, i danni, le speculazioni a carico dei “suoli italici”. Lo fanno con incontri e assemblee pubbliche dove però -e lo dico per esperienza personale- il più delle volte i politici non partecipano perché hanno improvvisi impegni istituzionali. I comitati sono puntualmente offesi, gli ambientalisti apostrofati come nemici dello sviluppo e i ricercatori che denunciano i guasti ambientali come persone urticanti ed esagerate.

Quante Casamicciola dovremo ancora vedere? Quante Giampilieri? Quante Senigallia? Quanti torrenti Misa ancora esonderanno? Il cambiamento che serve è radicale. La difesa del suolo deve essere in cima all’agenda pubblica, gli interessi finanziari ed economici devono indietreggiare, le ragioni ecologiche devono dettare le azioni dei governi, la formazione ambientale non va solo fatta e rifatta ai nostri ragazzi (come sento dire con ipocrisia in queste ore), ma a tutti coloro che hanno la pur minima responsabilità decisionale sulla cosa pubblica. Le lacrime di coccodrillo non servono a nulla e si asciugano presto. Servono solo a offendere le vittime e la natura e a soffocare la speranza del cambiamento.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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