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Diritti / Opinioni

Il “diritto di non sradicamento” dei migranti

Sbarco di migranti a Messina, in Sicilia, nel 2015 © International Federation of Red Cross and Red Crescent

La nuova “protezione speciale” richiede un netto cambio di orientamento culturale, che ponga al centro il rispetto della vita privata e familiare. La rubrica di Gianfranco Schiavone

Tratto da Altreconomia 241 — Ottobre 2021

A diversi mesi di distanza dall’introduzione, avvenuta con la legge 173/2020 del dicembre scorso, della “protezione speciale” è importante fare il punto su questa riforma che in breve tempo ha già aperto molte prospettive innovative. Avendo reintrodotto il rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali di cui all’art. 5 comma 6 del Testo unico sull’immigrazione, la nuova norma ripristina quanto previsto dalla previgente normativa sulla protezione umanitaria e, nello stesso tempo, espande questa forma di protezione dando effettiva attuazione al diritto fondamentale di ogni persona al rispetto della sua vita privata e familiare previsto dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea.

La stessa scelta di ancorare la protezione speciale ai divieti di espulsione di cui all’art. 19 commi 1 e 1.1 del citato Testo unico ha rappresento una scelta precisa di rinforzare gli obblighi di protezione dello Stato italiano dal momento che i divieti di espulsione e di respingimento sono infatti assoluti in presenza delle condizioni previste dalla legge. Vi è quindi oggi chiara inespellibilità del cittadino straniero quando esistono fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che ciò sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica.

La legge indica con chiarezza come nel valutare la sussistenza di un diritto alla vita privata e familiare si deve tenere conto della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese d’origine.

Nella giurisprudenza della Corte europea la nozione di vita familiare non coincide con la cosiddetta famiglia “nucleare” o con la famiglia fondata sul matrimonio, ma comprende anche persone non legate da vincoli giuridici o genetici, a condizione che detti vincoli siano dimostrati (esempio una coppia omosessuale ma anche la parentela tra nonni e nipoti, zii e nipoti provata da legami affettivi stabili).

2018. L’anno in cui è entrato in vigore il decreto legge n. 113 (il cosiddetto “Decreto Salvini”) che, tra le altre cose, ha abolito la protezione umanitaria per i richiedenti asilo.

Nella sua giurisprudenza sulla nozione di vita privata la Corte ritiene che essa “deve necessariamente ricomprendere, in una certa misura, anche il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani” (sentenza Niemiets c. Germania, 16 dicembre 1992) e quindi comprende l’integrità fisica e psicologica della persona e il suo diritto allo sviluppo personale e al mantenimento di legami sociali. Diversamente dalla protezione “umanitaria”, la nuova normativa non richiede un bilanciamento tra l’esistenza di un inserimento sociale in Italia o di una vita familiare e l’esistenza di un radicale impedimento al rientro nel Paese di origine dovuto all’esposizione a condizioni di vita estreme o comunque degradanti, poiché è il livello di integrazione conseguito in Italia che diviene elemento predominante nella valutazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione speciale, mentre la pur prevista valutazione delle condizioni di vita nel Paese di origine assume una rilevanza inferiore.

Questo nuovo paradigma giuridico efficacemente sintetizzato nell’espressione “diritto di non sradicamento” richiede tuttavia un netto cambio di orientamento culturale allo scopo di superare quell’approccio rigido e formalistico che ha tradizionalmente relegato la valutazione sul radicamento sociale a questione di carità o di benevolenza, migliorando la vita di migliaia di persone e facendo evolvere l’Italia verso una società plurale. 

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni, già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste

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