Interni / Opinioni
Il dibattito sull’autonomia differenziata non può ignorare i dati
Istat fotografa preoccupanti differenze tra il Sud e il Centro-Nord in termini di reddito e istruzione. Occorre tenerne conto. La rubrica di Pierpaolo Romani
Benvenuti al Sud. Non è solo il titolo di un film bello e intelligente con Claudio Bisio e Alessandro Siani. Per molti di noi, questo slogan rappresenta l’esplicitazione più diretta di una cultura dell’accoglienza che da sempre caratterizza il nostro Mezzogiorno. Il sole, il mare, il buon cibo, un ritmo di vita meno frenetico -che non vuol dire per forza lassista- un clima certamente più mite rispetto al Centro-Nord del Paese, oltre all’arte e alla cultura sono da sempre dei magneti che attraggono molti verso la parte meridionale della nostra penisola, soprattutto in estate. Qualcuno, magari, anche in altre stagioni. Il Sud, per tanti altri motivi, potrebbe essere una terra in cui ambire a stabilirvisi definitivamente. E invece sono sempre più numerosi quanti decidono di partire.
A certificarlo è l’Istat, che negli ultimi mesi ha pubblicato due interessanti rapporti che hanno ottenuto attenzione mediatica solo per una giornata. Eppure, sono documenti che vanno letti, studiati e discussi con molta attenzione, anche a livello pubblico, in particolar modo da coloro che hanno ruoli politici a tutti i livelli. Ma anche da noi cittadini. Il primo rapporto, pubblicato il 9 febbraio, è dedicato alle migrazioni interne e internazionali della popolazione residente in Italia: dal 2012 al 2021 il Mezzogiorno ha perso 525mila residenti. In questi dieci anni sono stati circa 1 milione 138mila i movimenti in uscita dal Sud e dalle Isole verso il Centro-Nord e 613mila quelli sulla rotta inversa. La Regione da cui si è partiti di più è stata la Campania (30% delle cancellazioni anagrafiche di tutto il Sud), seguita da Sicilia (23%) e Puglia (18%). In termini relativi, rispetto alla popolazione residente, il “tasso di emigratorietà” più elevato si è registrato in Calabria (circa otto residenti ogni mille).
Sono 525mila i residenti che il Mezzogiorno ha perso tra il 2012 e il 2021, secondo gli ultimi dati Istat
Nel secondo rapporto, pubblicato a gennaio 2023, dedicato ai divari territoriali e al Piano nazionale di ripresa e resilienza, l’Istat rileva come il Mezzogiorno sia il territorio arretrato più esteso dell’area euro, che ha sofferto in modo accentuato la crisi del 2008 e l’impatto della pandemia. Nel Sud Italia, destinatario del 40% delle risorse stanziate dall’Unione europea per far ripartire il Paese dopo il Covid-19, da oltre vent’anni il “Pil lordo pro-capite” si aggira intorno al 55-58% del Centro-Nord.
Insieme all’emigrazione di massa, al Sud si registra anche un sensibile calo delle nascite. Nascono meno bambini e i ragazzi che desiderano continuare gli studi per specializzarsi e trovare un buon lavoro spesso si trasferiscono nel Centro-Nord Italia o all’estero. Senza poi fare ritorno. Una perdita di capitale umano immensa. Un depauperamento di energie e risorse che incide non solo sulla qualità dello sviluppo ma anche della democrazia.
Per quanto concerne l’istruzione, l’Istat rileva che nel Mezzogiorno, “le competenze degli studenti risultano più basse in tutte le discipline e il gap aumenta nei diversi gradi d’istruzione”. Sullo stesso tema, la Svimez (associazione impegnata nello studio delle condizioni economiche del Mezzogiorno, svimez.info) ha certificato che “per effetto delle carenze infrastrutturali, solo il 18% degli alunni del Sud accede al tempo pieno a scuola, rispetto al 48% del Centro-Nord” e che “gli allievi della scuola primaria frequentano mediamente quattro ore di scuola in meno a settimana rispetto a quelli del Centro-Nord”.
Il rischio è che un bambino nato al Sud, non solo sia meno istruito -e quindi privato di diverse opportunità di crescita umana e professionale- ma sia anche più esposto al rischio di essere povero, sia dal punto di vista educativo-culturale sia materiale. E chi è deprivato dei propri diritti fondamentali e della propria dignità non è più un cittadino, ma un suddito. Chi discute di autonomia differenziata non può ignorare tutto questo.
Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso Pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”, www.avvisopubblico.it
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