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Il costo complessivo dell’aiuto militare all’Ucraina vale per l’Italia quasi un miliardo di euro

© Dmitry Bukhantsov - Unsplash

Le stime dell’Osservatorio indipendente sulle spese militari Mil€X si basano sull’aumento dei fondi dell’European peace facility, lo strumento finanziario “fuori bilancio” a supporto delle iniziative militari internazionali europee, e sulle valutazioni relative ai primi sei invii di armamenti italiani. Smentita la presidente del Consiglio

“Dire che l’invio di armi a Kiev toglie risorse agli italiani è una menzogna”. Il 21 marzo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ribadito in Parlamento la propria posizione secondo cui il supporto militare dell’Italia all’Ucraina non costituirebbe un costo per le casse statali: un’affermazione che è finita sotto la lente di Mil€X, l’Osservatorio indipendente sulle spese militari italiane, che ha dedicato al tema una dettagliata analisi in cui non solo smentisce la ricostruzione di Meloni ma stima in circa un miliardo di euro il costo per le armi inviate dal nostro Paese a supporto del governo di Volodomir Zelensky. Un calcolo basato sugli annunci più recenti relativi all’aumento dei fondi dell’European peace facility (Epf), lo strumento finanziario “fuori bilancio” a supporto delle iniziative militari internazionali europee, oltre alle valutazioni già effettuate dallo stesso osservatorio sui primi sei invii di armamenti italiani. “L’affermazione della presidente del Consiglio appare essere poco fondata, proprio per la natura del meccanismo di sostegno militare implementato già poche settimane dopo l’invasione russa, ed è già stata smentita in passato da analisi sia nostre sia condotte da altri“, scrivono i ricercatori dell’Osservatorio indipendente sulle spese militari Mil€X.

La base giuridica su cui poggia l’invio di armi italiane a Kiev sono i decreti legge approvati e poi convertiti dal Parlamento in questi mesi -il primo, “Disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina”, risale al 25 febbraio 2022 (Governo Draghi)-. L’impegno è stato poi prorogato dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni lo scorso dicembre. Entrambi gli atti usano lo stesso schema: vengono identificati armamenti non più in uso alle forze armate italiane che vengono quindi spedite verso l’area di conflitto. Non ci sono quindi costi da parte dell’Italia per l’acquisto di nuovi materiali e l’unica spesa sembra essere quella per gestire la spedizione. Tuttavia, puntualizza Mil€X, dovranno essere individuati nuovi fondi per il ripristino delle scorte. “Pur non essendoci un meccanismo automatico in tal senso, anche perché è molto probabile che soprattutto i primi invii abbiano coinvolto materiali d’armamento datati, diverse sono state le conferme di esponenti politici e della Difesa in relazione a una tale necessità”, si legge nell’analisi. In particolare, era stato proprio il ministro della Difesa Guido Crosetto a dichiarare esplicitamente lo scorso 25 gennaio, durante un’audizione parlamentare, che l’Italia dovrà comprare di nuovo le armi che ha spedito gratuitamente: “L’aiuto che abbiamo dato in questi mesi all’Ucraina -ha dichiarato- ci impone di ripristinare le scorte che servono per la difesa nazionale”.

A causa della secretazione imposta sul tipo di materiale bellico inviato in Ucraina, non è possibile però avere un dato preciso rispetto al suo valore: facendo riferimento a una dichiarazione del ministro degli Esteri Antonio Tajani (che aveva parlato di un miliardo di euro) e ai dati del progetto di monitoraggio del think tank tedesco Kiel institute (350 milioni di euro), Mil€X ipotizza una cifra di partenza di 500 milioni di euro. “Tale elemento di partenza è fondamentale perché è su tale cifra che si basano le richieste di rimborso avanzate dagli Stati membri all’Unione europea, che da mesi ha deciso di aiutare lo sforzo di aiuto militare ingrandendo sempre di più i fondi della European peace facility (Epf) dedicati allo scopo”, ricostruisce l’Osservatorio.

Istituito il 22 marzo del 2021 con una dotazione iniziale di 5,6 miliardi di euro, l’Epf è uno strumento finanziario gestito dal Consiglio europeo e viene finanziato dai contributi annuali degli Stati membri in base al loro reddito nazionale lordo, a cui l’Italia partecipa per il 12,8% del totale. L’invasione russa del febbraio 2022 ha portato a un aumento esponenziale del suo budget che a marzo 2023 ha raggiunto i 7,9 miliardi, di cui 3,6 miliardi destinati proprio a sostenere lo sforzo bellico di Kiev. Le risorse dell’European peace facility non sono però sufficienti a risarcire integralmente gli Stati membri che, secondo le stime di Mil€X, riceveranno circa il 50% del valore spedito. “Tale quota potrebbe scendere ulteriormente in quanto, secondo diversi retroscena, gli Stati starebbero gonfiando le cifre relative alle loro spedizioni -scrive ancora l’Osservatorio-. A prima vista il sistema di rimborso potrebbe apparire utile a diminuire il costo legato al ripristino delle scorte ma, se si considera che tale Fondo europeo è alimentato dalle quote degli Stati membri, il risultato reale va in tutt’altra direzione, soprattutto per un Paese come l’Italia”. 

Proprio in virtù del continuo rialzo del tetto finanziario dell’Epf, infatti, il Consiglio europeo ha potuto decidere a marzo 20223 un nuovo programma di sostegno all’invio di munizionamento verso Kiev, con due tranche da un miliardo di euro ciascuna a cui l’Italia contribuisce versando la propria quota pari al 12,8% della spesa totale. Ed è da qui, sottolinea Mil€X, che deriva la maggior parte del costo che il nostro Paese dovrà sostenere”.

Per tutti questi fondi l’Italia ha l’obbligo, come già accennato, di contribuire per il 12,8%, da cui deriva la maggior parte del costo che dovrà sostenere. “È soprattutto questa ‘quota collettiva’ a gravare sulle casse statali e a smentire le dichiarazioni della presidente Meloni: il costo non è direttamente legato al ripristino delle scorte ma esiste ed è rilevante -concludono dall’osservatorio-. Applicando infatti i meccanismi di calcolo derivanti dalla pluralità di scelte messe in campo otteniamo per l’Italia a oggi un costo certo di 838 milioni di euro”. Una cifra che potrebbe lievitare fino ai 950 milioni di euro se Roma dovesse formalizzare la propria partecipazione alla seconda tranche dei programmi di nuovo munizionamento.

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