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Il congedo di paternità resta un tabù anche nell’ultima Legge di Bilancio
Con soli dieci giorni da poter utilizzare nei primi cinque mesi dopo la nascita, l’Italia è tra i peggiori in Ue. La manovra 2025 non prevede interventi strutturali, limitandosi a misure spot una tantum a “sostegno alla genitorialità”. Avere dei figli continua così a produrre un impatto negativo soprattutto sulle donne. Tra sistemi educativi per la prima infanzia del tutto insufficienti e una cultura della cura fortemente femminilizzata
Tra le misure della Legge di Bilancio 2025 in discussione in Parlamento, dal valore complessivo di circa 30 miliardi di euro, tornano anche i cosiddetti interventi “a sostegno della genitorialità”, pari a 1,7 miliardi di euro.
Andando oltre i titoli, però, la manovra non prevede modifiche significative, limitandosi a incentivi una tantum come la “Carta per i nuovi nati” per i genitori con un Isee al di sotto dei 40mila euro, i 500 milioni previsti per la “Carta dedicata a te” destinati ai nuclei familiari con redditi inferiori ai 15mila euro e i “Bonus asili nido”.
Restano un tabù invece i congedi di paternità, introdotti in Italia con la legge Fornero nel 2012 per garantire la presenza di entrambi i genitori in prossimità della nascita del figlio. Una scarsa attenzione alla genitorialità che trova conferma anche nell’investimento italiano nelle prestazioni sociali erogate alle famiglie e ai minori nel 2023, stimato intorno all’1,2% del Pil nell’ultimo Rapporto annuale Istat.
“La spesa per il welfare in Italia è tra le più basse in Europa -spiega ad Altreconomia Annina Lubbock, sociologa delle pari opportunità, già gender adviser alle Nazioni Unite-. La legislazione risente di un’impostazione familistica e di una cultura della cura fortemente femminilizzata”.
Lo scarso interesse ai congedi, nella nuova manovra di bilancio, ne è un sintomo. Il congedo di paternità in Italia è ancora tra i peggiori nell’Ue, con soli dieci giorni da poter utilizzare nei primi cinque mesi dopo la nascita del figlio: il minimo consentito dopo l’approvazione, nel 2019, della Direttiva europea sulla conciliazione. Numeri lontanissimi dai cinque mesi obbligatori del congedo di maternità, indennizzati all’80% rispetto al 100% garantito ai padri lavoratori.
“L’Italia, fanalino di coda rispetto ai congedi di paternità deve riconoscere i benefici a breve, ma anche a lungo termine di un coinvolgimento precoce dei padri nell’accudimento del bambino -osserva Giorgio Tamburlini, presidente del Centro per la salute del bambino, onlus nata per garantire ai bambini uguali opportunità di sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale fin dalla nascita- come lo sviluppo nel figlio di maggiori capacità cognitive e sociali, di una migliore regolazione e autostima nonché di una riduzione di comportamenti violenti in età adulta”.
Nonostante l’utilizzo dei congedi di paternità sia aumentato negli ultimi anni, usufruito in media da tre padri su cinque (64,04%) nel 2022 secondo un’analisi dell’Inps esistono ancora molte criticità strutturali, confermate anche da una recente indagine condotta dal Centro per la salute del bambino insieme all’Università di Torino nel contesto di “4e-Parent”, progetto europeo coordinato dall’Istituto superiore di sanità volto a promuovere “una mascolinità accudente” e “supportare la modifica delle politiche”.
Dalla ricerca è emerso infatti che solo il 45% dei padri rispondenti, su un campione di mille dipendenti neogenitori, ha utilizzato il congedo di paternità. La motivazione principale per metà degli intervistati risiede nella percezione di non sentirsi necessari dovuta alla presenza della partner a casa (53%), seguita da una scarsa conoscenza del diritto di cui si dispone (33%) e dalla paura di ripercussioni sul luogo di lavoro (14%). La risposta più riferita dai neo-genitori in termini numerici tocca a tutti gli effetti un nervo scoperto.
Avere dei figli in Italia produce un insopportabile impatto negativo sulle donne lavoratrici, comportando spesso una rinuncia del posto di lavoro. A confermarlo sono i dati della “Relazione annuale sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri” dell’Ispettorato del lavoro (2022), secondo cui la crescita delle dimissioni volontarie colpisce soprattutto le donne rispetto agli uomini, +22,3% contro +14,4%. Nel testo della relazione si legge inoltre il profilo di chi lascia maggiormente il lavoro: “Genitore di un figlio di età tra 0 e 1 anno, prevalentemente donna”. I mesi successivi alla nascita del bambino sembrano essere quindi determinanti nella scelta di continuare o meno il lavoro e l’assenza di un supporto paterno nella cura del figlio potrebbe fare la differenza.
Un altro nodo da sciogliere riguarda i sistemi educativi italiani. Dai dati Istat nell’anno 2022/2023 il tasso di copertura dei sistemi educativi per la prima infanzia (0-2 anni) è pari a 30 posti per 100 bambini, al di sotto del nuovo target di 45 posti per 100 bambini definito per il 2030 all’interno degli “obiettivi di Barcellona” e soprattutto presenta grandi disuguaglianze territoriali. Il Sud e le Isole raggiungono appena il 17,3 e il 17,8.
Un sistema infrastrutturale precario che si basa a sua volta su misure scarne per il sostegno alla genitorialità, come i congedi obbligatori, concepiti già con un forte divario di genere in termini di durata e retribuzione. La figura del padre, come si può notare dai soli dieci giorni previsti, è inoltre percepita come accessoria rispetto alla figura materna.
Dall’esigenza di riconoscere la necessità della presenza effettiva del padre nei primi anni di vita del bambino è nata infatti una proposta di legge all’interno del progetto “4e-Parent”, pervenuta sotto forma di lettera ad Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità. Le richieste principali riguardano l’estensione del congedo di paternità a 22 giorni garantendone l’obbligatorietà e un’indennità al 100% per il congedo di maternità.
Un’altra questione importante, sollevata da un’indagine del medesimo progetto, emerge dalla domanda sul perché il padre non avesse usufruito dei congedi di paternità. Circa la metà degli intervistati su 4.500 neogenitori ha dichiarato infatti che “non ne aveva diritto”.
L’azienda gioca un ruolo determinante sulla scelta del dipendente di usufruire o meno del congedo di paternità. “Nel mondo aziendale esistono ancora dei forti pregiudizi rispetto all’uomo accudente, visibili ad esempio nelle battutine dei colleghi -dice Rinaldo Platti, consulente del lavoro per l’azienda Prolink, presente al convegno ‘Il Tempo dei Padri’ organizzato in occasione di ‘4e-Parent’- commenti a cui si aggiunge il datore di lavoro, spesso artefice di pressioni psicologiche sui dipendenti maschi per spingere loro a proseguire il lavoro”.
I congedi non sono inoltre un diritto riconosciuto a tutti i lavoratori. Un caso emblematico è quello dei padri freelance, privati del congedo di paternità: un’ingiustizia sollevata nella stessa proposta di legge del progetto “4e-Parent”. “Quando sono diventato papà ho dovuto costruire degli spazi di libertà per assegnarmi un congedo di paternità -racconta Claudio Riccio, creative strategist freelance-. Ho scelto di non lavorare per il primo mese, mantenendo solo poche relazioni con i clienti e riducendo l’orario lavorativo nei mesi seguenti: una condizione di privilegio resa possibile dagli introiti nel periodo precedente alla nascita di mio figlio. Mi fa riflettere, però, che il numero dei giorni del mio auto-congedo siano inferiori rispetto a quello regolamentato in molti Paesi europei.” Tra questi, un esempio virtuoso è la Spagna con sedici settimane di congedo per entrambi i genitori, valide anche per i freelance e calcolate sulla media dei contributi dei sei mesi precedenti. Il sistema normativo italiano non sembra favorire invece la strada di una genitorialità condivisa, a partire dalla Legge di Bilancio.
“È necessario creare spazio alla paternità nel welfare, negli ambienti di lavoro e nel contatto dei padri con loro stessi -osserva Maddalena Cannito, sociologa, ricercatrice presso l’Università di Torino e autrice del libro ‘Fare spazio alla paternità’ (Il Mulino, 2022)-. Nelle interviste del progetto 4e-Parent è emersa un’assenza di momenti di riflessione sull’esperienza di essere diventati padri”.
In Italia la figura paterna è ancora legata alle attività ludiche con i figli, ma si nota sempre di più -come si apprende dal libro di Cannito- una maggiore legittimità sociale verso una “relazione intima padre-figlio”. È necessario, quindi, tornare alla cura come bene intrinseco, affermando la genitorialità anche nel contesto lavorativo dove spesso, dei padri, non si sa nulla.
Ma senza un cambio di paradigma del governo italiano diventa tutto più complicato. Le sole misure spot promesse dalla legge di bilancio, così come sono, non potranno salvare la genitorialità.
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