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Il centro che in Burkina Faso prova a sfatare i tabù sulla salute mentale

Un paziente impegnato nelle attività Centre Notre Dame de l’espérance. Nei Paesi dell’Africa sub-sahariana meno dell’1% dei fondi stanziati dai governi per la sanità viene destinato alla salute mentale

A Bobo Dioulasso gli operatori dell’associazione Saint Camille accolgono e si prendono cura delle persone con sofferenza psichica per favorirne il reinserimento sociale. E costruiscono inedite alleanze con i guaritori tradizionali

Tratto da Altreconomia 247 — Aprile 2022

Ismael (nome di fantasia) è stato trovato a Bama, villaggio a 30 chilometri da Bobo Dioulasso -seconda città del Burkina Faso- dagli operatori del Centre Notre Dame de l’espérance, struttura che si occupa dell’accoglienza, della cura e del reinserimento sociale delle persone con disagio psichico, che spesso si trovano a vivere per strada, in una situazione di abbandono. L’uomo, all’inizio, non ricordava chi fosse e da dove venisse. Non parlava nemmeno. Nel 2020, dopo quattro anni di lenti miglioramenti, è riuscito a ricordare un numero di telefono. Era quello di suo fratello, che da anni viveva in Costa d’Avorio. Ora Ismael è in contatto con la sua famiglia, conosce la sua identità, ma non ha ancora espresso il desiderio di tornare a casa: per il momento sta bene al centro, dove si sente protetto. 

Il Centre Notre Dame de l’espérance, nato nel 2014 a Bobo Dioulasso dall’attività dell’associazione Saint Camille de Lellis, si rifà a esperienze simili già avviate in Benin e in Costa d’Avorio con successo. “Abbiamo pensato di dare una risposta locale allo stesso problema -spiega l’abbé Emmanuel Nabalaoum, fondatore e presidente del centro-: avevamo notato che il sistema sanitario dava copertura solo a chi era in grado di raggiungere l’ospedale per conto proprio, cosa spesso impossibile per le persone con disturbi psichiatrici”. 

L’operato del Centre Notre Dame de l’Esperance -ora arricchito con una fattoria terapeutica, interamente gestita da pazienti ed ex pazienti- è sostenuto anche attraverso il progetto di cooperazione “Renaissance” guidato dall’Ong goriziana Centro volontari cooperazione allo sviluppo (Cvcs), in collaborazione con l’Università degli studi di Trieste e il dipartimento di Salute mentale dell’Azienda sanitaria universitaria giuliano-isontina, assieme a diverse associazioni burkinabé; nel team di lavoro si sono aggiunte, in corso d’opera, l’associazione Frantz Fanon di Torino e l’Università di Bobo Dioulasso. “Progetti di questo tipo sono molto rari -afferma Christian Olivieri, il project manager che segue le attività in Burkina Faso-. Si tratta di un argomento che non ha ancora la visibilità che merita: l’Organizzazione mondiale per la sanità ha segnalato che c’è un ritardo sulle azioni per la presa in carico delle persone con disagio psichico in tutto il globo, specialmente nel Sud del mondo”. 

La questione della salute mentale in Africa è molto complessa. Nel continente l’assistenza sanitaria è un settore scarsamente finanziato. La dichiarazione di Abuja, adottata nel 2001 dai Paesi dell’Unione africana, richiede a ogni nazione l’impegno a destinare almeno il 15% del proprio budget alla sanità; questa prescrizione resta però in larga parte disattesa e i servizi di salute mentale sono, tra tutti, i più trascurati. Meno dell’1% dei fondi stanziati dai governi per la sanità, infatti, viene destinato a questo scopo; in media nella regione africana ci sono solo 1,4 operatori specializzati ogni 100mila abitanti. “La copertura sanitaria -dice l’abbé Nabalaoum- non riesce a dare una risposta di sistema, i malati spesso sono costretti ad arrangiarsi”. Le persone con disagio psichico, però, non sono poche. E nell’area del Sahel la situazione è aggravata dall’impatto delle guerre civili, della violenza e dei morti, che espone le persone più fragili a un’ulteriore sofferenza, aumentando al contempo il rischio di emarginazione sociale.

“Secondo l’Oms c’è un ritardo sulle azioni per la presa in carico delle persone con disagio psichico in tutto il globo, specialmente nel Sud del mondo” – Christian Olivieri

Tradizionalmente, i disturbi psichici sono fortemente stigmatizzati. “Le malattie mentali vengono ritenute effetto di agenti sovrannaturali, punizioni degli antenati perché la persona ha fatto qualcosa di negativo o atti di stregoneria verso la famiglia”, spiega Ilaria Micheli, ricercatrice di Lingue e culture dell’Africa che si è occupata della stesura di un rapporto antropologico e linguistico nell’area del Centre Notre Dame de l’espérance. Il documento era la prima parte di uno studio che porterà, in questi mesi, alla redazione di una ricerca volta a testare l’affidabilità dei questionari sui disturbi psichiatrici dell’Oms anche in Paesi in cui l’ambiente culturale è diverso da quello occidentale.

Gli operatori del Centre Notre Dame de l’espérance organizzano la distribuzione dei farmaci. L’obiettivo dell’associazione Saint Camille de Lellis è sviluppare servizi di salute mentale capaci di costruire pratiche e reti di presa in carico solidale all’interno della comunità

“Uno dei primi suggerimenti che abbiamo dato -continua la ricercatrice- è stato quello di instaurare un rapporto con i guaritori tradizionali. La famiglia, infatti, non ha bisogno solo di una stabilizzazione attraverso i farmaci, ma anche di liberarsi di una forza ritenuta negativa secondo la cultura locale. Un altro elemento è legato alla lingua: la terapia della parola è fondamentale, ma non può essere svolta con persone che parlano quasi esclusivamente la loro lingua madre. In questo l’aiuto dei guaritori diventa fondamentale”.

“È importante il rapporto con i guaritori tradizionali. La famiglia non ha bisogno solo di farmaci ma anche di liberarsi da una forza ritenuta negativa dalla cultura” – Ilaria Micheli 

I pazienti del Centre Notre Dame de l’espérance, infatti, parlano 14 idiomi diversi e l’unica lingua veicolare è il dioula, che però è molto povera e difficilmente si adatta a usi complessi come quelli della cura. Superare le resistenze -da entrambe le parti- nell’integrazione tra i saperi tradizionali e quelli della medicina moderna è fondamentale, perché permette lo sviluppo di servizi di salute mentale territoriali, capaci di costruire pratiche e reti di presa in carico solidale all’interno della comunità. “Il Centre Notre Dame de l’espérance -dice l’abbé Nabaloum- lavora sulla relazione sociale, punta a valorizzare il malato mentre lo cura. Le stesse persone che prima in casa non facevano nulla, cominciano a riscoprire delle occupazioni e la voglia di mettersi in gioco. A rinascere, insomma”. Ed è proprio da questa rinascita che deriva il nome del progetto, “Renaissance”. Molti pazienti, alla fine della terapia, vengono reinseriti nella loro comunità di appartenenza, altri decidono di rimanere più a lungo nella struttura. Tra coloro che hanno deciso di restare c’è Ibrahim (nome di fantasia). 

Prima di venire accolto dall’associazione Saint Camille de Lellis l’uomo viveva per strada, non aveva progetti per il futuro; ora, all’interno della fattoria terapeutica, ha il compito di inserire nel gruppo i nuovi arrivati, con un ruolo di coordinazione. “Oggi riesce a organizzare la sua vita, ma non solo: è in grado anche di seguire altre persone e di essere di supporto”, racconta il presidente del centro. Soprattutto per quanto riguarda questioni complesse come quelle mediche, la cooperazione non può quindi limitarsi a calare dall’alto conoscenze sviluppate in altri contesti culturali e sociali: si tratta di un dialogo, di uno scambio. È proprio in quest’ottica che si svolgono le formazioni del progetto, a cui partecipano professionisti italiani e burkinabè, confrontando esperienze e modalità d’azione. “Questo tipo di dinamica -conclude Olivieri- si sta rivelando di successo e potrebbe essere replicata in diversi contesti nella stessa regione africana. La nostra Ong intende continuare lungo questa traiettoria: secondo l’Oms la mancanza di servizi legati alla salute mentale può avere conseguenze negative sullo sviluppo della società nel suo complesso”. 

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