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Il caso Scieri non è chiuso
A 15 anni dalla morte di Emanuele, paracadutista di leva ucciso da ignoti in caserma a Pisa, arriva in Parlamento la proposta di una Commissione d’inchiesta. La madre Isabella Guarino: "Se si fossero approfonditi vari aspetti con minore superficialità e fretta, soprattutto in relazione alla mancata ricerca di mio figlio dopo il contrappello [la sera del 13 agosto 1999, ndr], avremmo potuto sapere cosa accadde in quelle ore"
Il caso di Emanuele Scieri, ucciso il 13 agosto del 1999, a soli ventisei anni, presso la caserma “Gamerra” di Pisa, dove stava svolgendo il servizio di leva tra i paracadutisti della Folgore, è una ferita ancora aperta nella storia italiana e nella vita di una famiglia. Quindici anni di ingiustizia, di lotte, sconfitte, dolore, che i familiari hanno vissuto con immensa dignità e senza mai arrendersi. “In questi quindici anni -afferma Isabella Guarino, mamma di Emanuele- la cosa che mi ha dato più forza è stato sapere che la morte di mio figlio ha inciso sulla vita militare, perché dopo ciò che è successo a lui è stata fatta la legge per l’abolizione della leva obbligatoria, di cui tanti giovani hanno usufruito. Non dico sia stata una consolazione, perché sarebbe troppo, ma è un obiettivo che siamo riusciti a raggiungere”.
“Ciò che invece mi ha deluso di più -continua- è stato il comportamento della magistratura e dei militari. Dai militari non mi aspettavo alcunché, ma l’operato della magistratura mi ha fatto male. Credo che, se si fossero approfonditi vari aspetti con minore superficialità e fretta, soprattutto in relazione alla mancata ricerca di mio figlio dopo il contrappello, avremmo potuto sapere cosa accadde in quelle ore”. Alle 23.45 del 13 agosto, infatti, Emanuele non risponde presente al “contrappello”, benché fosse rientrato in caserma alle 22.15, ma nonostante quest’assenza inspiegabile nessuno lo cerca. Il “caso Scieri” è una vicenda oscura, che da 15 anni si scontra con un muro di gomma che né le iniziative di amici e familiari, né le inchieste giudiziarie sono riuscite ad abbattere. Per questo, adesso si propone l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta, su iniziativa dell’onorevole Sofia Amoddio, del Partito democratico.
Scieri era un praticante avvocato di Siracusa, avviato ad una brillante carriera, che il 21 luglio 1999 iniziò il servizio di leva a Firenze, presso la caserma “Lupi di Toscana”. Il 13 agosto 1999, terminata la fase di addestramento, viene trasferito a Pisa, presso la caserma “Gamerra”, dove arriva verso l’ora di pranzo. Dopo aver espletato le formalità di rito, trascorre la giornata in libera uscita per le vie di Pisa. Alle ore 22.15 rientra in caserma, e questo rimane l’ultimo momento accertato della sua esistenza. Il commilitone Stefano Viberti sostiene di essersi fermato con lui nel vialetto antistante la camerata per fumare una sigaretta. Lo stesso Viberti racconterà di aver lasciato solo Emanuele (il quale aveva detto di dover fare una telefonata con il proprio cellulare) e di essere rientrato in camerata. Alle 23.45, il contrappello accerta che Scieri non è tornato in camera. Malgrado l’assenza insolita, visto che egli era certamente rientrato in caserma, non viene allertato l’ufficiale di picchetto, e nessuno si premura di cercare Emanuele, né quella notte né le successive. Per tre notti e tre giorni di lui non si avrà notizia, né qualcuno all’interno della caserma si allarmerà. A Ferragosto, la “Gamerra” è oggetto di due ispezioni (una al mattino e una la sera) ad opera del generale Enrico Celentano e del colonnello Pier Angelo Corradi, ma in nessun caso si rileva che ai piedi della scala della torretta di prosciugamento dei paracadute, che si trova nelle immediate vicinanze della camerata e in una zona abbastanza illuminata, c’è il corpo senza vita di una recluta. Verrà scoperto soltanto alle ore 13.50 di lunedì 16 agosto 1999, da quattro allievi parà in servizio al magazzino-casermaggio. Il suo corpo è già in stato di decomposizione, ed è proprio il cattivo odore a determinarne il ritrovamento. Il “caso Scieri” diventa di dominio nazionale, e oltre alle richieste di giustizia sollecita un intenso dibattito generale su nonnismo, ambienti militari e -soprattutto- sulla leva obbligatoria, che qualche anno dopo, proprio sulla spinta emotiva di tale delitto, verrà abolita. Dalle indagini emergerà che Emanuele è stato vittima di nonnismo: sarà stabilito, con ragionevole certezza, che fu costretto ad arrampicarsi sulla scala della torretta di asciugamento dei paracadute, dalla parte esterna e, dunque, senza protezioni, con le scarpe slacciate e potendo contare solo sulla forza delle braccia.
Uno o più persone, i suoi carnefici, arrampicatisi dalla parte interna e protetta della scala, gli pestavano brutalmente le mani e i piedi in modo da far sì che perdesse la presa, come mostrano le aperture cutanee sul dorso dell’avampiede sinistro, impossibili da collegare con l’impatto sul suolo o su qualsiasi ostacolo. Come la Procura ha accertato, Scieri cadde da un’altezza compresa tra i 5-6 metri e i 9-10 metri, rimanendo in agonia, come i medici legali hanno riscontrato, per ben otto ore. È l’intervallo di tempo durante il quale, se si fossero attivare le ricerche, sarebbe stato possibile salvarlo. Il processo si è chiuso, nel 2000, con una clamorosa archiviazione (“il fatto non sussiste”): gli autori di questo atroce delitto, così, sono rimasti ignoti. L’unica cosa certa è che Emanuele è stato ucciso, mentre non è stato possibile accertare le responsabilità, né l’ipotesi secondo cui il suo corpo sia stato nascosto tra tavoli e cianfrusaglie, allo scopo di impedirne il ritrovamento, e che addirittura (è uno degli scenari possibili) Emanuele sia stato vegliato dai suoi carnefici fino alla morte.
Omicidio ad opera di ignoti, dunque, impossibili da identificare per via del fitto muro di reticenze riscontrato all’interno del corpo militare. Una posizione che lo stesso procuratore capo di Pisa Enzo Iannelli, oggi giudice di Cassazione, ha ribadito in una intervista rilasciata, nell’aprile 2014, al quotidiano Il Tirreno: “Abbiamo tentato fino all’ultimo -ha detto Iannelli- di battere qualsiasi pista. Purtroppo c’è stata una chiusura da parte di chi ha visto e non ha parlato […]. Esiste una percentuale di delitti che non vengono scoperti. Questo è uno di quei casi non risolti. Ma non per incuria delle indagini”.
Una visione contestata dai familiari di Emanuele e anche dall’onorevole Amoddio. Perché l’incuria, come l’ha definita Iannelli, avrebbe caratterizzato le indagini, soprattutto con riferimento alle tardive misure di controllo e di intercettazione di Viberti, l’ultimo ad aver visto Emanuele, e alla mancata considerazione di una telefonata che, poco prima della mezzanotte del 13 agosto, sarebbe stata effettuata dalla caserma verso l’utenza telefonica dell’abitazione del comandante della “Brigata Folgore”, il generale Celentano. Da qui nasce l’esigenza di proporre la commissione di inchiesta, nella speranza che stavolta si possa raggiungere questo obiettivo (altre iniziative, in passato, non sono andate a buon fine): “La proposta di legge -spiega la Amoddio- riepiloga tutto e indica ogni grave incoerenza. Hanno firmato più di venti parlamentari, in gran parte siciliani. Inoltre, i comuni di Siracusa, Noto, Ferla e Sortino hanno deliberato in consiglio per chiedere al Parlamento l’istituzione della commissione di inchiesta. Parliamo di una vicenda del 1999, dunque molto lontana nel tempo, e quindi manca, nella gente, l’impatto emozionale che ci fu nell’immediato. Ma noi ci proviamo, sperando che chi ha firmato si impegni in tal senso”. Alla notizia della nuova iniziativa, intanto, gli amici di Emanuele si sono rimessi in moto e, attraverso i social network, hanno coinvolto già più di seimila persone, tra cui anche parlamentari e amministrazioni comunali di ogni parte d’Italia, e hanno predisposto numerose iniziative per chiedere che emerga finalmente la verità su questo omicidio.
Una verità che, dal 1999, i familiari non hanno mai smesso di chiedere. Il padre di Emanuele, Corrado, nel frattempo è morto senza avere una risposta. Sono stati pubblicati libri e realizzati spettacoli teatrali, ma niente è emerso fuori dal pozzo di omertà dell’esercito. “Da questa vicenda -ci dice mamma Isabella- ho imparato che quello militare è il potere più difficile da combattere. Sono più pessimista che ottimista. Mio marito è morto spendendosi fino all’ultimo. Fino alla fine voleva che non ci si dimenticasse di questa vicenda. Poi la malattia è stata più forte. Questo 2014 è stato l’anno in cui si è tornati a parlare del caso. Non so se l’opinione pubblica riuscirà a toccare l’animo di una persona che non ha parlato fino ad ora. La commissione, però, potrebbe acquisire atti, risentire testimoni e verificare dati oggettivi mai considerati. Vediamo cosa accadrà”. Anche il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha chiamato la madre di Emanuele, manifestandole interesse. La speranza maggiore, tuttavia, rimane affidata all’istituzione della commissione di inchiesta, la cui proposta è stata depositata e che adesso attende di essere accolta dalla presidenza della Camera e assegnata a una delle commissioni parlamentari permanenti. Dopo 15 anni di delusioni e ingiustizie, ci si augura che la verità riesca a trovare spazio. —