Diritti / Inchiesta
Il carcere sedato: più di due milioni di euro all’anno spesi in psicofarmaci
Dai dati inediti ottenuti da Altreconomia su 15 istituti italiani emerge una somministrazione di antipsicotici, utilizzati per gravi patologie come il disturbo bipolare, cinque volte superiore rispetto alla popolazione generale
“Le carceri, sempre di più, mi ricordano la linea del ‘fuori tempo massimo’ per chi è troppo lento nelle gare ciclistiche”, riflette Michele Miravalle, coordinatore dell’osservatorio sul carcere di Antigone, associazione che si occupa di giustizia penale, scorrendo l’elenco dei farmaci utilizzati all’interno dei penitenziari italiani. “Sono contenitori di un’umanità in eccesso, di un disagio diffuso rispetto a cui la soluzione più immediata e semplice è quella farmacologica”, aggiunge.
Una tendenza che emerge dai dati inediti ottenuti da Altreconomia che quantificano in due milioni di euro la spesa in psicofarmaci somministrati nelle strutture detentive italiane nel 2022. Soprattutto antipsicotici, il 60% del totale, prescrivibili per gravi patologie come il disturbo bipolare e la schizofrenia e utilizzati cinque volte di più rispetto all’esterno. “Anche se i due insiemi della popolazione non sono comparabili, si tratta di una differenza preoccupante”, commenta Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda unità sanitaria locale di Modena e presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica.
Paliperidone, Apipipraziolo, Trazodone, Olanzapina e Quietapina. Sono alcuni dei nomi ricorrenti nelle forniture di farmaci tra il 2018 e la fine del 2022 destinati a 15 carceri di cui Altreconomia ha ottenuto i dati: un campione che copre 12.400 detenuti su un totale di 56mila, analizzato con il supporto di Antigone, dal quale emerge un elevato utilizzo di antipsicotici. “Sono farmaci che servono per ridurre sintomi come i deliri e le allucinazioni -osserva Starace- e sono appropriati per chi ha una diagnosi per psicosi e schizofrenia. Ma a seconda dei dosaggi hanno effetti sedativi importanti: questa spesa così elevata potrebbe essere in parte determinata dal tentativo di evitare una somministrazione più ampia di ansiolitici, come le benzodiazepine, che danno luogo più frequentemente ad abuso e dipendenza”. Secondo Antigone, però, i detenuti con “diagnosi psichiatrica grave” sono meno del 10% del totale. “Stiamo sedando dei disturbi o dei disturbanti? -si chiede Starace-. Nel primo caso siamo all’interno dell’agire clinico. Nel secondo invece no, e si persegue in modo inappropriato un obiettivo di controllo”.
Nel 2022 è l’istituto milanese di San Vittore, da 894 presenze annuali in media, la struttura che spende di più in media per ogni detenuto in antipsicotici (83 euro), con una crescita del 180% rispetto ai 30 euro del 2018. Un aumento che si registra anche al Lorusso Cotugno di Torino, dove dal 2018 al 2022 la spesa a persona è cresciuta del 74%. In altri istituti, invece, il consumo è in diminuzione rispetto agli anni precedenti pur restando su valori molto elevati: è il caso di Udine -il carcere più sovraffollato d’Italia con un tasso del 180% ad agosto 2023- con 52,5 euro di spesa, dell’istituto campano di Santa Maria Capua Vetere (30,7) e di Sollicciano a Firenze (29,9). Dati più bassi si registrano a Napoli Poggioreale (8,9 euro pro-capite), istituto da oltre duemila detenuti, e Bollate a Milano (6,9), che con oltre 1.300 presenze è considerato da molti un fiore all’occhiello del sistema.
I costi sono generalmente più contenuti nelle case di reclusione, “riservate” a chi ha una pena definitiva, e maggiori nelle circondariali -con qualche eccezione, come Poggioreale- dove il turnover delle presenze è più elevato e il periodo di permanenza minore. “Le differenze territoriali vanno anche lette nell’ottica di quali alternative si hanno al farmaco -spiega Alessio Scandurra, anche lui coordinatore dell’osservatorio sul carcere di Antigone-. Probabilmente anche l’area sanitaria può agire diversamente se ci sono più attività, più spazi aperti e maggiori contatti con l’esterno”.
Al di là delle specifiche differenze strutturali e di gestione, mediamente negli istituti si spende in antipsicotici appunto più di cinque volte rispetto alla popolazione generale. “Un dato preoccupante -osserva Starace- nonostante le ovvie differenze tra il carcere e l’esterno”.
“Stiamo sedando dei disturbi o dei disturbanti? Nel primo caso siamo all’interno dell’agire clinico; nel secondo no e si persegue un obiettivo di controllo” – Fabrizio Starace
Il raffronto è frutto dell’analisi incrociata tra la spesa pro-capite in carcere (calcolata dividendo la spesa per la popolazione media annuale) e i dati contenuti nel rapporto dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) del 2021, l’ultimo disponibile, rispetto al costo a persona, Regione per Regione, dei farmaci appartenenti a diverse categorie terapeutiche. Gli antipsicotici sono l’unica categoria, a differenza delle altre già citate come antiepilettici o antidepressivi, che per l’85% delle strutture prese in esame mostra valori molto elevati. Mentre in Lombardia, ad esempio, secondo l’Aifa, la spesa pro-capite all’esterno è di 6,6 euro, a San Vittore è dodici volte di più (83 euro) a Opera quasi due volte mentre a Bollate è molto simile (6,5 euro); in Piemonte si registra una spesa pro-capite generale di 3,5 euro che è dieci volte inferiore rispetto a quella del Lorusso Cotugno di Torino (35 euro) mentre il dato più alto si registra alla casa circondariale Rocco d’Amato di Bologna con 41,3 euro a detenuto contro i 3,6 “esterni”.
Se la maggiore spesa in antipsicotici -il 60% del totale degli psicofarmaci, seguiti a distanza da ansiolitici (16%), antiepilettici (11%), antidepressivi (8%) e ipnotici e sedativi (1%)- può essere in parte giustificata dal maggior costo delle singole dosi, è la sproporzione nel confronto tra esterno e interno a essere rilevante. Una differenza che si riscontra anche utilizzando un metodo diverso per fare il raffronto che non prende in esame la spesa pro-capite riferita generalmente alla popolazione detenuta, bensì quella specifica su chi, secondo le rilevazioni di Antigone, assume antipsicotici, antidepressivi e stabilizzanti dell’umore. Mediamente sono il 15% nei sei istituti, sui 15 presi in esame, per cui il dato dettagliato era disponibile: anche in questo caso, la spesa a persona risulta essere cinque volte superiore rispetto all’esterno. Infatti, dai dati contenuti nel Rapporto di salute mentale 2021 pubblicato dal ministero della Salute è possibile ricavare sia il numero di persone che hanno utilizzato antipsicotici in ogni Regione, sia il “costo complessivo” sostenuto dalle rispettive Asl in regime convenzionato.
In Piemonte, ad esempio, la spesa a persona è di 27 euro mentre nel carcere Don Soria di Alessandria è 393 euro, quasi 15 volte superiore; al Borgo San Nicola di Lecce 362 euro a persona, 4,5 volte in più rispetto alla popolazione generale in Puglia.
In questa “differenza” di utilizzo, secondo Miravalle, si gioca il “rapporto” tra l’area sanitaria e quella della “sicurezza”, diventate due entità indipendenti con la riforma della sanità penitenziaria del 2010. “Non ci sono intenzioni ‘malvagie’ negli operatori sanitari. La richiesta di farmaci -spiega- arriva sia dai detenuti stessi, che cercano stordimento, sia dagli agenti che preferiscono lavorare in sezioni pacificate e l’antipsicotico, in questo caso, può essere la risposta più semplice. In un contesto in cui l’etichetta di disagio psichico è molto più ampia di quella medica che si utilizza all’esterno”. In altri termini: si considera psichiatrico un disagio che nasce in realtà dalla tensione e dalle difficoltà di vita all’interno degli istituti e dalle esperienze di vita pregresse dei detenuti. “Operatori, direttori, agenti. Ripetono tutti: ‘Ci mandano i matti a noi’. Ma noi lo ascoltiamo in ogni istituto. Il ‘problema’ -aggiunge Scandurra- è comune, e nei corridoi si dà la colpa alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg)”. Chiusi formalmente il 31 marzo 2015, l’ultimo, Barcellona Pozzo di Gotto (ME), è stato dismesso nel maggio 2017.
Gli Opg hanno sempre ospitato mediamente tra i mille e i 1.200 internati e a partire dal 2015 sono state aperte le Rems, acronimo di Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza con però in totale, nel 2022, circa 600 posti e una stima di 400 persone -“incapaci di intendere e volere” al momento della commissione del reato- in lista d’attesa. Nel 2021 nella Rems di Castiglione delle Stiviere (MN), dove era ricoverato un terzo di tutti gli internati in Italia, la spesa pro-capite in antipsicotici (in totale 123mila euro) è stata quasi cinquanta volte più alta rispetto al carcere. “Quelle strutture sono giustamente un mondo indipendente. Ma non possono diventare la valvola di sfogo, come era per gli Opg, ‘sfruttando’ l’etichetta vaga di disagio mentale”, osserva Miravalle.
“È necessario uscire dal sentito dire. Serve più trasparenza e maggior consapevolezza sullo stato della salute mentale delle nostre carceri” – Michele Miravalle
Il carcere, dal canto suo, fatica a dare risposte adeguate al cosiddetto disagio psichico in aumento. Secondo Antigone nel 2022 la quantità di ore di servizio settimanale degli psichiatri è stata di 8,75 ogni cento detenuti, poco più del doppio per quanto riguarda gli psicologi (18,5). E così l’accesso alle cure diventa, spesso, un miraggio. “Gli antipsicotici -sottolinea Starace- andrebbero utilizzati con molta attenzione all’interno di uno specifico piano terapeutico. Si tratta di farmaci che presentano frequentemente effetti collaterali e reazioni avverse sia nel breve che nel medio e lungo termine. La somministrazione ‘all’occorrenza’ è ancor più rischiosa, e in tutti i casi una compressa non può sostituire un intervento rieducativo”.
Anche la creazione di articolazioni per la salute mentale (Atsm) aperte dall’amministrazione penitenziaria in 34 istituti, con circa 300 persone in totale secondo i dati Antigone al marzo 2021, non ha risolto i problemi. Anzi. Al Lorusso Cotugno di Torino il “Sestante”, una di queste articolazioni, è stato chiuso nel novembre 2021 per le condizioni terribili in cui vivevano i reclusi, tanto da spingere la Procura ad aprire un’indagine. “Negli Atsm dovrebbe essere garantita una maggior presa in carico ma spesso le persone vivono in condizioni peggiori che in altre sezioni. Un controsenso. E poi -osserva Miravalle-mancano linee guida nazionali univoche su come organizzare e far funzionare questi reparti psichiatrici”.
Prendendo come esempio Sollicciano a Firenze, la spesa in psicofarmaci destinata all’Atsm incide mediamente del 15% sul totale dal 2018 al 2022: la presenza di queste articolazioni non è quindi una risposta “esaustiva” sotto la lente della spesa totale in psicofarmaci nei penitenziari. Una spesa che Altreconomia ha chiesto anche ai ministeri della Giustizia di Francia, Germania e Spagna per fare un ulteriore raffronto. Solo Madrid ha risposto dando conto di una spesa mensile in antipsicotici a detenuto di 8,94 euro: un dato purtroppo non confrontabile con quelli in nostro possesso. “È necessario uscire dal sentito dire -conclude Miravalle-: serve più trasparenza e maggior consapevolezza sullo stato della salute mentale delle nostre carceri”. Il ministero della Giustizia italiano, interpellato sul punto, non ha risposto.
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