Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Economia / Approfondimento

I Tribunali delle imprese e il record di cause contro i Paesi dell’America Latina

© Disegno originale di Ricardo Santos, aggiornamento di Mauricio Tarducci

È la seconda regione al mondo per numero di azioni legali intentate contro gli Stati sovrani, in particolare da multinazionali fossili o coinvolte nel settore minerario. Un regime di giustizia parallela poco trasparente, non imparziale e sbilanciato a favore dei privati. Nell’ultimo report del Transnational institute è fotografata una crescita preoccupante dei contenziosi. Ecco quali sono gli studi legali più coinvolti negli Isds

Almeno 17 miliardi di dollari: è la compensazione che alcune imprese straniere hanno chiesto ai Paesi dell’America Latina e dei Caraibi nel 2023 attraverso il sistema di arbitrato internazionale conosciuto come Investors state dispute settlements (Isds). Un vero e proprio meccanismo di giustizia parallela a quelli nazionali, a cui le aziende possono ricorrere se credono che gli Stati in cui hanno realizzato investimenti stiano violando i loro diritti. Ma che il centro studi Transnational institute (Tni) descrive come poco trasparente, non imparziale e sbilanciato a favore dei privati.

L’America Latina è la seconda regione al mondo per numero di azioni legali intentate contro gli Stati sovrani. Il 2023 è stato un anno da record: 28 cause, mai così tante fino ad ora, secondo i dati raccolti nel report “Isds in numeri”. Ma di 15 degli esposti presentati non si conosce nemmeno la richiesta di compensazione economica.

“È stato l’Honduras a far salire il numero di cause. Tra il 2023 e il 2024 ha ricevuto un totale di 14 citazioni perché la presidente Xiomara Castro ha annunciato cambi legislativi in diversi settori”, spiega Luciana Ghiotto, ricercatrice associata all’Istituto e componente del Consiglio nazionale per la ricerca tecnica e scientifica argentina. Altro contributo sostanzioso è arrivato dal Messico, che nel 2023 di cause ne ha avute ben 11.

Secondo Ghiotto le ragioni risiedono nelle clausole dei trattati per la protezione degli investimenti e i trattati di libero commercio che i Paesi hanno firmato durante gli anni Novanta. “All’epoca, credevano fosse fondamentale per attrarre gli investimenti”, dice Ghiotto. Convinzione ancora radicata, visto che tali clausole hanno poi iniziato a essere introdotte anche in contratti firmati direttamente con le imprese. A volte addirittura nelle leggi nazionali, come accaduto in Honduras e Salvador. “Quando poi i governi, per motivi politici interni, modificano le condizioni contrattuali degli investitori, allora questi attivano automaticamente questi meccanismi”, dice Ghiotto.

Dal 1996 sono state 380 le domande presentate in tutto il continente. Il report evidenzia un aumento continuo: se nella prima decade sono documentati solo 96 casi, tra il 2013 e il 2023 questi sono più che raddoppiati.  Il numero maggiore di azioni è stato intentato contro Argentina, Venezuela, Messico, Perù ed Ecuador, per un totale di 244. Tanto che dal 2008 quest’ultimo ha deciso di proibire qualunque forma di arbitrato internazionale nella propria costituzione.

L’aumento degli ultimi anni sarebbe legato alla fame di minerali e metalli rari necessari alle industrie più avanzate e alla transizione ecologica. Circa un quarto di tutti i casi è infatti strettamente connesso ai settori dell’estrazione dei combustibili fossili e delle miniere. “Quello che stiamo vedendo è una lenta crescita delle domande provenienti dal settore minerario -spiega Ghiotto- e questo è causato dalla quantità di nuove imprese e investimenti nelle Ande, in Sudamerica, e anche in America Centrale e in Messico a seguito della corsa per la ricerca di materie prime critiche”.

Emblematica in questo senso è l’azione legale intentata dall’impresa cinese Ganfeng international trading, la quale ha fatto causa al Messico dopo che aveva deciso di revocare la licenza per lo sfruttamento di un giacimento di litio nel Nord del Paese, secondo quanto riportato da Reuters.

Fino ad oggi, gli investitori hanno vinto nel 60% dei casi. Dal canto loro, i governi sono stati condannati a pagare circa 33,5 miliardi di dollari. “Ma bisogna tenere presente che nel sistema di arbitrato internazionale gli Stati perdono sempre, perché è comune che debbano sborsare milioni di dollari nella contrattazione di avvocati che possono richiedere fino a mille dollari all’ora di consulenza,” accusa il report di Tni, citando il caso del contenzioso tra l’impresa mineraria statunitense Freeport-McMoRan e il Perù. La compagnia accusava Lima di averla obbligata al pagamento di tasse e imposte di cui avrebbe dovuto essere esente. Gli arbitri hanno dato la ragione al Perù ma hanno stabilito che le parti dovessero pagare i costi processuali. Risultato: sette milioni di dollari in carico ai peruviani.

© Transnational Institute

Ad aver intentato la maggior parte delle cause sono i Paesi europei, protagonisti del 47% degli esposti. Ma nessuno può competere singolarmente con gli Stati Uniti, che in questi anni hanno fatto ricorso agli Isds in ben 124 occasioni.

Secondo Tni, il sistema è però iniquo anche per un’altra ragione. Gli Isds non vengono infatti decisi da veri e propri giudici, ma da una corte arbitrale composta da esperti abilitati composta da tre arbitri: uno nominato dall’impresa, uno dallo Stato sotto accusa e un presidente nominato di comune accordo tra le parti.

Nonostante nei vari giudizi dal 1996 siano intervenuti circa 295 arbitri, la maggior parte sono passati per le mani di un gruppo ristretto. Solo trenta avrebbero infatti preso parte a circa il 44% dei dibattimenti. L’istituto ha così realizzato una vera e propria mappatura degli avvocati e degli studi più attivi in quest’ambito. Lo studio più usato dalle imprese è il tedesco Freshfields Bruckhaus Deringer, seguito dagli americani King & Spalding.

A onor del vero, va detto che la maggior parte degli arbitri è solita rappresentare gli interessi delle imprese o quelli degli Stati. Ma c’è anche chi si è distinto per sedere in entrambi i banchi: è il caso di arbitri come Alexis Mourre o Eduardo Siqueiros.

Altreconomia ha contattato Freshfields, King & Spalding, Alexis Mourre ed Eduardo Siqueiros per avere un loro commento, senza ricevere alcuna risposta.

Nonostante la crescita esponenziale del ricorso agli Isds, Ghiotto sottolinea comunque che i governi hanno sempre una possibilità di riforma di questi trattati. Come è successo nell’Unione europea: a giugno del 2023, il Consiglio europeo ha deciso di abbandonare il Trattato sulla Carta dell’energia, che regolava la protezione degli investimenti, la risoluzioni delle dispute, il transito e il commercio nel settore energetico. Ma che è anche stato alla base di molteplici dispute fra gli stessi Paesi europei, tra cui quella per cui l’Italia è stata condannata a pagare 190 milioni di euro alla società britannica Rockhopper per non aver sfruttato il giacimento petrolifero “Ombrina mare” di fronte alle coste dell’Abruzzo.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2025 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati