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Diritti / Reportage

I giochi collettivi di Giocherenda per creare relazioni a Palermo

Il nome dell’associazione, fondata da un gruppo di giovani migranti africani, significa “gioia del fare insieme”. Usando materiali riciclati produce giochi collaborativi con cui costruire legami positivi. Anche nei contesti più difficili

Tratto da Altreconomia 244 — Gennaio 2022
Amadou Diallo nel negozio solidale dell’associazione nel quartiere della Kalsa a Palermo. Nella bottega si organizzano anche attività come incontri con le scuole e laboratori di cucito © Orsetta Bellani

Amadou Diallo vive in Sicilia da sei anni e si sente palermitano. “Nel 2019 sono andato in Guinea Konakry per un periodo e avevo nostalgia; per questo sono palermitano”, racconta. Il giovane è arrivato in Italia nel 2015 senza i suoi genitori, quando era ancora minorenne. Aveva chiaro che voleva imparare l’italiano e studiare ma non poteva immaginare che pochi anni dopo avrebbe fondato Giocherenda, un’associazione formata da giovani africani. Nel 2016 Amadou ha fatto amicizia con altri coetanei africani e conosciuto Clelia Bartoli, un’insegnante che ha promosso degli incontri tra i migranti e gli studenti dei licei di Palermo. “Questo percorso ha dato ai giovani migranti orgoglio e la consapevolezza di avere qualcosa da dare alla società che li ha accolti, la coscienza di non essere vittime ma persone che hanno conoscenze da condividere”, afferma Clelia Bartoli.

In quel periodo Amadou e gli altri studenti africani hanno iniziato a riflettere sulla società che li circonda. Si sono resi conto che in Italia molte persone sono infelici e che manca loro la giocherenda, parola pulaar -una lingua che si parla in molti Paesi dell’Africa occidentale- che significa “solidarietà e consapevolezza dell’interdipendenza” fra le persone, ma anche “gioia del fare insieme” e “forza che nasce dalla condivisione”. I giovani studenti hanno deciso di fare qualcosa per aiutare gli italiani a trovarla. “Essere cittadini non è solo avere documenti ma partecipare allo sviluppo della società”, spiega Amadou.

Un giorno, ragionando sull’assonanza del termine giocherenda con la parola giocare, hanno avuto un’idea: creare dei giochi con materiale riciclato per sviluppare la giocherenda in chi ne ha poca. Sarebbe stato il loro contributo alla società palermitana, il loro modo per dare indietro la solidarietà che avevano ricevuto. Il lavoro di Giocherenda è stato riconosciuto anche a livello internazionale: l’associazione è stata ricevuta dal Parlamento europeo e premiata dell’agenzia europea Erasmus.

“I membri di Giocherenda sono originari di Mali, Gambia, Guinea, Marocco, Camerun e Burkina Faso -dice al microfono in inglese Diawara Bandiougou durante la Migration summer school dell’Università di Palermo-. Oggi giocheremo con la ‘Ruota dei desideri’”. Diawara e Amadou si muovono tra un gruppo di studenti e l’altro spiegando l’attività: occorre scegliere collettivamente un “desiderio” e guidare le pedine fatte con i tappi di bottiglia all’interno di un tabellone di legno. Aiutandosi con dei biglietti disegnati a mano, bisogna coronare il proprio “desiderio” malgrado una serie di condizioni avverse iniziali.

Si potrà vincere solo trovando una soluzione collettiva: i giochi dell’associazione sono cooperativi e non competitivi. “Non si tratta di vincere o perdere, in ogni caso si ‘vince la relazione’ e si impara qualcosa, è come una conquista. Giocherenda vuole lavorare su questo tipo di solidarietà: mettere le persone insieme attraverso il gioco”, afferma Diawara.

Amadou Diallo e Diawara Bandiougou presentano il progetto di Giocherenda” agli studenti della Migration Summer School dell’Università di Palermo © Orsetta Bellani

“Questo gioco ti insegna a non mollare mai, a cercare sempre soluzioni per andare avanti, a considerare alcuni ostacoli come opportunità”, sottolinea Amadou. Il giovane guineano è rimasto particolarmente colpito dall’incontro che Giocherenda ha avuto con i ragazzi dello Zen, un quartiere della periferia di Palermo dove quasi l’80% dei giovani è disoccupato. “Lì i ragazzi vanno a scuola solo per lavorare e sopravvivere, sono convinti che non potranno raggiungere i loro obiettivi -afferma l’attivista-. Giocherenda sostiene che a partire da una situazione complicata ti puoi trasformare. Per incoraggiare i ragazzi dello Zen abbiamo condiviso la nostra esperienza: abbiamo raccontato che siamo partiti da zero e non avremmo mai pensato di arrivare fin qua ma non abbiamo smesso di credere di poter raggiungere i nostri sogni”.

Oggi il sogno dei promotori di Giocherenda è diventare un’impresa sociale per poter avere accesso a più fondi e dare lavoro anche ai loro coetanei palermitani. Ibrahim Ture prende appunti. Si concentra sullo schermo del computer e poi riassume quello che ha letto sulle pagine del suo quaderno. “Sto studiando come mettere un catetere”, dice il giovane gambiano. Non siamo in biblioteca ma nel negozio solidale che Giocherenda ha aperto nel 2019 nella Kalsa, un quartiere del centro storico di Palermo. Qui, mentre aspetta i clienti, Ibrahim Ture studia infermieristica circondato da stoffe e tessuti africani, cuciti dai ragazzi di Giocherenda e trasformati in borse, mascherine, gonne, camicie e sciarpe. E da scatole di giochi fatti artigianalmente e con materiale riciclato. “Abbiamo aperto il negozio grazie alla Fondazione con il Sud, è uno spazio per facilitare il rapporto tra noi e gli altri”, racconta lo studente gambiano. Nella bottega non solo vengono venduti i prodotti artigianali creati da Giocherenda ma si organizzano incontri con le scuole, laboratori di cucito e attività con persone che soffrono di depressione. “Vogliamo essere un farmaco per la società”, conclude Ibrahim.

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