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Esteri / Attualità

I civili in trappola nella guerra civile che dilania il Sudan

La città di Khartoum, capitale del Sudan, vista dall'alto © Christopher Michel, via Flickr

Amnesty International denuncia in un report i gravi crimini di guerra commessi dall’esercito sudanese e dalle Rapid support forces (Rsf). Tra aprile e agosto le vittime civili sono state almeno quattromila, più di quattro milioni i profughi. La capitale Khartoum e il Darfur sono le aree più colpite

Peter Kiano, 60 anni, stava facendo colazione in un piccolo ristorante nel suq di Khartoum, in Sudan, quando è stato ucciso. Un testimone ha raccontato ad Amnesty Internationale che “la zona era tranquilla. Poi alcuni miliziani delle Rapid support forces (Rsf) sono entrati nel ristorante e hanno iniziato a mangiare. Qualcuno deve aver avvisato l’esercito della loro presenza ed è arrivato poco dopo. Le Rsf hanno detto ai clienti di sdraiarsi sul pavimento ma Peter ha provato a scappare: era un uomo massiccio e si muoveva lentamente. Un miliziano gli ha urlato di fermarsi e gli ha sparato per tre volte. È morto sul colpo”.

Quella di Peter Kiano è solo una delle tante storie di violenze e abusi commessi dai militari sudanesi ai danni della popolazione civile raccolti nel reportDeath came to our home. War crimes and civilian suffering in Sudan” pubblicato da Amnesty International il 3 agosto. Il documento raccoglie testimonianze agghiaccianti come quella di Kodi Abbas, insegnante di 55 anni: “Mia moglie e i miei figli sono fuggiti di casa quando nel nostro quartiere sono scoppiati gli scontri tra l’esercito e le Rsf -ha raccontato l’uomo-. I miei due figli più piccoli, sei e otto anni, e quello di mio fratello, sette anni, non sono stati abbastanza veloci. Sono stati tutti uccisi”.

Dopo la rivoluzione del 2019 -che ha messo fine al regime ultraventennale del dittatore Omar al-Bashir- il Sudan è stato governato per due anni da un Consiglio di transizione deposto poi da un colpo di Stato nell’ottobre 2021 che ha riportato pienamente il potere nelle mani dei militari. Dal 15 aprile 2023 nel Paese si è scatenato un nuovo conflitto che vede contrapposte le Forze armate sudanesi (Saf) guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan e le Rapid support forces (Rsf) del generale Mohamed Hamdan Dagalo (detto Hemedti). Quest’ultimo è un potente gruppo paramilitare fondato nel 2013, in larga parte formato dagli ex Janjaweed, i “Diavoli a cavallo” che si sono resi responsabili di massacri e gravi violenze ai danni della popolazione del Darfur a partire dal 2004.

La lotta per il potere tra i militari sta avendo gravi conseguenze sulla popolazione civile: a inizio agosto i morti erano almeno quattromila e oltre quattro milioni di persone sono state costrette a fuggire dalla proprie case. Di questi, circa un milione ha trovato rifugio in altri Paesi (soprattutto Ciad ed Egitto) mentre i restanti 3,5 milioni sono rimasti in Sudan. In questo difficile contesto, Amnesty International ha raccolto le testimonianze di 181 persone (tra vittime dirette e testimoni) documentando attacchi deliberati ai danni dei civili -principalmente nella zona della capitale Khartoum e nel Darfur- da parte di entrambe le fazioni.

Le persone sono state uccise e ferite sia mentre cercavano riparo all’interno delle proprie case sia mentre si trovavano per strada alla ricerca di beni di prima necessità o per sfuggire ai combattimenti. Inoltre l’organizzazione denuncia come tanto l’esercito quanto le Rsf abbiano aperto il fuoco (anche con mitragliatori) o fatto ricorso ad armi esplosive in aree densamente popolate aumentando così il rischio di coinvolgere negli scontri gli abitanti delle città. Come se non bastasse, abitazioni private, strutture sanitarie e umanitarie sono soggette a frequenti saccheggi da parte degli uomini in divisa.

Nemmeno i luoghi di culto e gli ospedali sono stati risparmiati. La chiesa copta di Mar Girgis, a Khartoum, ad esempio, è stata depredata da uomini delle Rsf la sera del 13 maggio: “C’erano circa 12-15 miliziani a bordo di un pick-up, imbracciavano kalashnikov -ha raccontato un sopravvissuto-. Hanno preso d’assalto la chiesa e gli alloggi del vescovo e del clero. Gridavano e ci insultavano, chiedevano soldi e oro e volevano sapere dove fossero le ragazze che vivono nell’orfanotrofio del complesso. Fortunatamente sono riuscite a nascondersi e ora si trovano in un luogo sicuro”. Cinque persone sono rimaste ferite nell’attacco e i miliziani hanno rubato denaro e diversi oggetti preziosi.

Non sono state risparmiate nemmeno le strutture sanitarie: l’ospedale di Sharq al-Nil, uno dei più importanti di Khartoum, è stato prima occupato dai miliziani e in seguito bombardato per due volte dall’esercito regolare. Mentre quello di Al Nao –tra le poche strutture rimaste aperte a Omdurman, nel Nord-Ovest della capitale e l’unico in zona ad avere un pronto soccorso con capacità chirurgica- è costantemente minacciato dai combattimenti. “In quest’area gli scontri sono stati particolarmente intensi nelle ultime settimane, con attacchi aerei e bombardamenti che hanno causato morti e sofferenze devastanti -ha denunciato Medici senza frontiere (Msf), che collabora con lo staff della struttura dipendente dal ministero della Salute sudanese-. Centinaia di uomini, donne e bambini sono stati feriti e l’incessante violenza rende pericoloso e difficile per i pazienti raggiungere le poche strutture funzionanti. L’insicurezza colpisce anche il personale ospedaliero, con i medici costretti ai doppi turni quando è troppo pericoloso per i loro colleghi recarsi in ospedale”. In due settimane, dal 29 luglio all’11 agosto, il team di Msf all’ospedale di Al Nao, ha fornito cure traumatologiche d’emergenza a 808 pazienti, di cui 447 feriti da colpi d’arma da fuoco, schegge o vittime di accoltellamenti. Nello stesso periodo, l’ospedale ha trattato 787 pazienti ipertesi, diabetici, con infezioni respiratorie o malattie cardiovascolari.

Un campo di profughi sudanesi ad Adré, nell’Est del Ciad. A metà agosto 2023 ospita almeno 150mila persone in fuga © MSF

Particolarmente drammatica la situazione nel Darfur occidentale dove “sono state osservate violenze mirate” ai danni degli uomini e dei ragazzi appartenenti all’etnia non araba dei Masalit. Nei dintorni della capitale El Geneina le Nazioni Unite hanno denunciato la scoperta di una fossa comune dove erano sepolti i corpi di 87 persone appartenenti a questa comunità: i responsabili sarebbero i miliziani delle Rapid support forces e milizie locali loro alleate. Nel mese di aprile, inoltre, l’ospedale principale della città è stato distrutto, mentre il 28 maggio a Misterei, a Sud-Ovest di El Geneina, gli scontri tra le Rsf e i gruppi armati Masalit hanno portato all’uccisione di 58 persone in un solo giorno. 

Sono state inoltre documentate violenze sessuali ai danni dei donne in diverse zone del Paese. Crimini di guerra come stupri, rapimenti e schiavitù sessuale sono avvenuti indifferentemente nelle case o per strada, senza risparmiare ragazze molto giovani, anche sotto i tredici anni. Oltre all’impossibilità di stimare il numero esatto di vittime, le organizzazioni della società civile denunciano le difficoltà di fornire supporto psicologico e medico adeguato.

Il report si conclude con un appello a porre fine ai crimini di guerra contro la popolazione e a facilitare l’ingresso di organizzazioni umanitarie nel Paese, oltre che a garantire vie di fuga ai civili. Amnesty International sollecita le Nazioni Unite a estendere a tutto il Sudan l’embargo sulle armi attualmente vigente in Darfur e a mettere in atto un effettivo meccanismo di monitoraggio internazionale per prevenire eventuali violazioni. Inoltre chiede di fornire ulteriori risorse alla Corte penale internazionale inserendo sotto la sua giurisdizione tutti i crimini commessi durante il conflitto in corso nel Paese.

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