"Quando ero piccola, i contras irruppero nel villaggio. Mi presero insieme a un altro bambino. Ci cosparsero di benzina. Piangevamo, ma non serviva. Volevano nomi. Urlavano che ci avrebbero dato fuoco se i nostri genitori non avessero parlato, se non avessero denunciato i contadini che aiutavano i sandinisti. Nessuno parlò. E noi restammo lì, in piedi, immobili, aspettando che il fuoco cominciasse”.
Angela Zelaya racconta senza vacillare. Le sue parole sono come una lama che resta incisa nella memoria. Non c’è traccia di emozione nella sua voce, solo il ricordo di un tempo in cui ogni cosa, la terra, la vita, la dignità, erano ostaggio della paura.
Il Nicaragua degli anni Ottanta era un Paese in guerra con sé stesso. Da un lato, i sandinisti, che avevano rovesciato la dittatura di Somoza promettendo giustizia sociale e riforme. Dall’altro, i contras, un esercito finanziato e armato dagli Stati Uniti per sabotare ogni tentativo di cambiamento economico e sociale.
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