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Esteri / Intervista

Giorgio Fornoni. “Come ho visto la Russia diventare uno Stato canaglia”

Giorgio Fornoni in Cecenia nel 2000

Il giornalista ha esplorato i luoghi più impervi e pericolosi della Terra, a partire dall’ex Unione sovietica, patria di gulag e scorie nucleari, di scrittori e oppositori uccisi, ma anche di straordinari difensori dei diritti e oggi terreno incontrastato di Vladimir Putin. I suoi appunti di viaggio raccolti in “Putinstan” mostrano come si è arrivati a oggi

Voleva fare il missionario ed è finito a fare il giornalista. Ma come i missionari, ha esplorato i luoghi più impervi e pericolosi della terra, a partire dall’ex Unione sovietica, patria di gulag e scorie nucleari, di giornalisti e oppositori assassinati, ma anche di straordinari difensori dei diritti umani e oggi terreno incontrastato di Vladimir Putin. Lui è Giorgio Fornoni e il suo primo libro autobiografico si intitola proprio “Putinstan. Come la Russia è diventata uno Stato canaglia” (edizioni Chiarelettere, 300 pagine, 19,5 euro).

Sono gli appunti di viaggio di un grande inviato, raccolti per decenni e risistemati in ordine cronologico, ma anche tematico, con un utilissimo indice dei nomi, a ribadire il valore di testimonianza e documento storico di questo lavoro. Più di tanti libri, infatti, gli appunti di viaggio spiegano come si è arrivati a oggi: all’invasione dell’Ucraina, ma anche alla recente uccisione di Alexei Navalny e alla scontata e prossima vittoria di Putin delle elezioni presidenziali russe.

A scoprire Fornoni è stata la giornalista Milena Gabanelli, che firma anche la prefazione del libro. Fu lei a fiutare la “miniera” di notizie e documenti che il reporter bergamasco aveva raccolto in giro per il mondo, in solitaria, spesso proprio a seguito dei missionari, e soprattutto, quelle che avrebbe ancora potuto raccogliere. Dal 1999 lo fece inviato della sua trasmissione, Report, affidandogli le inchieste internazionali forse più delicate e pericolose. “Sapevo quando partiva -scrive la Gabanelli- dove andava, ma non quante volte ci ritornava… Finché tutte le domande non trovavano una risposta”.

Il libro si apre proprio con la prima inchiesta fatta per Report, la “Pattumiera nucleare”, nata nel momento in cui si era aperta la possibilità di portare in Russia, in una cosiddetta “città chiusa”, le scorie radioattive italiane. “Da quell’inchiesta partirono i miei lunghi viaggi durati fino ad oggi -dice Fornoni-. Una ricerca del passato e del presente del mondo ex sovietico, che mi ha portato a indagare tra gli orrori e le testimonianze dei gulag siberiani, tra le rovine di Grozny e i campi profughi della Cecenia, i depositi di armi chimiche e biologiche delle città segrete degli Urali e in Siberia, e le mille vie del gas che alimentano il potere sotterraneo della nuova Russia”.

A sinistra il giornalista Giorgio Fornoni

Fornoni va a caccia di scorie radioattive, tra sottomarini da smantellare e città che non appaiono nemmeno sulle mappe; entra nel Paese più contaminato del Pianeta, dove la natura muore, così come gli uomini di cui a nessuno sembra importare.

“Alla stampa, il regime ha messo un totale bavaglio l’alternativa è con Putin o in prigione. Le poche testate libere hanno dovuto chiudere o trasferirsi all’estero” – Giorgio Fornoni

Ma il libro non è fatto solo di inchieste e viaggi pericolosi: con la stessa abilità e attraverso una fitta rete di contatti, l’autore raggiunge anche posti dal grande valore storico e culturale, come i gulag, i campi di lavoro di cui restano solo croci di legno nella steppa, a ricordare milioni di vittime, spesso anonime, che hanno perso la vita per la follia umana, uccise dal freddo, dalla fame e dallo sfinimento.

Fornoni si muove nel tempo, ma anche nello spazio, letteralmente fino ai confini del mondo, tra cacciatori di balene e tribù delle renne. Sale a bordo della mitica Transiberiana, la linea ferroviaria che ai tempi degli zar collegava Mosca a Vladivostok, attraversando la Russia “tra le isbe coperte di neve e i loro camini fumanti, nella taiga più desolata della Siberia, in un paesaggio che ricordava l’epopea di Dercu Usala”.

© Giorgio Fornoni

Non c’è l’Ucraina in “Putinstan”, ma la Cecenia, e appare solo di sfuggita Navalny, eppure bastano poche parole per delinearne il futuro. Fornoni lo incontra nel 2012, durante una manifestazione pre-elettorale, dove migliaia di persone sfilavano per le strade di Mosca. Navalny era sul palco, insieme a dissidenti e politici “che scuotevano le coscienze”, affinché Putin non si ricandidasse. Di fronte a quella grande manifestazione, il reporter resta sorpreso, chiedendosi come fosse possibile a Mosca riuscire a protestare. “Questa libertà -scrive- mi era finora sconosciuta”.

“Anna Politkovskaja? Una delle voci più coraggiose che hanno osato criticare la politica di Putin. Denunciava allo stesso modo i soprusi dei militari russi e le violenze dei guerriglieri ceceni” – Giorgio Fornoni

Il tema della libertà di pensiero ed espressione attraversa tutto il libro e il lavoro di Fornoni: “Alla stampa, il regime ha messo un totale bavaglio -dice- l’alternativa è con Putin o in prigione. Le poche testate libere hanno dovuto chiudere o trasferirsi all’estero”.
Prima che anche la più autorevole di queste, la Novaja Gazeta, lo facesse, Fornoni l’ha frequentata, incontrando e raccontando alcuni dei suoi giornalisti più famosi e coraggiosi, a partire da Anna Politkovskaja. È sua l’intervista alla giornalista russa negli archivi Rai.

A proposito di armi di distruzione di massa © Giorgio Fornoni

“Era una delle voci più coraggiose che hanno osato criticare la politica di Putin -dice-. Denunciava allo stesso modo i soprusi dei militari russi e le violenze dei guerriglieri ceceni, attenta soprattutto a difendere la supremazia dell’etica e del rispetto per la vita. Essere giornalisti di prima linea in Russia vuole dire dover affrontare due prime linee: quella della guerra e quella del sicario, che ti aspetta nell’ascensore del tuo palazzo”. Proprio come avvenne alla Politkovskaja, uccisa da tre colpi di pistola nell’androne di casa. I killer sono stati arrestati, ricorda Fornoni, ma dei mandanti non si sa ancora nulla.

In un’intervista, il reporter italiano le chiede se qualche volta abbia paura, paura del Cremlino, se non ha mai pensato di essere più prudente in quello che scrive e che denuncia. “Certo che ho paura -gli risponde la Politkovskaja- ma questa è la mia professione. Avere paura è una cosa personale. Ciò che conta è dar voce alla gente, raccontare questa grande tragedia del nostro Paese”.

“Putinstan. Come la Russia è diventata uno stato canaglia”, Giorgio Fornoni, Chiarelettere

A non avere paura, spesso, è stato anche Fornoni e non solo in Russia. Nel libro racconta con un tono leggero e quasi divertito di quella volta in cui è stato scambiato per una spia dai servizi russi o di come, nonostante glielo avessero fatto cancellare, sia riuscito a salvare le immagini proibite. A raccontarlo è anche la Gabanelli, allora forse più preoccupata che divertita.

Fornoni parla espressamente anche di Putin e della sua ricchezza personale che già all’inizio degli anni Duemila poteva contare su un patrimonio di 100 miliardi di dollari, “una cifra che lo rendeva l’uomo più ricco del mondo -scrive- me lo rivelò un insider del Cremlino”. Ed è il gas, una delle maggiori risorse naturali della Russia, ad aver alimentato enormi ricchezze e orientato la stessa politica nazionale.

Alle “vie del gas” Fornoni dedica diversi viaggi e inchieste: dal giacimento più grande del mondo, fino alla sede della Gazprom, “con la sua politica tesa a monopolizzare le reti di distribuzione, chiudendo in una morsa di ricatto economico l’Europa”. Fino alle relazioni e agli intrecci con le compagnie e la politica italiana. Ma dietro ogni inchiesta, i numeri e le denunce, c’è sempre una nutrita umanità e una grande attenzione al tema dei diritti umani.

© Giorgio Fornoni

Fornoni traccia un ritratto corale della Russia, che ricorda certi passi della sua grande letteratura: sopravvissuti che sembrano riemergere dal sottosuolo; contadini e anziani rimasti soli a presidiare terreni radioattivi e devastati; attivisti che sanno di lottare contro una forza pressoché imbattibile e mortale, ma che scelgono di farlo comunque. È un’umanità potente e tragica, che Fornoni incontra e cerca, per capire la realtà, ma anche per non smettere di sperare.

È forte in lui, da sempre, l’attenzione ai diritti umani e al tentativo sistematico di spegnerli, in Russia, come in altri luoghi. Anche per questo le persone a cui più si lega, nel libro e nella vita, sono grandi uomini come Andrej Mironov, attivista e oppositore, tra i fondatori di Memorial, associazione Nobel per la pace 2022. E Grigory Pomerants, eroe della dissidenza sovietica e grande intellettuale sopravvissuto agli orrori siberiani. Ai due amici Fornoni dedica alcune delle pagine più belle. “Vedi Giorgio -gli dice Pomerants- l’uomo medio vive nel suo mondo ordinato, attribuisce il male a qualche fattore che non lo riguarda. Bisogna far vedere il vero volto, il volto disgustoso del male, perché la gente lo rigetti”.

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