Diritti / Approfondimento
Gaza e la “Cartografia del genocidio”. La distruzione vista da satellite

Il monitoraggio dall’alto e i riscontri sul campo a cura del Forensic Architecture mostrano come le tattiche dell’esercito di Tel Aviv mirino al crescente controllo fisico e strategico della Striscia. Con conseguenze umanitarie catastrofiche
“La campagna militare israeliana a Gaza è organizzata, sistematica e intesa a distruggere le condizioni di vita e le infrastrutture essenziali per la sopravvivenza. Lo chiamiamo genocidio perché è un genocidio”. Con queste parole Francesca Albanese, Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, ha commentato i risultati della ricerca “A spatial analysis of the Israeli military’s conduct in Gaza since october 2023”, pubblicata a fine ottobre 2024 dal Forensic Architecture.
La piattaforma è composta da un team multidisciplinare di esperti in architettura, software, documentaristica, giornalismo, scienze e diritto con sede presso la Goldsmiths University of London. Il report di 827 pagine, accompagnato dalla mappa interattiva “Cartografia del genocidio”, documenta migliaia di episodi di violenza da parte di Israele. Dalla documentazione emerge come le azioni militari, incluso l’uso strumentale di misure umanitarie come ordini di evacuazione e “zone sicure” per spostamenti ripetuti della popolazione, siano concepite in modo interconnesso.
Lo studio spiega che “atti sequenziali o simultanei di distruzione o spostamento possono generare un effetto cumulativo, in cui ogni azione amplifica l’impatto delle altre”. “Sono le evidenze che abbiamo analizzato negli ultimi 13 mesi sulla condotta militare di Israele, che ci hanno permesso di individuare uno schema sistematico volto alla distruzione delle condizioni di vita della popolazione palestinese”, racconta Davide Piscitelli, ricercatore presso Forensic Architecture che ha seguito il lavoro di ricerca su Gaza insieme ai colleghi Nur Abouzaid e Omar Ferbati.
“Si è fatto strada il bisogno di un lavoro interdisciplinare tra il giornalismo, l’accademia, l’attivismo e il mondo della cooperazione” – Jamon Van den Hoek
Piscitelli racconta come l’attività di ricerca tramite satellite, sempre accompagnata da riscontri sul campo attraverso le testimonianze, abbia definito un quadro che mirava al crescente controllo fisico e strategico della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano, agito con ogni mezzo. I 300 attacchi registrati su operatori umanitari, camion e punti di distribuzione degli aiuti, uniti alla distruzione del 74% dei terreni agricoli e del 45% delle serre (i dati combaciano con quelli del centro satellitare delle Nazioni Unite) suggeriscono che ci sia un progetto di carestia pianificata da parte dell’Israel defence forces (Idf). “La distruzione dei terreni agricoli e delle risorse d’acqua come la targhettizzazione di ospedali e punti di raccolta, preparazione e distribuzione del cibo -riprende Piscitelli- fanno emergere come Israele abbia voluto stabilire un controllo totale su tutto quello che entra e esce dai territori palestinesi, mostrando la violenza non solo dei singoli attacchi ma del disegno che vi è sotteso”.
Secondo la Fao al primo settembre gli ettari distrutti erano 10.183, quasi il 70% del totale coltivato. Sono stati rasi al suolo il 71,2% dei frutteti, il 67,1% dei seminativi e il 58,5% delle orticole
La ricerca ha potuto tracciare un uso costante dell’evacuazione forzata come mezzo per seminare terrore e confusione tra i civili e una distruzione cumulativa delle reti stradali che mostrano l’avanzamento quotidiano dell’invasione terrestre da parte di Israele. D’altronde con l’intensificarsi e il protrarsi delle azioni militari da parte dell’esercito israeliano a Gaza, è diventato fondamentale monitorare la situazione dei territori con mezzi esterni che affianchino il lavoro delle poche giornaliste e giornalisti rimasti sul campo.
Già a luglio il numero di persone sfollate aveva raggiunto 1,7 milioni e gli edifici danneggiati o distrutti erano 8.500 solo nella zona di Rafah
A Rafah, nel Sud della Striscia, molte persone costrette a fuggire dalle proprie case si sono rivolte a ricercatori che documentano in modalità remota l’aggressione di Israele per conoscere le sorti dei loro quartieri. È il caso di Bellingcat, un collettivo indipendente di giornalisti investigativi. Ollie Ballinger, docente di Geocomputazione presso l’University college di Londra e membro del collettivo ha sviluppato un programma di monitoraggio satellitare open source impiegato già in altri conflitti o in zone di devastazione ambientale.
Sono 300 gli attacchi dell’esercito israeliano registrati su operatori umanitari, camion e punti di distribuzione degli aiuti
Utilizzando i dati del Decentralize damage mapping group del satellite Sentinel-1, Bellingcat ha rilevato che già a luglio il numero di persone sfollate aveva raggiunto 1,7 milioni e gli edifici danneggiati o distrutti erano 8.500 solo nella zona di Rafah. A confermare i risultati, ci sono le statistiche dell’OpenStreetMap building, un’analisi multi-data per il tracciamento partecipativo dei danni urbani durante i conflitti armati, che ha permesso di verificare che a Gaza circa il 60% delle case è stata distrutta o danneggiata. I suoi sviluppatori sono Corey Scher del Cuny graduate center e Jamon Van den Hoek dell’Oregon state university: il loro monitoraggio rappresenta il culmine di anni di ricerca e ha delineato una situazione drammatica anche solo dal punto di vista della condizione abitativa, tanto da essere descritta come “domicidio” da Balakrishnan Rajagopal, relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto a un alloggio adeguato.
“Gli algoritmi che abbiamo programmato ci hanno permesso di registrare i segni dei danni agli edifici su periodi lunghi e vaste aree”, racconta Scher che insieme a Van Den Hoek lavora su diversi progetti a Gaza da anni, il più datato dei quali risale all’invasione di Rafah del 2014. Grazie all’utilizzo della tecnologia radar è possibile oggi mappare le aree danneggiate con una precisione sempre maggiore. “C’è un’enorme esigenza di informazioni su Gaza”, afferma Van de Hoek, evidenziando come questo abbia portato giornalisti e operatori umanitari a utilizzare risorse alternative per l’acquisizione di dati: “Si è fatto strada il bisogno di un lavoro interdisciplinare tra il giornalismo, l’accademia, l’attivismo e il mondo della cooperazione”.
L’impossibilità di agire sul campo è un problema, ormai noto, che riguarda sia le organizzazioni umanitarie, la cui presenza sul territorio è sempre più ostacolata, come dimostra la recente decisione del Parlamento israeliano di limitare drasticamente sia l’attività dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino Oriente (Unrwa), sia la stampa straniera e locale, come ha rivelato anche l’incursione armata dell’Idf avvenuta a settembre nella sede di Al Jazeera a Ramallah, con l’ordine di fermare la programmazione per 45 giorni.
Per cercare di contrastare queste gravi mancanze, Forensic Architecture ha reso disponibile la mappa interattiva e il rapporto per alcune cause legali, tra cui quella intentata dal Sudafrica contro il governo israeliano presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aia affinché venga applicata la Convenzione sul crimine di genocidio nella Striscia di Gaza.
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