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Diritti / Approfondimento

Frontex assolta per il rimpatrio illegale di una famiglia siriana. Il Tribunale Ue “salva” l’Agenzia

Agenti di Frontex durante un'operazione di rimpatrio - Frontex

La Corte di giustizia ha respinto il ricorso di una famiglia rimpatriata dalla Grecia verso la Turchia in un’operazione congiunta delle autorità greche con l’Agenzia che, secondo i giudici, non ha il dovere di entrare nel merito della decisione di uno Stato membro di negare la protezione a una persona. Un precedente problematico

Un rifugiato siriano ha perso una storica causa contro Frontex sorta dopo che lui, sua moglie e i quattro figli erano stati illegittimamente rimpatriati dalla Grecia verso la Turchia in un’operazione gestita dall’Agenzia che sorveglia le frontiere europee. La Corte di giustizia dell’Ue mercoledì 6 settembre ha stabilito che le “divise blu” non hanno alcuna responsabilità nel “valutare la fondatezza delle decisioni di rimpatrio né le domande di protezione internazionale”. In altri termini: la colpa ricade interamente sulle autorità greche.

“Una sentenza che sembra ignorare la responsabilità condivisa tra Stati membri e organi dell’Ue -scrive Steve Peers, professore alla School of Law dell’Università dell’Essex, Londra-. È irrilevante che Frontex non decida formalmente sui rimpatri o sulle richieste d’asilo: il punto è se abbia violato o meno i suoi obblighi di non assistere a una violazione dei diritti umani”. Una sentenza attualissima. A metà maggio 2023 l’Agenzia ha messo a bando infatti un servizio di traghetti per riportare i rifugiati in Turchia, lo potrà quindi fare senza preoccuparsi di eventuali lesioni dei diritti di chi verrà rimpatriato.

Il caso è stato promosso, come detto, da una famiglia siriana arrivata sull’isola greca di Milos il 9 ottobre 2016 insieme a un gruppo di 114 rifugiati. Trasferiti al Centro di accoglienza e identificazione di Leros, i ricorrenti hanno dichiarato di voler chiedere protezione internazionale, compilando l’apposito modulo. Ma appena quattro giorni dopo sono stati rimpatriati in un’operazione effettuata congiuntamente da Frontex con le autorità greche, nel Sud-Est della Turchia e trasferiti in un centro di accoglienza temporanea. Da lì, per paura di essere rimandati in Siria non hanno rispettato le direttive delle autorità turche -presentarsi all’ufficio immigrazione per regolarizzare la propria posizione-, hanno contattato un trafficante e raggiunto Erbil, in Iraq, dove risiedono da allora. 

Considerata la nazionalità delle persone coinvolte e la situazione in Siria all’epoca dei fatti, l’avvocata Lisa-Marie Komp, dopo aver tentato invano di chiedere l’intervento sul caso del Responsabile per i diritti umani dell’Agenzia, ha deciso di ricorrere di fronte al Tribunale dell’Ue per diverse violazioni di legge. Dal principio di non respingimento alla violazione del diritto d’asilo, dei diritti dei minori e del divieto di trattamenti degradanti: tutti principi che Frontex avrebbe violato non fermando quell’operazione di rimpatrio.

“L’Agenzia cerca di scaricare le responsabilità sulle autorità greca ma il suo mandato stabilisce chiaramente che è tenuta a monitorare il rispetto dei diritti fondamentali durante queste operazioni”, aveva spiegato l’avvocata ad Altreconomia nell’aprile 2023. La richiesta di Komp era un risarcimento pari a quasi 150mila euro per il danno materiale relativo alle spese di alloggio, elettricità, rette scolastiche e di soggiorno sostenute dalla famiglia in Iraq e Turchia e il danno morale legato all’angoscia provata per il rimpatrio subito.

Le persone rimpatriate dagli Stati membri dell’Ue con il supporto dell’Agenzia Frontex nel biennio 2021-2022

Missione compiuta, quindi, per gli avvocati di Frontex che nel 2022 ha collaborato con gli Stati membri per il rimpatrio di quasi 25mila persone, un dato in crescita rispetto al 2021. I giudici infatti hanno stabilito che l’Agenzia ha soltanto “il compito di fornire sostegno tecnico e operativo agli Stati membri che restano competenti nel valutare la fondatezza delle decisioni di rimpatrio”. Ma per Melanie Fink, assistant professor al Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Leiden, che ha presentato un parere scritto sul caso in oggetto proprio al Tribunale Ue, non è così. “Sebbene Frontex non sia competente a modificare o annullare la decisione originaria di rimpatrio o a impartire ordini vincolanti al personale degli Stati membri, esiste un’ampia gamma di altre misure a sua disposizione e idonee a proteggere le persone in tali circostanze”, scrive Fink. Tra queste anche la possibilità di interrompere la violazione se vi è il rischio di violazioni dei diritti umani. “La sentenza di oggi mi incoraggia a continuare la nuova strada che Frontex ha intrapreso. Ci impegniamo a promuovere il rispetto dei diritti fondamentali in tutte le nostre attività”, ha commentato invece il direttore esecutivo Hans Leijtens.

Ma per diversi esperti questa sentenza è uno spartiacque che rischia di avere conseguenze negative. Non solo, ovviamente, per la famiglia siriana. Lo ricostruisce nel dettaglio nuovamente la docente Fink per cui l’obbligo di monitoraggio di Frontex ha come obiettivo proprio il prevenire le condotte illegali degli Stati membri. “Non si può pensare che le violazioni di questi obblighi di controllo siano esenti da responsabilità solo perché anche qualcun altro ha agito in modo illecito -si legge nel parere-. Se così fosse, visto che l’Agenzia ha un ruolo di coordinamento, questo escluderebbe a priori qualsiasi prospettiva di responsabilità in capo a Frontex”. Inoltre, la ricercatrice sottolinea come se le “colpe” delle autorità greche assolvono tutte quelle dei membri dell’Agenzia si crea un cortocircuito perché i ricorrenti non avrebbero possibilità di chiedere conto in alcun modo delle responsabilità delle divise blu. “Possono rivolgersi ai tribunali nazionali che si pronunceranno però solo sugli illeciti dello Stato membro ma non sulle specifiche mancanze di Frontex”. Ed è questo il punto. Senza meccanismi adeguati di denuncia e senza possibilità di “stabilire” i contorni di legittimità delle sue azioni, l’Agenzia resta “libera” di agire senza paura di essere ritenuta in alcun modo responsabile.

“Che senso ha aggiungere queste disposizioni (cioè gli obblighi in materia di rispetto dei diritti umani, ndr) al regolamento se poi l’Agenzia può ignorarle e partecipare impunemente alle violazioni dei diritti umani? -scrive nuovamente il professor Peers-. Con tutto il rispetto, questo è un fallimento del ragionamento giudiziario e del coraggio di agire per ragioni morali paragonabile a Korematsu contro gli Stati Uniti”. Il 18 dicembre 1944 la Corte suprema degli Stati Uniti dichiarò legittimo, con una sentenza passata tragicamente alla storia, l’internamento di circa 110mila giapponesi-americani che vivevano lungo la costa del Pacifico degli Stati Uniti in seguito all’attacco giapponese a Pearl Harbor. La famiglia siriana, ora, potrà ancora ricorrere alla Corte europea dei diritti umani. Nel frattempo, per Frontex, i limiti di azione continuano a essere pressoché invisibili.

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