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Diritti / Opinioni

Fermare l’assalto al Servizio sanitario nazionale

© Piron Guillaume, unsplash

Equità d’accesso, finanziamento pubblico e gratuità sono i principi da riaffermare per garantire a tutti il diritto alla salute. La rubrica di Nicoletta Dentico

Tratto da Altreconomia 263 — Ottobre 2023

Si celebra quest’anno il quarantacinquesimo anniversario della legge 883/78 che ha istituito il Servizio sanitario nazionale (Ssn). Una legge decisiva per lo sviluppo socioeconomico del nostro Paese, con cui il Parlamento -seppur con ritardo- ha dato piena attuazione all’articolo 32 della Costituzione sul diritto alla salute, il solo svincolato dallo status di cittadinanza. È una buona notizia che finalmente il Partito democratico (Pd) si sia svegliato e abbia riscoperto la sanità pubblica come priorità della politica italiana. Meglio tardi che mai.

Dopo la pandemia da Covid-19, appare sempre più evidente come la complessità relativa ai determinanti della salute (sociali, commerciali, ambientali, legali) collida fragorosamente con la medicalizzazione così cara alle lobby del farmaco, la riduzione del diritto a mere prestazioni sanitarie e al soluzionismo tecnologico. A discapito di una strategia di prevenzione a tutto campo che richiede diversità di competenze e molteplicità di approcci, non solo in ambito sanitario. Una visione olistica, insomma, che è l’opposto della rigidità medica dei protocolli e dei criteri di sostenibilità finanziaria che hanno strangolato l’accesso alla salute in Italia. Basti ricordare i 37 miliardi di euro di tagli e 39mila operatori sanitari perduti dal 2010 ad oggi.

Occorre segnalare al Pd che questo è anche il tempo di aggiornare una consegna intergenerazionale alle future leve della sanità pubblica interessate alla sua salvaguardia. Si tratta di riconvertire la formazione universitaria, quella di specializzandi e dottorandi, oggi scientemente plasmati alla medicalizzazione della salute. È indispensabile la costruzione di una sponda operativa di senso per i nuovi dirigenti sanitari costretti a muoversi oggi negli interstizi sempre più ristretti della sanità pubblica che delega ai privati la determinazione della tipologia di prestazione da erogare, e il relativo utilizzo dei budget.

La “privatocrazia” è la vera cancrena del Servizio sanitario nazionale. La presenza del privato in sanità interessa un’infinita molteplicità di aspetti (non solo in Italia) man mano che si assiste a una contrazione e riconfigurazione del ruolo dello Stato in ambiti di produzione di beni e servizi, ricerca, regolamentazione e formazione. Una percolazione culturale micidiale e inarrestabile. Un assalto e poi un assedio che annovera gigantesche responsabilità del centrosinistra.

Gli iscritti agli oltre 300 fondi sanitari di welfare aziendale sono circa dieci milioni. I contributi versati da persone fisiche ammontano a oltre 11 miliardi di euro, con un onere di deduzioni per la fiscalità generale di 3,5 miliardi.

Nel segno della più freudiana rimozione del conflitto d’interessi, l’aggiornamento del personale sanitario sta in capo ad attori privati sia in ambito farmaceutico sia per quanto riguarda le competenze gestionali e finanziarie delle aziende sanitarie. Il blocco del turnover è stato sospeso per effetto della pandemia, eppure non si fanno assunzioni. Occorre cancellarlo al più presto.

Il Covid-19 ha poi aggravato la situazione producendo la deriva dei “gettonisti”, costosa e del tutto disfunzionale. Una metastasi da impugnare normativamente in nome della sicurezza dei pazienti. Per non parlare dell’intramoenia introdotta dal governo Amato nel 1992, una non più tollerabile atipicità del sistema sanitario che ha effetti distorsivi sull’attività ambulatoriale e diagnostica.

Un’altra questione da mettere criticamente a tema è il welfare aziendale (l’insieme di beni e servizi che sostituiscono gli incrementi salariali) con i suoi effetti distorsivi sulla sanità pubblica in quanto a essa sostitutivo. Per invertire la rotta, fanno da fondamentale bussola i principi del vecchio Servizio sanitario nazionale: universalità, gratuità, equità d’accesso, uniformità territoriale, finanziamento pubblico, partecipazione democratica. Altro che autonomia differenziata!

Nicoletta Dentico è giornalista ed esperta di diritto alla salute. Già direttrice di Medici senza frontiere, dirige il programma di salute globale di Society for International Development

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