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Cultura e scienza / Intervista

Laura Pescatori. La mappa delle donne rock

La voce di Radio Onda d’Urto ha raccolto 40 anni di produzione musicale femminile intervistando 44 artiste contemporanee. Un modo per riprendersi uno spazio negato

Tratto da Altreconomia 230 — Ottobre 2020
© Laura Pescatori

In Italia le donne del rock sono tante. Anzi, tantissime. Preparate, professioniste, d’avanguardia. Camaleontiche e in grado di sperimentare generi diversi. Da sole o in gruppo. Eppure sono poco conosciute, non sono scelte come giudici nei concorsi musicali e non trovano spazio nei festival, spesso nemmeno in quelli underground. Per rimediare alla situazione, e offrire un approfondito panorama di chi sono le musiciste italiane e cosa fanno, è arrivato “Femita. Femmine rock dello stivale” (Edizioni Underground?) scritto da Laura Pescatori, voce di Radio Onda d’Urto dove conduce “Rebel Girl”, programma musicale al femminile, e “Navdanya”, appuntamento dedicato all’ambiente. Uno scenario, quello delle donne che allacciano gli anfibi, che l’autrice conosce bene e da tempo, già affrontato nel testo “Riot not Quiet-365 giorni di Rock al Femminile”, pubblicato nel 2018 per Chinaski Edizioni (vedi Ae 209). Nel suo nuovo libro, uscito lo scorso settembre, Pescatori presenta 44 interviste ad artiste contemporanee che spaziano dal rock puro al folk, al cantautorato fino al jazz e allo ska. Una mappatura di voci che vuole incuriosire, spingere ad analizzare, approfondire e ascoltare. Per ognuna di loro, infatti, l’autrice propone una discografia da mettere nelle cuffie. Ma soprattutto un testo che ha l’obiettivo di fare conoscere a un pubblico più ampio le “nostre musiciste recuperando una visibilità che non c’è”, commenta Pescatori, e che non è paragonabile a quella che ricevono i colleghi. “Basta vedere i cartelloni degli eventi o le composizioni delle giurie, dove le donne o sono poche o non ci sono affatto. E non perché non esistono artiste preparate, che sono invece molte. Ma perché si pensa ancora oggi che il rock non è cosa per loro e che non sono in grado di interpretarlo. E spesso non va meglio nemmeno nell’altro caso, quando sono ritenute capaci di farlo magari perché sono brave ‘come un uomo’. Il talento di una donna è valutato mettendolo a confronto con quello di un altro. ‘Femita’ è un gesto per occupare uno spazio che viene quotidianamente meno”.

Perché si fa ancora fatica ad accettare una donna come rockstar?
LP
Si considera il rock come un genere da uomini e questo è il risultato della cultura maschilista e degli stereotipi che permeano la nostra società. Pensiamo ai luoghi comuni riferiti al cantautorato, prevalentemente riconosciuto come barba e chitarra. Se la si cerca, la parola cantautrice nemmeno esce. È la misura di quanto il maschile sia radicato nella musica. Si capisce in maniera evidente anche quando si assiste a un concerto e si osserva la reazione del pubblico davanti a un’artista oppure davanti a una formazione prettamente femminile. Quando una donna sale sul palco, si tende a dare più importanza alla sua estetica: come è vestita, come si definisce la sua bellezza. Non come canta e se lo fa bene. Il suo corpo è continuamente visto come un oggetto erotico.

“Il talento di una donna è valutato mettendolo a confronto con quello di un altro. ‘Femita’ è un gesto per occupare uno spazio che viene quotidianamente meno”

Nel suo libro presenta una panoramica degli ultimi quarant’anni di produzione musicale femminile. Si inizia dagli anni Novanta, quando appaiono le prime formazioni. Che cosa succede in quel periodo?
LP
Possiamo partire facendo un parallelismo con gli Stati Uniti, dove nasce il movimento delle “Riot Grrrl” che mette in musica questioni come la denuncia del sessismo, delle violenze di genere, dell’omofobia e del patriarcato. Dietro quest’onda, che in America ha portato a un vero proliferare di gruppi musicali, anche in Italia iniziano a nascere le prime formazioni di band composte da sole musiciste, in particolare in Emilia Romagna. A Bologna cominciano a farsi conoscere le Mumble Rumble, formazione alternative rock, e le Tremende, la prima ska-band italiana. Ma se guardiamo indietro, già negli anni Ottanta c’erano i presupposti di quanto sarebbe venuto dopo. Penso a Jo Squillo e le sue Kandeggina Gang, le Anti Genesi e le Clito, punk band milanese, che a loro modo hanno avuto una matrice femminista.

E oggi com’è lo stato dell’arte?
LP
Variegato e in movimento. C’è un’esplosione di musica suonata a scritta da donne, in particolare cantautrici. Sono artiste in grado di fare rete insieme ad altre musiciste e di unirsi per creare progetti originali. Una sorellanza che non si trova solo nella musica suonata ma anche in quella delle Dj. Il punto è che non si dà loro spazio. Compaiono poco nelle lineup dei festival e dei principali appuntamenti musicali. Non sono presenti nelle giurie. E non stiamo parlando solo del contesto più mainstream ma anche di quello di nicchia. È uno dei principali problemi da risolvere.

Cosa si potrebbe fare?
LP Una risposta dal basso è già venuta dai festival e dagli eventi che le stesse artiste hanno iniziato a organizzare. L’idea è: se non abbiamo spazio, ce lo prendiamo da sole. C’è il Lilith Festival -organizzato a Genova dal 2011 da Valentina Amandolese, Cristina Nico e Sabrina Napoleone- che dedica una forte attenzione alla musica d’autrice di tutta Italia. Le organizzatrici sono loro stesse musiciste. O il Mala Femme di Bari, festival indipendente che unisce artiste e musiciste provenienti dall’underground. Importante anche il Rock With Mascara, organizzato a Carpi, una rete che mette insieme le rock band femminili italiane. Un’altra realtà interessante, ma presa dal lato della produzione, è la Tank Girl Media Group, una casa discografica che produce e sostiene giovani artiste. Ci sono anche io che organizzo il Lady Pink Festival: è un festival itinerante che vuole finalmente dare alle artiste la visibilità che meritano.

“Femita. Femmine rock dello stivale”, Edizioni Underground?, 15 euro

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