Diritti / Opinioni
“Essere neri in Europa”: la vergogna della profilazione razziale
Diverse corti hanno condannato questa prassi, che continua però a essere praticata. Anche nel nostro Paese. La rubrica di Gianfranco Schiavone
“Nessuna differenza di trattamento basata esclusivamente o in misura decisiva sull’origine etnica della persona è suscettibile di ottenere obiettiva giustificazione in una società contemporanea fondata sui principi del pluralismo e il rispetto per le differenti culture”. Così scriveva la Corte europea dei diritti umani nella sentenza Timishev vs. Russia (55762/00 e 55974/00) del 13 dicembre 2005 (da settembre 2022 la Russia non fa più parte della Convenzione).
Nel caso Williams Lecraft vs. Spagna il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani aveva stigmatizzato la Spagna per violazione del Patto internazionale per i diritti civili e politici e il conseguente divieto di discriminazioni in quanto “i controlli sull’immigrazione non possono essere condotti dando rilevanza decisiva alle caratteristiche fisiche o razziali delle persone, ovvero considerando tali caratteristiche di per sé quali indicatori della possibile presenza irregolare”(1493/2006).
Più recentemente, nel febbraio 2023, ribaltando una precedente giurisprudenza, il Tribunale dell’Aja ha accolto il ricorso di un cittadino olandese di origine congolese, ritenendo che i controlli di polizia cui era stato sottoposto all’aeroporto fossero unicamente legati al suo aspetto fisico mettendo così in atto una grave forma di discriminazione.
Entriamo dunque nel tema, del tutto sconosciuto in Italia, della profilazione etnica (racial o ethnic profiling) definita dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (“General policy recommendation number 11 on combating racism and racial discrimination in policing”, CRI(2007)39, 29 giugno 2007) come “l’uso da parte delle forze dell’ordine, quando procedono a operazioni di controllo, sorveglianza o indagine, di motivi quali la razza, il colore della pelle, la lingua, la religione, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, senza alcuna giustificazione oggettiva e ragionevole”. Le ragioni per cui la profilazione razziale è una pratica che va contrastata hanno a che fare con i fondamenti stessi di una società basata sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone, che escludono la possibilità che qualcuno venga sottoposto a continui controlli di polizia (e si senta a ragione, continuamente “in prova”) per il solo fatto di avere tratti somatici diversi da quelli normalmente diffusi.
Come ben evidenzia Dunja Mijatović, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, “sono numerosi i settori in cui la profilazione etnica si manifesta in maniera più marcata. Ad esempio, le politiche governative possono conferire eccessivi poteri discrezionali alle forze dell’ordine, che poi li utilizzano per prendere di mira gruppi o individui in base al colore della pelle o alla loro lingua” (Ethnic profiling: a persisting practice in Europe, 9 maggio 2019).
Nel vasto studio “Essere neri in Europa” condotto nel 2018 dall’European union agency for fundamental rights (Fra) su quasi seimila afrodiscendenti in dodici diversi Paesi, Italia inclusa, “tra coloro che sono stati fermati nei dodici mesi precedenti il sondaggio, il 44% ritiene che l’ultimo arresto subito sia stato a sfondo razziale. Questa opinione è stata condivisa al massimo dagli intervistati in Italia (70%)”.
La motivazione dei controlli sull’immigrazione irregolare non è una ragione in alcun modo giustificabile per attuarli sulla base della diversità etnica; eppure chiunque può notare come l’ordinaria attività verifica da parte della polizia nelle stazioni e nelle aree considerate critiche (di fatto quelle abitate da stranieri) sia chiaramente effettuata sulla base di una profilazione etnica e ciò viene percepito come assolutamente normale, anzi ovvio, tanto da chi effettua i controlli quanto, in media, dai cittadini. Sollevare la questione che i controlli sulla regolarità del soggiorno non possono giustificare in alcun modo una prassi basata sui profili etnici appare un’impresa del tutto vana. Nella triste e violenta Italia di questi anni il problema della profilazione razziale quale prassi illegittima non esiste affatto, anzi forse praticarla è divenuto persino un vanto.
Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste
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