Diritti / Opinioni
Elezioni: dove sono finite mafia e corruzione?
Prevenzione e contrasto del malaffare, insieme alla questione morale, sono le priorità da cui la politica deve ripartire. Ma l’attenzione è scarsa
“Parlate di mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”. Ha pronunciato in più occasioni e in modo convinto queste parole il giudice Paolo Borsellino. Fino a pochi giorni prima di morire. Un monito che Avviso Pubblico -l’Associazione che mette in rete più di 400 enti locali impegnati nella prevenzione e contrasto alle mafie e alla corruzione- ha ripreso in occasione dell’ultima campagna elettorale, lanciando un appello a tutte le forze politiche.
Ai segretari, ai candidati e candidate dei partiti e dei movimenti è stato chiesto di dichiarare pubblicamente di rifiutare i voti dei mafiosi e dei corrotti e di chiarire quali fossero gli impegni che intendevano assumersi per promuovere legalità e trasparenza. Per Avviso Pubblico era inqualificabile e inaccettabile tacere per timore di perdere voti che potevano essere determinanti per la vittoria o perché si era convinti che parlare di mafie e corruzione significasse porre questioni che non interessavano i cittadini elettori.
Questo appello è caduto nel vuoto. Bastava leggere anche i contenuti dei programmi elettorali. Lo schieramento di centro destra non aveva nemmeno inserito alcun riferimento ai temi oggetto dell’appello. Nel centro-sinistra le parole mafie e corruzione comparivano nei programmi elettorali, ma a questi temi non è stato dedicato uno spazio specifico e articolato. Il Pd ha ribadito l’importanza di unire una lotta sul versante repressivo, colpendo i criminali anche sul lato economico, a quella sul versante preventivo. Liberi e Uguali ha dedicato a questi temi dieci righe del suo programma dicendo che era necessario ridurre la circolazione del denaro contante per contrastare il riciclaggio, promuovere l’educazione alla legalità nelle scuole, mantenere il carcere duro per i mafiosi e, da ultimo, tutelare i testimoni e i collaboratori di giustizia. M5s ha scritto che contro i clan era necessario modificare l’articolo 416-ter del codice penale, quello riguardante il voto di scambio politico-mafioso, che bisognava modificare i tempi di prescrizione dei processi, mentre per lottare contro la corruzione andava introdotta nel nostro ordinamento la figura dell’agente sotto copertura, andava pensato un Daspo per i corrotti e nonché la possibilità di realizzare delle intercettazioni informatiche. Da ultimo, bisognava assumere 10 mila persone nelle forze di polizia e costruire due nuovi carceri.
Questo era scritto nei programmi ma, nella discussione pubblica, le parole più pronunciate dai politici e dagli aspiranti tali sono state “sicurezza”, “tasse”, “pensioni”, “immigrazione”. Eppure In Italia non passa giorno in cui non vi siano arresti per mafia e corruzione, che si sequestrino e confischino beni e aziende per milioni di euro, che si celebrino processi con decine di imputati. Non solo al Sud, ma con sempre maggiore frequenza anche al Centro-Nord. Sono 70 i comuni sciolti per mafia negli ultimi cinque anni -32 dei quali nella sola Calabria- e oltre 15 miliardi di euro gli investimenti esteri persi dal nostro Paese -secondo Banca d’Italia- a causa della perdita di reputazione dovuta ai mafiosi e corrotti.
La prevenzione e il contrasto di mafie e corruzione, insieme al tema della questione morale, sono le priorità da cui la politica italiana deve ripartire per risanare i conti pubblici, stimolare crescita e sviluppo ma, soprattutto, per recuperare fiducia e credibilità agli occhi dei cittadini e della comunità nazionale e internazionale.
Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”
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