Cultura e scienza / Opinioni
È regno dei banchieri. Senza opposizione
La democrazia è commissariata dall’aristocrazia finanziaria. Non si intravvede una rivoluzione pacifica che le restituisca dignità. Una speranza c’è. La rubrica di Tomaso Montanari
“Dopo la rivoluzione di luglio, il banchiere liberale Laffitte, accompagnando il suo compare, il duca di Orléans, in trionfo all’Hôtel de Ville, lasciava cadere queste parole: ‘D’ora innanzi regneranno i banchieri’. Laffitte aveva tradito il segreto della rivoluzione. Sotto Luigi Filippo non regnava la borghesia francese, ma una frazione di essa, i banchieri, i re della Borsa, i re delle ferrovie, i proprietari delle miniere di carbone e di ferro e delle foreste, e una parte della proprietà fondiaria venuta con essi a un accordo: la cosiddetta aristocrazia finanziaria. Essa sedeva sul trono, essa dettava leggi nelle Camere, essa distribuiva gli impieghi dello Stato, dal ministero allo spaccio dei tabacchi”. Sono parole che non si rileggono, oggi e in Italia, senza un brivido lungo la schiena. Avendo di fronte agli occhi i banchieri al potere, l’oligarchia dei padroni del vapore. L’aristocrazia finanziaria: cioè il governo dei migliori. Cioè quello dei ricchi. E sono parole di un ancor giovane Karl Marx (da Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, scritto nel 1850), che possiedono una forza sintetica, una capacità di andare alla sostanza delle cose, che oggi sembra non avere più nessuna voce pubblica. Questa aristocrazia finanziaria non ha all’opposizione nessun Marx.
E allora viene da pensare che solo il linguaggio dell’arte -sintetico, profetico, e come senza tempo- può ancora scuoterci, darci la sveglia. E allora guardiamo come finì quel governo dei banchieri. È il grandissimo Honoré Daumier a farcelo vedere, in una sua incisione satirica (ma più morale, in effetti, che satirica) pubblicata sul “Charivari” il 9 marzo 1848, cioè all’indomani della rivoluzione che, per qualche mese, riportò la Francia ai veri valori del 1789. La didascalia recita: “Ultimo consiglio degli (ex) ministri”. E l’immagine è quella tragicomica, grottesca e insieme altissima del cambio di regime. Si apre la porta della sala dove si riunisce il governo, ed entrano una luce fortissima e un vento potente: è la Libertà, l’incarnazione della Francia rivoluzionaria, che spalanca le porte e cambia il corso della storia.
Il grande storico Jules Michelet scrisse a Daumier che attraverso questa figura l’artista aveva permesso “anche ai più semplici di rendersi conto del buon diritto della Repubblica. Ella torna in casa sua, e trova i ladri seduti a tavola: e li spazza via. Ha la forza e l’autorevolezza della padrona di casa!”. Ed è proprio così: al cospetto di questa giovane donna, la banda di vecchi maschi in grisaglia si confonde, si accalca, salta dalla finestra. La massa nera e maschile dei ministri-banchieri non regge al candore luminoso della giovane e inerme Repubblica.
Quella rivoluzione non resse, lo sappiamo. E oggi non è alle viste una pacifica rivoluzione che restituisca alla democrazia la dignità e la verità che il commissariamento dell’aristocrazia finanziaria le toglie. Del resto, lo sapevamo bene: sono molti decenni che i rapporti di forza sono questi. Sono molti decenni che ci si dice che no, non c’è alternativa a questo modello sociale. Un modello sociale che distrugge l’eguaglianza ed è a un passo dal distruggere il Pianeta stesso. Ora, almeno, il gioco si è fatto scoperto, e ci è stato detto chiaro e tondo che “d’ora innanzi regneranno i banchieri”. Se la consapevolezza della malattia è il primo passo per provare a curarla, ora davvero non abbiamo più scuse: la stragrande maggioranza dei cittadini non ha alcun interesse nel perpetuare questo stato delle cose. Basterebbe iniziare a vederlo.
Tomaso Montanari è professore ordinario presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra
© riproduzione riservata