Diritti / Attualità
Due dei tre bambini farfalla di Gaza sono finalmente usciti dalla Striscia
A seguito dell’offensiva israeliana su Rafah le speranze di salvare i piccoli affetti dall’epidermolisi bollosa, malattia rara che rende fragilissima la loro pelle, erano minime. Ma dopo mesi di trattative e di rinvii i bambini sono riusciti a trovare riparo negli Emirati Arabi Uniti. Uno di loro non ce l’ha fatta. Di almeno 25 non si hanno più notizie. A tenere le fila sul campo è stata un’infermiera bresciana in pensione
Sono due granelli in una tempesta di sabbia ma sono in salvo ed è l’unica cosa che conta. Due dei tre bambini farfalla di Gaza, di cui avevamo parlato mesi fa su Altreconomia, sono finalmente usciti dalla Striscia: uno di loro, Faiq, non ce l’ha fatta e gli altri non si trovano a Modena, dove tutto era pronto per accoglierli, ma il lavoro instancabile di associazioni e istituzioni internazionali ha fatto sì che trovassero riparo negli Emirati Arabi Uniti.
“Il nostro obiettivo era portarli fuori dalla Striscia -dice Martina Luisi, coordinatrice per l’Italia del Palestine Children’s Relief Fund (Pcrf)- perché nelle condizioni disperate in cui vivono oltre due milioni di persone a Gaza, non potevano più sopravvivere”.
Li chiamano bambini farfalla perché a causa di una malattia genetica rara, l’epidermolisi bollosa, la loro pelle diventa così fragile da ricordare le ali di una farfalla. Anche solo piccoli sfregamenti o traumi possono provocare lo scollamento e la formazione di bolle sulla cute e nei tessuti di rivestimento delle mucose. Le ferite sono molto dolorose e simili a ustioni, per questo necessitano continue cure e medicazioni e soprattutto un livello di igiene impensabile nelle condizioni attuali della Striscia.
Poco prima che l’esercito israeliano, nel maggio scorso, avviasse l’operazione militare contro la città di Rafah, impadronendosi del valico con l’Egitto, i tre bambini -Faiq, Mahmoud ed Elham, tutti tra i sei e sette anni- con grandi sforzi, erano stati fatti convogliare, proprio lì. A nulla erano valsi gli appelli di tutto il mondo -compreso il pronunciamento della Corte internazionale di giustizia, su sollecitazione del Sudafrica- affinché Rafah, la città nel Sud della Striscia, dove si erano rifugiati oltre un milione di palestinesi, venisse risparmiata. Centinaia di migliaia di persone erano state costrette, ancora una volta, a spostarsi e le speranze di salvare i tre bambini sembravano essere definitivamente volate via.
“Manca solo l’ultimo miglio -diceva Stefania Bettinelli, presidente de ‘Le ali di Camilla‘, tra le associazioni che si sono impegnate fin dall’inizio in questa vicenda-. Abbiamo bisogno che qualcuno li faccia uscire e arrivare in Egitto e da lì è tutto pronto per accoglierli a Modena, al Policlinico, che in questo ambito è un centro d’eccellenza e che ha dato la propria disponibilità, come la Regione e altre associazioni locali”.
Tantissimi i soggetti coinvolti in questa storia a lieto fine: dal Pcrf Italia a Pro Terra Sancta, che per anni si sono presi cura sul campo dei bambini, dalle volontarie, palestinesi e italiane, del Gaza Kinder Relief, alla già citata associazione “Le ali di Camilla”, nata proprio per coordinare gli aiuti extra-ospedalieri dei bambini farfalla italiani e stranieri.
Ma a legare tutti questi soggetti e soprattutto a tenere le fila sul campo è sempre stata Gianna Pasini, un’infermiera bresciana in pensione, che da anni segue e aiuta i bambini farfalla di Gaza: c’era lei l’altra notte, mentre Mahmoud ed Elham con i loro accompagnatori lasciavano la Striscia, dall’altro capo del telefono.
“Sono stati i parenti a contattarmi, quando è iniziata l’offensiva israeliana, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre -racconta Pasini-. Secondo un mio censimento, fatto prima del Covid-19, sono almeno venticinque i bambini farfalla di Gaza, ma di tutti gli altri abbiamo perso notizie. Ho seguito passo passo l’uscita, in collegamento con la zia di Mahmoud e ho temuto fino alla fine che qualcosa potesse andare storto. Sono passati da Israele e ora non so esattamente dove si trovino: li hanno messi in quarantena e vaccinati, ma sono insieme e continuiamo a rimanere in contatto”.
Ad essere coinvolti sono stati anche la Farnesina, “che ci ha dato grande disponibilità e garantito, una volta che i bambini si fossero trovati in Egitto, il rilascio dei visti per farli arrivare in Italia”, dice Luisi, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e da ultimo gli Emirati Arabi Uniti.
“Da mesi tutta la documentazione era pronta e nelle mani dell’Oms -continua Luisi- ma c’era sempre un impedimento a bloccarli, un attacco militare o questioni burocratiche. Gli Emirati e il Qatar stanno sostenendo sforzi immani per aiutare gli abitanti di Gaza che hanno bisogno di cure mediche, in particolare i bambini, e chiaramente hanno relazioni particolari con Israele. Quello che conta è che ora siano in salvo. Naturalmente continueremo a seguire le loro vicende e cercheremo di aiutarli a distanza”.
Ad accompagnare Mahmoud è la zia, mentre con Eilham c’è la madre, che ha dovuto prendere la difficile decisione di abbandonare il resto della famiglia e dei figli dentro Gaza. Agli uomini in età lavorativa è vietata l’uscita dalla Striscia, come avveniva già prima del 7 ottobre, perché considerati da Israele possibili terroristi.
Faiq, il cui padre aveva venduto tutto per curarlo, non ce l’ha fatta. Wizam, invece, un altro bambino farfalla conosciuto direttamente da Gianna Pasini, si trova in salvo, con tutta la famiglia, al Cairo. “Andrò a trovarlo e a fargli fare un esame”, racconta l’ex infermiera, che per i bambini farfalla di Gaza ha lanciato anche una raccolta fondi.
“Ho battuto tutte le strade possibili, dai regali di privati alle banche, che quando si tratta di inviare soldi a Gaza creano mille problemi. Mando denaro solo a persone che conosco e che ho incontrato nella Striscia, dove sono stata diverse volte: sono piccole gocce, ma insieme possono fare la differenza, soprattutto per i più piccoli. Ho consegnato alle associazioni la lista dei venticinque bambini farfalla -continua instancabile Pasini-. Abbiamo provato a contattarli, finora nessuno ha risposto, ma bisogna insistere. Non so se ne siano nati degli altri, dopo il Covid-19, ma è probabile e hanno bisogno di cure”.
Pasini ha dedicato anche un libro all’argomento che le sta tanto a cuore, “Storia di una bambina farfalla di Gaza”, illustrato dal disegnatore Fogliazza (Edizioni Q). Le vendite sono ancora oggi devolute a progetti dedicati.
© riproduzione riservata