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I numeri dell’immigrazione in Italia, oltre la retorica dell’emergenza

La presunta “invasione” non esiste, al contrario si registra una forte diminuzione delle domande d’asilo, i centri di accoglienza svuotati e la precarizzazione degli stranieri in Italia. Il Dossier statistico immigrazione 2020 di Idos fa il punto della situazione nel Paese

© Sos Mediterranee - Laurin Schmid

Una politica migratoria figlia di una lettura superficiale e poco lungimirante del fenomeno, spesso tradotta in decisioni che, in modo paradossale, creano il “problema immigrazione” per poi tentare di risolverlo. È quanto emerge dalla lettura del Dossier Statistico Immigrazione 2020, pubblicato dal centro studi e ricerche Idos in partenariato con il centro studi Confronti e presentato mercoledì 28 ottobre. I dati e gli approfondimenti contenuti nel documento chiariscono almeno tre punti fondamentali: in Italia la presunta “emergenza sbarchi” si è conclusa da tempo ma i toni e le soluzioni emergenziali perdurano; la normativa in materia di immigrazione favorisce la precarizzazione delle condizioni di vita degli stranieri, peggiorate dalla pandemia di Covid-19; le previsioni future sul crescente numero di migranti forzati obbligano a un cambio di rotta rispetto all’attuale sistema di governance in materia di immigrazione.

In Italia non esiste un’emergenza sbarchi, al netto delle prime pagine dei quotidiani. Nel 2019 sono sbarcate 11.471 persone con una diminuzione del 50,9% rispetto al 2018 e del 90,4% rispetto al 2017. Il dato degli sbarchi, risultato di politiche di esternalizzazione delle frontiere, risulta in controtendenza rispetto alla crescita ormai costante, dal 2010 in avanti, del numero dei migranti forzati: attualmente sono 79,5 milioni, di cui 45,7 milioni sono sfollati interni e 26 milioni i rifugiati. Non sono né i Paesi industrializzati né tanto meno l’Italia -sottolinea il rapporto- a farsi carico della loro accoglienza: tre quarti di loro ad oggi hanno trovato protezione in un Paese confinante alla propria patria e l’85% si trova in Paesi a medio o basso reddito.

Calano gli sbarchi e diminuiscono le richieste d’asilo: nel 2019 l’Italia è il Paese che nell’Unione europea ha visto maggiormente diminuire il numero di richieste registrando un calo del 34%. Ampliando lo sguardo, l’esternalizzazione delle frontiere voluta dall’Ue ha portato a un crollo delle domande d’asilo che tra il 2015 e il 2019 si sono quasi dimezzate, nonostante un lieve aumento registrato lo scorso anno (+12%), passando da 1.323.485 a 745.225. Nello stesso periodo i casi intercettati di attraversamento irregolare delle frontiere censiti da Frontex, l’agenzia europea che controlla le frontiere esterne dell’Ue, sono scesi da 1.822.177 nel 2015 a 141.741 nel 2019. “La mancata corrispondenza -osserva lo studioso Antonio Ricci nel rapporto- tra richieste di asilo e attraversamenti di frontiera irregolari mostra chiaramente come questi ultimi stiano influenzando sempre meno il sistema europeo comune dell’asilo”.

Le conseguenze del primo “decreto Salvini” comportano -come raccontato da Altreconomia– lo svuotamento dei centri di accoglienza che a giugno 2020 contavano poco più di 84.400 ospiti: in appena due anni e mezzo, oltre 100mila persone sono fuoriuscite dal sistema di accoglienza disperdendosi sul territorio e andando a ingrossare le fila degli “irregolari”. Un tema quest’ultimo che riassume la gestione del fenomeno migratorio da parte dell’Italia. Per la prima volta dopo molti anni, nel 2019 cala la presenza dei cittadini extra Ue regolarmente soggiornanti: sono oltre tre milioni e 615mila con un calo del 2,7% rispetto al 2018. Come logica conseguenza si stima che la presenza straniera irregolare sia aumentata, negli ultimi due anni, di 140mila persone arrivando a sfiorare circa le 611mila unità nel 2020. La regolarizzazione promossa dal governo del presidente del Consiglio Giuseppe Conte non ha colto nel segno interessando, presumibilmente, solamente il 30% degli stranieri irregolari presenti in Italia con circa 207mila istanze di regolarizzazione presentate. Il Dossier evidenzia che dal 1982 ad oggi si contano nove regolarizzazioni, in media una ogni quattro anni, in un meccanismo in cui la stessa legge che crea l’irregolarità interviene ciclicamente per arginarla, spesso con misure insufficienti. Quella del 2020 viene definita da Gianfranco Schiavone, vice-presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), come “un’occasione perduta”.

La pandemia ha peggiorato la situazione dei lavoratori stranieri: durante l’emergenza è stato registrato un aumento del 15-20% di stranieri sfruttati nelle campagne italiane con un incremento dell’orario di lavoro e un peggioramento della retribuzione. Nel Dossier il mercato del lavoro italiano appare ancora una volta rigidamente scisso su base “etnica”: gli occupati stranieri -nel 2019 erano circa due milioni e 500mila- si concentrano per oltre il 50% in appena 13 professioni che scendono a tre se si considerano le donne (servizi domestici, cura alla persona e pulizie di uffici e negozi). Un dato significativo se si considera che la metà dei lavoratori italiani ne copre almeno 44, venti per le donne, che nasce dalla canalizzazione degli studenti stranieri verso gli istituti tecnici (38%, contro una media complessiva del 31,3% per gli italiani) o professionali (32,1% contro 18,7%). Dati confermati anche nell’accesso all’università in cui gli stranieri rappresentano appena il 5,4% degli immatricolati nell’anno 2019/2020.

 

Se gli ingressi irregolari diminuiscono, vi è una programmazione tutt’altro che coraggiosa da parte del governo italiano nei flussi di ingresso. Complice la pandemia di Covid-19, il “Decreto flussi” 2020 è stato pubblicato solo ad inizio ottobre ed è una fotocopia dei decreti 2018 e 2019 con la previsione di 38.850 ingressi per lavoro. L’ingresso per lavoro resta difficile e i dati sui nuovi permessi di soggiorno rilasciati nel 2019 lo confermano: solo il 6,4% è per motivi di lavoro a fronte di ben il 56,9% per famiglia.

Su scala globale -si legge nel Dossier- circa 1.900 catastrofi naturali alimentate dai cambiamenti climatici hanno provocato 24,9 milioni di nuovi sfollati. È il numero più alto dal 2012 ed equivale a tre volte gli sfollati per conflitti e violenze (8,5 milioni, pari al 25,5%). Un dato destinato a salire vertiginosamente: il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) segnala che gli sconvolgimenti climatici aumenteranno fame e migrazioni soprattutto nelle fasce più povere di Africa e Asia. Si stima che la popolazione coinvolta sarà di 178 milioni di persone, nello scenario di un innalzamento di 1,5 °C, di 220 milioni con un più 2°C, fino a 277 milioni nel caso di un aumento di 3°C. Una maggior attenzione ai sistemi di governance italiani (e non) del fenomeno migratorio non è un’opzione perseguibile ma una scelta obbligata: il fenomeno è destinato, nel giro di pochi decenni, ad aumentare notevolmente le sue dimensioni.

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