Altre Economie / Intervista
Decrescita silenziosa. Intervista ad Amaia Pérez Orozco
Secondo la femminista spagnola è necessario discutere in modo radicale e democratico il concetto di “vita dignitosa” e capire come organizzarci per sostenerla in modo collettivo, con cura, mutualismo e in equilibrio ecologico con il Pianeta
Quando Amaia Pérez Orozco, nel giardino dell’Università IUAV di Venezia che dal 7 al 9 settembre 2022 ha ospitato la conferenza “Decrescita: se non ora quando?”, parla della posizione “silenziosa” che ha assunto da qualche tempo a questa parte, tornano alla mente le parole del poeta Andrea Zanzotto, proprio su questa città: “Tacerla al massimo, Venezia, per entrarvi”. Così, a volte, si sente il bisogno di fare un passo indietro e rimettersi in ascolto, “decrescere nelle parole e nell’esposizione pubblica”, come dice lei, femminista spagnola nata a Burgos e oggi attiva a Bilbao, dopo vent’anni trascorsi a Madrid, autrice del libro “Subversión feminista de la economía: aportes para un debate sobre el conflicto capital-vida” (Traficantes de sueños, 2014). Secondo l’autrice, è necessario discutere in modo radicale e democratico il concetto di “vita dignitosa” e capire come organizzarci per sostenerla in modo collettivo, con cura, mutualismo e in equilibrio ecologico con il Pianeta.
Piccola eccezione in questa sua fase silenziosa, Amaia è intervenuta alla Conferenza sulla decrescita, nella plenaria dedicata al “Buen vivir/Vivir bien. Che cos’è una buona vita? Oltre il paradigma del benessere, ripensare il senso e la qualità della vita”. Già nel 2021 era venuta in Italia, ospite del laboratorio TiLT (Territori in Libera Transizione). “Sono attiva nei movimenti sociali, in particolare femministi, ma non solo: ci sono il mondo ecologista e quello delle occupazioni, ad esempio, e per tutti questi la decrescita è un fondamento politico comune”, dice.
Come si sta sviluppando il movimento della decrescita in Spagna?
APO Una decina d’anni fa erano presenti più collettivi che facevano riferimento in modo esplicito al mondo della decrescita. Mi sembra che adesso il movimento che usa ancora questo nome abbia meno forza. Ma quello che si è rafforzato dopo, come il movimento ecologista o della transizione eco-sociale, ha preso ispirazione da lì. Anche nel mondo femminista non si usa spesso la parola decrescita, ma i temi su cui riflettiamo e ci attiviamo nel quotidiano sono gli stessi.
Secondo te per quale motivo questa parola è meno forte di un tempo?
APO In generale mi sembra che la parola “decrescita” non stia aggregando: non genera facilmente entusiasmi. D’altra parte, dal punto di vista del linguaggio, non abbiamo ancora trovato delle alternative condivise. Ad esempio, dal mio punto di vista, l’espressione “società della cura” ha il limite di negare il conflitto eteropatriarcale della cura. Nel mondo ispanofono abbiamo usato “buen vivir”, ma anche questo non ha funzionato molto bene. Inoltre, si rischia di appropriarsi di questi termini che provengono dalle lingue indigene (sumak kawsay nelle lingue quechua, suma q’amaña in aymara). E ci mancano parole condivise tra diversi Paesi. Il problema comunque è di fondo, credo: nel pensiero, più che nelle parole, su cui poi si riflette questa debolezza. Non abbiamo ancora trovato un orizzonte condiviso nella transizione eco-sociale; abbiamo molti elementi, ma finora non siamo riusciti a combinarli insieme.
Da questo punto di vista, quali strumenti ci offre la prospettiva ecofemminista?
APO L’ecofemminismo ci ricorda che non possiamo negare la vulnerabilità della vita e dei processi che la sostengono, e che dobbiamo mettere al centro l’interdipendenza, uscendo dall’androcentrismo ed evidenziando i conflitti e le contraddizioni, anziché costruire un discorso buonista. Si tratta, oggi, di intrecciare i temi classici del femminismo alla domanda: qual è la vita che vogliamo vivere? E la risposta sta anche nel pensiero della decrescita, che al centro non pone il mercato, ma i processi vitali.
Il libro di Amaia Pérez Orozco è stato tradotto in inglese da Liz Mason-Deese e uscirà presto per la casa editrice nordamericana Common Notions, “The Feminist Subversion of the Economy”.
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