Diritti
Debito senza difesa. A pagare gli interessi ci pensa lo Stato
Finmeccanica conferma quanto abbiamo scritto sul numero di marzo di Ae: il ministero dello Sviluppo economico s’indebita con gli istituti di credito, e poi gira i finanziamenti alle industrie del comparto difesa: "I fondi a disposizione per il settore della Difesa in Italia nel 2012 sono aumentati di 375 milioni a 4,2 miliardi, tra risorse del ministero della Difesa e quelle del dicastero dello Sviluppo economico. Lo ha reso noto Finmeccanica durante la presentazione agli analisti dei risultati 2011. Dal piano triennale approvato dal Governo si evince che le risorse per il 2013 ammontano a oltre 5,1 miliardi per poi ripiegare a poco più di 5 miliardi nel 2014" (28 marzo 2012). L’articolo spiega in dettaglio come funziona il meccanismo di finanziamento dell’industria a produzione militare tramite fondi dedicati allo sviluppo di progetti ad "alto contenuto tecnologico". L’operazione comporta oneri per lo Stato (con crescita conseguente del debito pubblico) e non per le industrie militari
C’è un meccanismo nascosto dietro le commesse del ministero della Difesa per l’acquisto di duecento blindati “Freccia”di vario tipo (Combat, Combat support, Posto comando), i caccia “Eurofighter” e le Unità navali della classe Fremm (Fregata europea multi missione).
A rendere possibile lo sviluppo di questi “programma industriali”, infatti, non sono risorse del ministero della Difesa, magari versati alle imprese produttrici come caparra, ma finanziamenti messi a disposizione dal ministero dello Sviluppo economico. Che se ne occupa richiamandone “l’alto contenuto tecnologico”.
È un “trucco” che svela, allo stesso tempo, due notizie.
La prima è, in realtà, una conferma: una bella fetta di spese militari non è contabilizzata (se non con un richiamo, ma senza cifre) nei bilanci della Difesa, e che gli altri dicasteri contribuiscono all’approvvigionamento di armamenti delle nostre Forze Armate. È un meccanismo che abbiamo già descritto nel libro “Il caro armato” (Ae, 2010) ma che continua ad essere ignorato da tutti i rappresentanti del ministero della Difesa, che contraddicendo l’evidenza -e spesso anche i documenti ufficiali- sottostimano pesantemente i soldi a loro disposizione ogni volta che affrontano, in pubblico, il tema.
L’altra notizia, invece, è un meccanismo mai descritto, che negli ultimi tre anni ha dragato 6,1 miliardi di euro dal bilancio del ministero dello Sviluppo economico a quello della Difesa. 2.267 milioni di euro nel 2010, 2.248 nel 2011 e -secondo i dati previsionali- 1.674 nel 2012. L’iter di questo supporto finanziario parte una volta scelti i programmi d’investimento, e soprattutto individuate le aziende che ne gestiscono la parte industriale. A quel punto vengono stipulati appositi contratti tra la Difesa e l’impresa o le imprese interessate, secondo le usuali modalità del procurement militare.
A questo punto, in una normale dinamica commerciali sarebbe il fornitore del prodotto a dover ricercare -se ne ha la necessità- una linea di credito che lo metta ai ripari da eventuali ritardi nel pagamento dei beni o dei servizi venduti, e per i quali è stato sottoscritto l’accordo. A maggior ragione questo capita quando la fornitura riguarda la pubblica amministrazione, che per assicurarsi i prodotti desiderati molto spesso si basa su contributi pluriennali allocati nei successivi bilanci statali.
Per l’industria militare, nell’ambito di programma che possono durare anche 15 anni, il trattamento è molto più favorevole: lo Stato compie “un passo in più”, per permettere alle imprese di poter contare subito su soldi in cassa. L’“agevolazione” consiste in un contratto di finanziamento, sottoscritto da un istituto di credito e dall’azienda destinataria del contributo -nell’ambito di schemi definiti dai ministeri-, ma successivamente rimborsato dallo Stato. Per autorizzare il finanziamento è necessaria la preventiva autorizzazione del ministero dell’Economia (anche se alcune recenti modifiche riconoscono una certa autonomia al ministero dello Sviluppo economico), in particolare per quanto riguarda l’impostazione del tasso di interesse. A questo punto l’impresa rilascia una delega irrevocabile all’incasso a favore della banca e si porta a casa i soldi, lasciando allo Stato l’onere di pagare negli anni successivi le rate del finanziamento, restituendo il capitale ma anche gli interessi. E determinando così un aumento pluriennale del debito pubblico, un vero e proprio “debito armato”.
Il quadro di riferimento che rende possibile questo meccanismo è una legge un po’ datata, la numero 421 del 1996, che riguardava disposizioni “urgenti” per le attività produttive. Alcune modifiche, che permetteranno una regia più diretta del ministero dello Sviluppo economico, sono inserire nell’iter di conversione del decreto 2012 sulle missioni all’estero, attualmente in corso in Parlamento (la Camera ha approvato, manca il Senato – che poi ha provveduto alla conversione ndr). Il ministero guidato da Corrado Passera potrà decidere le procedure e le modalità di attuazione dei finanziamenti, ma non chi deve ricevere i soldi. La scelta dei beneficiari dipende dal ministero della Difesa, che stabilisce i programmi di armamento da finanziare, a partire da un budget disponibile, che è noto a priori e deciso collegialmente dal governo nell’ambito della Legge di stabilità (la vecchia “Finanziaria”).
Possono essere “selezionati” solo quei progetti di acquisizione militare pluriennali su cui gli organi competenti del Parlamento abbiano già espresso un’approvazione. In questo modo, però, le Camere esercitano una forma di controllo che è solo preventiva, e molto lontana dal momento della effettiva realizzazione. Una debolezza su cui ha cercato di intervenire la Commissione Difesa della Camera, grazie a un emendamento (la cui prima firmataria era Rosa Villecco Calipari, Pd) votato all’unanimità, che prevede un parere delle competenti commissioni prima di ogni modifica al quadro di finanziamento dei programmi di sviluppo armieri. Nel testo originario c’era scritto “vincolante”, una locuzione sparita grazie ad un ulteriore emendamento presentato quasi fuori tempo massimo su pressione del ministero della Difesa.
Oltre ai tre attori che abbiamo già incontrato (Sviluppo economico, Difesa e industria armiera) ce n’è un quarto: le banche. Tra quello che hanno deciso di mettersi a disposizione di questo meccanismo spicca la Banca infrastrutture innovazione e sviluppo (Biis), la controllata di Intesa Sanpaolo che si occupa di finanziamento al settore pubblico. Corrado Passera e Mario Ciaccia, rispettivamente Ceo di Intesa e ad di Biis, oggi sono il ministro dello Sviluppo economico e il suo vice.
I dati in nostro possesso dimostrano che Biis sia stato l’aggiudicatario unico di questi mutui, con erogazioni anche superiori ai 2 miliardi di euro (come documentato da Ae nell’ottobre del 2011). Non sono noti, però, i nomi degli altri istituti di credito coinvolti. Ciò che è evidente, invece, è che lo Stato si comporti nei confronti dell’industria delle armi in maniera opposta rispetto a quanto avviene -ad esempio- per i contributi alle associazioni e alle onlus che derivano dalla scelta fiscale del “5 per mille”. In quel caso, i ministeri non fanno alcun passo verso i suoi “creditori”, che spesso sono costretti ad aspettare per anni l’incasso di quanto dovuto, con un impatto significativo sui propri bilanci.
Il volontariato non pianga miseria: il ministero della Difesa che è capace di fare la voce grossa preferisce garantire con soldi pubblici la realizzazione di giocattolini avveniristici come la “Forza NEC”: una digitalizzazione delle comunicazioni fra soldati di una stessa unità o brigata magari con protezione garantita dal Sicral, un sistema satellitare militare che assicura comunicazioni di livello strategico, operativo e tattico; o, in ambito aeronautico, gli elicotteri pesanti AW-101, impiegati per le missioni di ricerca e soccorso (Combat SAR), il velivolo di addestramento avanzato Aermacchi M-346 (da poco acquistato anche da Israele), la linea di elicotteri EH-101.
Il “futuro della guerra” è invece garantito da Neuron, un programma d’iniziativa francese -con accordi anche con Svezia, Spagna, Grecia e Svizzera- che porterà alla costruzione di un Dimostratore di velivolo a pilotaggio remoto (APR) a bassa osservabilità, con capacità di rilasciare armamento aria-terra guidato: un progetto da sostenere con i nostri soldi, quelli che la Difesa finge di non avere a disposizione, e soprattutto con il nostro debito pubblico, lo stesso che richiede poi tagli alle pensioni, alla sanità, al welfare. Un debito odioso.