Attualità
Dall’Uganda a Torino, la battaglia di Patience Nabukalu contro il gasdotto Eacop
“Sono diventata un’attivista perché ho subito le conseguenze dei cambiamenti climatici sulla mia pelle”, racconta. Oltre a fare attività di sensibilizzazione tra i più giovani è impegnata contro il mega progetto della società francese Total: una “bomba di carbonio” che minaccia il Pianeta
Lo scorso 12 luglio, pochi giorni prima di raggiungere Torino, dove partecipa al Climate social camp, Patience Nabukalu manifestava davanti alla sede parigina di Amundi, la società di asset management di Crédit Agricole e secondo maggiore azionista di TotalEnergie, società impegnata nella costruzione dell’East african crude oil pipeline (Eacop) una delle più grandi “bombe di carbonio” che minacciano il futuro del Pianeta. “Si tratta di un gasdotto riscaldato lungo più di 1.400 chilometri che parte dal Nord dell’Uganda per raggiungere il porto di Tanga, in Tanzania, sull’oceano Indiano -spiega Nabukalu ad Altreconomia-. L’Uganda è il dodicesimo Paese più vulnerabile alla crisi climatica tra quelli africani. E ora la situazione rischia di peggiorare ancora di più a causa di questo progetto”.
Se il gasdotto venisse completato produrrebbe più di 34 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, come denuncia la rete “Stop Eacop” i cui attivisti hanno subito minacce e indimidazioni. Un progetto in evidente contraddizione con le raccomandazioni dell’Ipcc -il Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico- e quelle dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) che invita a non sviluppare nuovi progetti fossili per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi entro fine secolo. Per non parlare degli impatti sull’ambiente e la popolazione locale, che pagherebbe il prezzo più alto: “Già adesso migliaia di persone sono state costrette a lasciare i terreni dove vivevano ma le compensazioni sono state inferiori a quelle promesse o non sono state affatto versate. Molti erano pescatori e agricoltori, ora non hanno più mezzi di sussistenza -spiega l’attivista-. Anche le risorse idriche sono a rischio: nel bacino del lago Vittoria, il secondo più grande al mondo, vivono più di 40 milioni di persone che dipendono dal lago per l’accesso all’acqua e per poter pescare”. Di queste emergenze ha potuto parlare con alcuni dipendenti di Amundi, che sono stati intercettati dagli attivisti mentre raggiungevano il loro ufficio: “Ho spiegato loro quello che sta succedendo nel mio Paese, quali sono gli impatti che il cambiamento climatico sta provocando già oggi -racconta- penso sia importante che sappiano quali sono i progetti finanziati dalla società per cui lavorano e le conseguenze che provocano”.
Fin da quando era una bambina Patience Nabukalu, che ora ha 24 anni, deve fare i conti con le conseguenze dei cambiamenti climatici. “Sono diventata un’attivista per il clima perché le ho subite sulla mia pelle -racconta-. Vivo nel quartiere di Natete, alla periferia di Kampala, una zona paludosa. Mia madre aveva un piccolo negozio di alimentari: ogni volta che pioveva il negozio veniva inondato e per noi era un grosso problema perché significava dover buttare la merce. Inoltre mia mamma soffre d’asma e dopo ogni alluvione toccava a me aiutarla a buttare fuori l’acqua e rimettere in sesto il negozio. Dovevo farlo, perché la mia famiglia viene prima di tutto, ma questo per me significava perdere settimane di scuola”.
A quei tempi la giovane non sapeva che quelle inondazioni sempre più frequenti erano causate dal cambiamento climatico: a scuola nessuno le aveva mai parlato di questo fenomeno perché l’educazione ambientale e al clima non è presente all’interno dei programmi scolastici in Uganda. “Poi ho imparato a conoscere come funziona il clima della Terra e come il cambiamento climatico sia legato al degrado delle zone umide, come quella in cui vivo io -spiega-. Questo mi ha spinto a lottare per tutelare il mio territorio e le persone colpite dai cambiamenti climatici”.
Sebbene sia -nei fatti- un’attivista da tutta la vita solo nel 2020 Patience ha iniziato a utilizzare i social network per le proprie attività di sensibilizzazione online ed è la coordinatrice del movimento Fridays for future Uganda. Ha partecipato alla Cop26 di Glasgow ma non ha mai smesso di lavorare sul territorio in particolare incontrando i giovani nelle scuole per sensibilizzare sull’emergenza climatica, partecipando a iniziative contro il gasdotto Eacop e organizzando azioni di pulizia dalla plastica, un’altra grave emergenza che interessa non solo l’Uganda ma molti altri Paesi africani in cui è diffuso l’uso di contenitori e sacchetti usa e getta, ma dove mancano efficaci sistemi di raccolta e riciclaggio. “La collaborazione con diversi movimenti di attivisti per il clima provenienti da tutto il mondo è molto positiva, penso soprattutto alla campagna contro il gasdotto Eacop: la maggior parte dei progetti come questo vengono promossi da aziende e società europee e statunitensi e realizzati in Africa o in America latina. Sono progetti di impronta neo-coloniale e la possibilità di collaborare con attivisti di tutto il mondo ci dà la possibilità di affrontare queste battaglie a livello globale: questa alleanza ha reso più forte il nostro lavoro”.