Esteri / Reportage
Dalle macerie segni di speranza: il Libano “rinasce” dai rifiuti
L’ingegnere Ziad Abichaker mette in pratica ogni giorno il sogno di un futuro migliore per il suo Paese. All’indomani della tragedia del porto di Beirut ha raccolto 25 tonnellate di vetro frantumato per trasformarle in prodotti artigianali
“Il fatto che tutto ciò sia nato dalle macerie dell’esplosione del 4 agosto 2020 è stata una sorta di giustizia poetica: potete continuare a farci ogni sorta di male, ma troveremo sempre un modo per rialzarci. Credo che questo sia stato un altro esempio di come distruzione e rinascita connettano ancora noi libanesi”. Incontriamo Ziad Abichaker al “Souq al Tayeb”, come viene chiamato “il mercato del bene” di Beirut dove si riuniscono ogni settimana artigiani, agricoltori, piccoli produttori e consumatori “critici”. Qui troviamo anche lo stand della sua Green glass recycling initiative Lebanon (Ggril), dove si possono acquistare manufatti in vetro fatti interamente da materiale proveniente dalle macerie del 4 agosto 2020. Considerata la più grande esplosione non-nucleare nella storia per intensità, quella del porto di Beirut non solo ha provocato 220 vittime e costretto 300mila persone a lasciare le proprie abitazioni, ma dato forse il colpo di grazia al Libano già in profondissima crisi dall’ottobre 2019.
Ziad non si è dato per vinto. Dall’ingegno e l’impegno suo e di altri membri della società civile è nata una straordinaria storia di riutilizzo di rifiuti. Nel solo mese successivo all’esplosione, nel vuoto governativo di assistenza, ricostruzione e giustizia, sono state raccolte 25 tonnellate di vetro frantumato, pulite e consegnate a vetrai che le hanno trasformate in bicchieri, vasi, caraffe e altri oggetti che continuano ad avere ancora oggi un grandissimo successo. “Quando abbiamo saputo che c’era così tanto vetro a disposizione abbiamo subito attivato la Ggril per consultare le vetrerie della nostra rete e convincerle dell’idea. Non avevamo immaginato questo successo che non credo venga solo dal forte valore simbolico, ma anche dai prezzi accessibili che siamo riusciti a garantire”. Tutto ciò grazie ai costi zero della materia prima e all’impiego di volontari per la raccolta dei frantumi, che al tempo stesso significano una giusta retribuzione per il lavoro degli artigiani.
Lo stesso concetto, accompagnato da un’attenta analisi di fattibilità, era alla base dell’iniziativa della Ggril nata nel 2013. Il contesto “tragico” allora era un altro: l’ennesima invasione israeliana del 2006, 34 giorni in cui oltre ai circa 1.500 morti e più di un milione di sfollati, buona parte delle infrastrutture civili del Paese furono distrutte. Tra queste anche l’unica fabbrica esistente in Libano che produceva bottiglie in ambra e in vetro verde, bombardata dall’aviazione israeliana e da allora mai più ricostruita, con il risultato di circa 71 milioni di tonnellate di rifiuti abbandonati. “Dopo la distruzione ho implorato i proprietari della fabbrica di non toccare nulla, giusto il tempo per il nostro team di buttare giù un’idea”.
Il processo da mettere in moto, per Ziad, era semplice: recuperare più vetro possibile, smistarlo e processarlo per poi renderlo nuova materia prima in base ai bisogni del mercato locale. Ci sono voluti 5-6 anni per studiare, fallire e riprovare ma alla fine nel 2013 la Ggril è partita con sole tre catene della filiera -raccolta, stoccaggio-riciclo, produzione-rivendita- e da allora si sostiene autonomamente. “L’obiettivo era supportare la lavorazione tradizionale del vetro libanese, i cui prodotti erano ormai confinati soltanto al mercato turistico, mettendo così a rischio l’esistenza dell’artigianato stesso. L’idea era aprire il vetro artigianale a un mercato più ampio, basandosi non solo sul riutilizzo delle bottiglie integre ma finalmente iniziando a riciclare anche gli scarti”, spiega l’ingegnere.
Sfruttare al meglio le crisi per generare soluzioni creative e dare nuova vita a materiali e processi è un filo conduttore nella vita di Ziad. “Avevo 19 anni quando ho scoperto l’ingegneria ambientale. Avevo iniziato l’università di medicina per poi passare a ingegneria chimica, ma le avevo odiate entrambe. Ero perso, e quindi un po’ per casualità e un po’ per attitudine ho scoperto questo magico mondo”. Emigrato negli Stati Uniti nel 1989 insieme alla sua famiglia, la storia di Ziad è simile a quella di tantissimi altri connazionali che per sfuggire alla violenza e alla precarietà della lunga guerra civile (durata dal 1975 al 1991) hanno deciso di lasciare tutto e ricominciare una vita altrove. Ma per Ziad quella alternativa era solo temporanea: dopo essersi laureato in ingegneria ambientale con specializzazione in composti organici, sceglie di tornare a casa. “Nonostante avessi visto quasi solo la guerra fino ad allora, ho sempre pensato che qui in Libano sarei stato felice e che avrei potuto fare la differenza”.
Una volta a Beirut però non riesce a mettere in pratica le sue idee perché trova come primo ostacolo le resistenze di imprese e istituzioni che controllavano la raccolta dei rifiuti. Per questo, dopo aver fondato la sua impresa Cedar Environmental, ha iniziato nelle province del Sud, storicamente poco supportate dal governo centrale, proponendo alle municipalità di adottare sistemi di riciclaggio dei rifiuti organici. Il primo progetto approvato nel 1999 era l’implementazione di un acceleratore di compost che si dimostrò un successo e da lì, ricorda lui stesso, “siamo stati capaci di replicare in altre piccole realtà”.
Oltre alle resistenze politiche, in realtà il problema più banale era convincere le persone comuni. “La mia battaglia di lungo termine è persuadere la comunità che i rifiuti non sono un problema, bensì una risorsa. Ma per far comprendere che è possibile utilizzare fiori riciclati per produrre un compost che fertilizza campi di grano da cui ricavarne un’ottima farina, avevo bisogno di prove”. Ziad racconta che tanta gente all’inizio non credeva che si potesse fare a meno di fertilizzanti chimici e letame di animali. Non solo i consumatori ma soprattutto produttori e agricoltori. Perché il tipo di supporto e alleanze di cui ha bisogno ogni volta per le sue iniziative, Ziad non li ricerca nelle istituzioni, spesso corrotte, bensì nella capacità di fare rete con produttori e consumatori. “Ogni volta organizziamo i nostri progetti sulla base di un piano di fattibilità. Ci vogliono tempo e pazienza ma fino ad ora ce l’abbiamo sempre fatta. Abbiamo dimostrato alle persone il valore aggiunto che questo nuovo approccio garantisce”.
È così che i lavori di Ziad e del suo team si sono ripetuti nel tempo. Nel 2015, nel pieno della crisi dei rifiuti che aveva travolto la città di Beirut, con pile di spazzatura che si accumulavano lungo le strade, è nata la prima esperienza di raccolta differenziata. In quello stesso contesto, per cercare di sensibilizzare la società libanese, ha visto la luce il documentario “A zero waste lebanon”. Nell’ultimo anno, oltre al riciclo del vetro dell’esplosione del porto di Beirut, la Cedar Environmental sta producendo tombini da plastica riciclata: tutto questo perché oggi in Libano anche recuperare del metallo e rivenderlo al mercato nero è diventata una nuova fonte di reddito per chi non ce l’ha.
Il lavoro di Ziad ha riscosso un’attenzione sempre crescente a livello internazionale, a tal punto da essere, recentemente, oggetto di studio della Harvard Business School di Boston. Molti in Libano lo considerano il “re della spazzatura”, nome a cui in realtà Ziad preferisce il più banale garbage man dato che odia termini regali. Più semplicemente, si definisce una persona “fortunata per avere capito abbastanza presto la sua passione”. Un ottimismo e uno spirito di innovazione, quelli di Ziad, in questo momento rari per il suo Paese. Con la lira svalutata per oltre il 90% in piena crisi pandemica, l’assenza di stabilità politica, l’esplosione al porto di Beirut e tutta una serie di ripercussioni economiche e sociali, secondo le Nazioni Unite in Libano oggi il 75% della popolazione vive in condizioni di povertà assoluta. Per tanti, soprattutto trentenni che erano rientrati dall’estero negli ultimi anni non c’è più speranza e quindi è tempo di emigrare di nuovo. “Non li biasimo. È la stessa esperienza che ho vissuto anch’io, ma se ce ne andiamo tutti è la solita storia: si lascia il Libano nelle mani di chi non lo ama”.
Ziad non crede che i problemi saranno risolti dalla possibilità che il Fondo monetario internazionale eroghi i tanto sospirati prestiti per iniettare liquidità nel Paese. “Il Libano è ormai a un bivio. La struttura politica del Paese si sta sbriciolando, chi ci guida sono le stesse persone che ci hanno ridotto in queste condizioni. Tutto, per me, deve partire da una presa di coscienza collettiva, perché una volta crollato il sistema attuale, servirà ricostruirne un altro”. Che per il garbage man non può prescindere da quell’idea di società senza rifiuti e guidata dall’economia circolare che mette in pratica ogni giorno.
© riproduzione riservata