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Curare l’inflazione uccidendo il malato: solo le banche ringraziano la Bce

© Sigmund - Unsplash

La Banca centrale europea porta i tassi al 4,5%, il livello più alto da quando esiste l’euro, e lo fa con una decisione che non è condivisa da tutti i membri del suo Consiglio. Il ruolo della presidente Christine Lagarde è decisivo. Una scelta pericolosa, “politica” e ingiusta. Che arricchisce pochi. L’analisi di Alessandro Volpi

È indispensabile aprire una discussione pubblica sulla strategia monetaria della Banca centrale europea (Bce) perché siamo di fronte a una scelta pericolosa e profondamente “politica”, di cui occorre cogliere fino in fondo il senso di profonda ingiustizia.

La Bce porta i tassi al 4,5%, il livello più alto da quando esiste l’euro, e lo fa con una decisione che non è condivisa da tutti i membri del suo Consiglio. In questo senso il ruolo di Christine Lagarde è decisivo. Questa decisione rende più costoso il denaro per l’economia reale in una situazione di ristagno-recessione economica. Vuol dire tentare di curare l’inflazione uccidendo il malato. Ma questo punto dovrebbe essere già noto a tutti.

Ci sono però altri aspetti rilevanti. Chi trae beneficio da questa misura? Sicuramente le banche. Certo, si dirà, che sono danneggiate perché probabilmente l’aumento dei tassi genererà una serie di difficoltà alle imprese indebitate che falliranno, producendo sofferenze nei bilanci bancari. Partiamo dal fatto che i tassi ammazzano le imprese, soprattutto quelle micro che in Italia sono la stragrande maggioranza e solo poi, eventualmente, potranno recare danno agli istituti di credito perché peggioreranno i loro bilanci. Si dirà ancora, le banche hanno in pancia titoli che per effetto dell’aumento dei tassi perderanno valore. Vero anche questo ma c’è un ma.

Le banche potranno risolvere il problema della perdita di valore dei titoli in bilancio concentrando i propri finanziamenti sulle aziende di cui hanno i titoli -magari si tratta di società finanziarie e non produttive- e così contenere gli effetti dell’aumento dei tassi sul proprio bilancio. Magari quelle aziende finanziate vedranno il loro valore crescere a discapito del finanziamento concesso ad altre imprese non sostenute dalle stesse banche perché già fuori dal finanziamento bancario. Questo significa un’ulteriore concentrazione del sistema produttivo, guidata interamente dalla leva finanziaria. Peraltro con gli alti tassi gli istituti potranno realizzare i medesimi margini pur riducendo il volume dei prestiti data la loro maggiore remunerazione. 

La presidente della Bce, Christine Lagarde © Commissione europea

C’è poi un altro evidente beneficio per le banche contenuto nell’aumento dei tassi voluto dalla Bce di Lagarde. Si è stabilito che i loro depositi presso la Banca centrale europea sono remunerati al 4%; dunque una collocazione sicura che certamente distoglierà le banche stesse dal destinare le loro risorse al finanziamento produttivo. Qui siamo davvero all’assurdo, per scoraggiare gli istituti di credito dal fare prestiti che farebbero salire l’inflazione, si remunerano i loro depositi, del tutto inutilizzati, presso la Bce al 4%.

Non è un caso che di fronte a tutto ciò i titoli delle banche europee correranno al rialzo, generando altissimi dividendi di cui beneficeranno i grandi fondi finanziari che ne sono azionisti di rilievo. Di nuovo, non è un caso che negli ultimi mesi si siano contratti i prestiti alle imprese ma non quelli alle società finanziarie.

È evidente chi sono le vittime della Bce. I mutui costeranno di più. A tal proposito è bene chiarire che il problema non riguarda solo coloro che hanno contratto un mutuo a tasso variabile, ai quali si potrebbe contestare il fatto che hanno scelto, proprio preferendo questa modalità, di “scommettere” sull’andamento dei tassi, ma coinvolge tutti coloro che dovranno chiedere un nuovo prestito anche a tasso fisso divenuto onerosissimo.

Salirà, inoltre, il costo del collocamento del debito pubblico con una duplice conseguenza di remunerare di più i possessori di titoli del debito italiano che sono in larga misura in mano alle banche e agli investitori esteri e di rendere difficoltosa la spesa pubblica, a cominciare da quella sociale. Dunque, la scelta dei tassi di interesse attuata da Lagarde è decisamente politica, in barba all’indipendenza della banca centrale.

Nella stessa logica si muove, non a caso, il parere che la Bce ha espresso sull’imposta straordinaria sugli extra-profitti delle banche, proposta dal Governo Meloni, che costituisce un capolavoro di insipienza. Quel “parere” inizia ricordando al governo italiano che non è possibile utilizzare gli eventuali proventi della imposta, che è una tantum, per ridurre il debito, che necessita di misure strutturali. Verrebbe da dire: ma che critica è? È evidente che il governo userebbe quegli introiti per finanziare la proroga della una tantum e quindi l’eccezione posta dai numi della Bce è semplicemente surreale.

Ma il punto più incredibile è un altro. Secondo i super esperti riuniti attorno a Lagarde non bisogna applicare l’imposta perché se è vero che le banche hanno tratto un forte beneficio nella prima fase, nell’immediato futuro dovranno fare i conti con le sofferenze che il rialzo dei tassi ha generato. In altre parole, come già accennato, gli alti tassi voluti da Lagarde sfasceranno una miriade di imprese e una gran massa di titolari di mutui che non restituiranno i prestiti alle banche che, dunque, non devono essere tassate. Il capitalismo “progressista” è veramente indigesto. 

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento.

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