Cultura e scienza / Intervista
Così l’Italia finì nelle braccia del duce
Come fu possibile che uno Stato liberale si consegnasse nelle mani di un dittatore? Le divisioni all’interno dei partiti di massa e la complicità con cui i governi sostennero e tollerarono la violenza squadrista sono alcune delle principali ragioni che portarono Mussolini prima in Parlamento e poi al governo. Intervista allo storico Luca Falsini
Nel suo libro lei analizza i principali fattori che hanno portato Mussolini al governo e successivamente alla nascita dello Stato fascista. Quali responsabilità ebbero i governi e i partiti di massa?
LF La classe dirigente liberale era in crisi già prima dello scoppio del conflitto. Le masse si apprestavano a irrompere sulla scena politica e nuovi soggetti -i ceti medi, principalmente- premevano per favorire la propria ascesa sociale. I liberali, ancora legati a una concezione notabilare delle dinamiche politiche, non seppero innovarsi e fecero naufragare i tentativi che Amendola e Ruffini proposero per dar vita a un partito. Dal canto loro, i partiti di massa, ancorati al dogmatismo delle proprie ideologie, faticarono a offrire sponde concrete per la creazione di governi di unità nazionale capaci di contrastare con efficacia il dilagare dello squadrismo fascista e l’impennata di iscrizione al Partito nazionale fascista. I popolari, in particolare, non riuscirono mai a risolvere i dissidi etici e programmatici con Giovanni Giolitti, mentre i socialisti furono costantemente minati dai contrasti interni (tra partito e sindacato, tra riformisti e massimalisti e tra questi ultimi e i giovani comunisti), alimentati costantemente dalle pressioni della Terza internazionale, che sfociarono nelle scissioni del gennaio 1921 (la cosiddetta “Scissione di Livorno” che portò alla nascita del Partito comunista italiano, ndr) e dell’ottobre 1922 (con l’espulsione della corrente guidata da Filippo Turati, ndr), destinate a depotenziare la forza politica del partito.
Quali furono le istanze principali che il fascismo seppe intercettare nel primo dopoguerra e che ne decretarono il successo?
LF Nel corso del 1917 Mussolini intuì che al tradizionale confronto tra proletariato e borghesia, lavoro e capitale, si stava affiancando un nuovo dualismo incentrato sul mito della nazione. Su tale terreno egli pensò di fondare il consenso del suo movimento, raccogliendo le forze “sane” che avevano voluto e combattuto la guerra contro il disfattismo del “nemico interno”. La guerra civile esplosa nel 1919-1920 e l’esito disastroso delle elezioni del 6 novembre 1919, che non portarono alcun fascista in Parlamento, attestarono però la sopravvivenza dei tradizionali criteri della battaglia politica, costringendo Mussolini alla svolta moderata del maggio 1920. Una svolta che da un lato gli costò l’alleanza con le “aristocrazie” del combattentismo (arditi e futuristi, principalmente), indisponibili a mitigare il proprio carattere rivoluzionario, ma dall’altro gli portò in dote compagni di viaggio ben più utili alla causa fascista. Fu infatti grazie all’alleanza con i poteri tradizionali (industriali e agrari) che Mussolini poté costruire il proprio consenso, in un’ottica inizialmente antisocialista, poi presto anche antigovernativa.
È possibile individuare un punto di svolta che ha determinato l’ascesa del fascismo al governo?
LF La svolta del maggio 1920, come detto, è una tappa fondamentale del processo di crescita dei Fasci di combattimento che, pur senza attenuare in alcun modo la carica violenta dello squadrismo, consentì a Mussolini di avvicinarsi alle leve del potere attraverso la rappresentanza della classe emergente dei ceti medi. Tuttavia fu con l’occupazione delle fabbriche che il fascismo poté consolidare il suo ruolo a tutela dell’ordine sociale contro il dilagare delle proteste socialiste. Infatti, sebbene l’accordo mediato dal presidente del Consiglio Giovanni Giolitti nel settembre del 1920 avesse riconosciuto ai sindacati quasi tutte le rivendicazioni avanzate in primavera dalla Fiom (Federazione impiegati operai metallurgici), il mancato esito rivoluzionario della protesta trasformò la vittoria in un boomerang. Gli industriali si ricompattarono, ritrovando forza e vigore, e i fascisti si trovarono a essere il loro braccio armato. Per i socialisti, invece, si trattò del canto del cigno e della fine delle illusioni rivoluzionarie.
L’uso della violenza da parte dei fascisti venne ampiamente tollerato dalla politica liberale del tempo. Come fu possibile?
LF La mano dura dei governi contro chi reca turbamento all’ordine sociale risale alla notte dei tempi e la storia unitaria non fa eccezione. Quanto accaduto a Milano nel 1898, o a Buggerru nel 1904, per fare alcuni esempi, lo dimostra ampiamente. Nel primo dopoguerra, però, due grandi elementi di novità turbarono oltremodo la classe dirigente, spingendola verso una radicalizzazione senza limiti del contenimento sociale: l’ascesa delle masse, difficilmente contenibile con le prospettive di ministerializzazione del Psi più volte offerte da Giolitti o col graduale ampliamento dell’elettorato attivo, e l’eco della rivoluzione bolscevica, che dal 1917 al 1920 favorì uno scivolamento a sinistra degli equilibri interni al Psi, ove la corrente riformista si trovò sempre più in minoranza.
Il rafforzamento dell’ala massimalista, l’emergere dei consigli fabbrica, uniti al rafforzamento della Cgil -che alla fine del conflitto poteva contare quasi due milioni di iscritti- favorirono tra il 1919 e il 1920 l’esplodere del malcontento popolare, che si manifestò in scioperi, manifestazioni, moti e occupazioni continue, sebbene non sempre diretti dagli organi politici e sindacali. Incapace di proporre soluzioni politiche adeguate e pressata dalle forze produttive, agrarie e industriali, la classe dirigente preferì enfatizzare il “pericolo rosso” e offrire aiuti e coperture di ogni sorta al fascismo, che dal 1919 al 1922, senza soluzione di continuità, venne lasciato libero di imperversare sul territorio e di radere al suolo tutte le strutture dell’associazionismo socialista, repubblicano e popolare. La complicità con cui i governi sostennero e tollerarono la violenza squadrista, fino a perderne completamente il controllo, è di certo la ragione principale che condusse l’Italia nelle braccia del duce.
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