Economia / Opinioni
Continuità con Draghi, poco debito ed elogio dell’evasione: la “manovra” Meloni
La proposta del governo è insufficiente di fronte all’imponenza dell’inflazione e non c’è traccia di provvedimenti per regolare diversamente il prezzo dell’energia. Mentre si abbassano le tasse a chi non le ha pagate o ne paga poche. Come si finanzierà la spesa sociale strutturale? L’analisi di Alessandro Volpi
La legge di Bilancio presentata in Consiglio dei ministri martedì 22 novembre 2022 contiene due aspetti centrali. In primo luogo manifesta una forte continuità con il Governo Draghi, come del resto emerge dalla nota stessa preparata dall’esecutivo Meloni che fa riferimento esplicito a un approccio “prudente e realista” e “sostenibile per la finanza pubblica”.
Dunque lo sforamento del deficit viene portato al 4,5%, d’accordo con la Commissione europea e in linea con quanto aveva già negoziato Mario Draghi. Proprio da tale sforamento emergono i 20 miliardi di euro di nuovo debito possibile che servono a finanziare larga parte dei 35 miliardi complessivi della manovra. La continuità con la linea Draghi emerge anche dalla destinazione di ben 21 dei 35 miliardi in questione a misure di contenimento del caro bollette, concepite di fatto nelle medesime forme in cui le aveva varate l’ex presidente della Bce: congelamento degli oneri di sistema, credito d’imposta e sussidi.
Non compare invece alcuna misura per cercare di contenere l’ondata speculativa sui prezzi energetici, che rappresenta la vera matrice del caro bollette, non c’è traccia di provvedimenti per regolare diversamente la determinazione del prezzo dell’energia e l’aumento dell’aliquota sugli extra-profitti non avrà effetti sul gettito perché calcolata sugli utili e non più sul fatturato. Anche la riduzione del cuneo fiscale, nelle dimensioni in cui è stata pensata, appartiene all’armamentario degli strumenti preparati da Draghi, presentando una comune attenzione a non creare extra-deficit o sforamenti, molto distante dai famosi shock positivi che, secondo quanto promesso in campagna elettorale, avrebbe dovuto generare.
In quest’ottica, la legge di Bilancio è insufficiente nei numeri, di fronte all’imponenza dell’inflazione (si pensi solo ai tre miliardi di euro per tutto il comparto enti locali, quando già è nota una maggior spesa energetica per le strutture sanitarie per 1,7 miliardi) e ha come obiettivo quello di “tranquillizzare” i mercati ben sapendo che il Tesoro dovrà presto tornare a fare raccolta di risorse proprio per compensare le troppe carenze della legge di Bilancio. In estrema sintesi, da una simile prospettiva siamo nell’ambito di una visione quasi “montiana” e certamente mercatista.
Il secondo aspetto, invece, è profondamente innovativo rispetto a Draghi e si collega a una tradizionale tendenza della destra italiana. La legge e il modo in cui è stata presentata manifestano una sostanziale avversione al fisco, considerato il primo nemico dei cittadini sottoposti a una costante guerra. Dopo che è stata discussa una sanatoria per il rientro dei capitali dall’estero, da cui si è stimato un gettito monstre di cinque miliardi, sono state introdotte la rottamazione di una quantità infinita di cartelle esattoriali, la flat tax al 15% per gli autonomi fino a 85mila euro e quella incrementale fino a 40mila euro. In sintesi meno tasse per chi non le ha pagate o ne paga poche, secondo quanto ci dicono le statistiche ufficiali. Peraltro la flat tax del 15% per le partite Iva con fatturato fino a 85mila euro fa sì che i maggiori beneficiari saranno proprio coloro che raggiungono gli 85mila euro perché avranno uno sconto fiscale di 22.500 euro: un’imposta ben poco piatta, quindi.
Viene da chiedersi come si finanzierà la spesa sociale strutturale, una volta esaurito il magro gettito dei condoni e di fronte a un’ulteriore spinta all’evasione, proveniente proprio dalle “tregue” fiscali. E come si manterrà fede all’articolo 53 della Costituzione che prevede una progressività finalizzata anche a favorire meccanismi redistributivi.
È indubbio che in Italia esiste un “partito” che considera le imposte un’appropriazione indebita a opera del pubblico e che però chiede di andare in pensione prima, magari con risorse pubbliche. Sulle pensioni, tuttavia, la legge di Bilancio mette davvero poche risorse così come tutta ideologica e ben poco orientata a recuperare copertura appare anche la gridata cancellazione del reddito di cittadinanza, per ora sbandierata come una sorta di dovere morale, ma, intanto rinviata. Certo mettere insieme il rigore di Draghi e la guerra al fisco di Salvini risulta molto complesso. La legge di Bilancio finisce per essere così un atto che assomiglia più al Milleproproghe che a uno strumento adeguato per un governo “orgoglioso” di definirsi politico.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
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