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Con le lenti dell’ecologia si vede subito l’inganno dell’autonomia differenziata
Se c’è una cosa che in questi anni è stata erosa fino a scomparire in molte parti del Paese è proprio ciò su cui i padri costituenti avevano investito: la cooperazione. Ma guardiamo suolo e piante, propone Paolo Pileri: collaborano simbioticamente e nessuno dei due vuole imporre sull’altro una sciagurata “autonomia”
Dei disastri e delle contraddizioni ambientali ed ecologiche che può produrre l’indicibile proposta dell’autonomia differenziata ho già provato a dire. C’è un altro punto di vista da porre in questo dibattito aperto da Altreconomia: quello degli effetti culturali. Di impulso l’ho sempre respinta, da qualunque parte arrivasse, sentendola impropria al mio pensiero. Ma l’impulso non basta: abbiamo necessità di prendere le distanze dalle emozioni che condizionano e tolgono cittadinanza al ragionamento, del quale invece abbiamo enorme bisogno perché è il ragionamento che potrebbe produrre argomentazioni che demoliscono quella proposta.
Allora mi sono chiesto: abbiamo davvero bisogno dell’autonomia? È una questione che ci aiuta a progredire, culturalmente parlando? Mi paiono domande sensate, sebbene sembri che una ampia parte del dibattito preferisca polarizzarsi attorno a tecnicismi giuridici (che non pratico) e a prese di posizione ideologiche che, come tali, toccano orgogli ed emotività di ognuno piuttosto che la razionalità. In questa morsa la ragione soffoca. Se allora prendessimo un po’ di distanza dalle emozioni e vedessimo le cose da più lontano, non credo faticheremmo a riconoscere che se c’è una cosa che in questi anni si è erosa fino a scomparire del tutto in molte parti del nostro Paese è proprio ciò su cui i padri costituenti avevano investito molto: la cooperazione.
Una cooperazione declinata sotto varie forme: solidarietà, uguaglianza, pari accessibilità all’educazione e alle cure, rimozione degli ostacoli che bloccano alcuni a favore di altri, tutela degli ecosistemi, dovere sociale anche per chi è proprietario esclusivo di qualcosa e così via. In questi decenni, in assenza di un saggio e indipendente controllo, l’avido modello consumistico ha dominato la scena sfoderando i suoi peggiori vizi e le sue più acute avidità con le quali ci ha abituato al peggio ovvero a competere su qualsiasi cosa e sempre più. Vincere, vincere vincere e solo vincere. Questo conta, il resto è noia.
E così poco alla volta (ma spesso anche rapidamente), addio solidarietà, cooperazione, coordinamenti. Le differenze in una manciata di anni sono diventate occasioni per erigere confini e non per cercare nuove complementarità. Potremmo leggere in quest’ottica la questione delle migrazioni. Perfino la recente denominazione del ministero dell’Istruzione in ministero del “merito” è un sottolineare il valore delle differenze come qualcosa di competitivo ed esclusivo: l’inutile orgoglio di un’istituzione che sulla carta è a disposizione di chi ha merito, non di chi viene secondo o terzo o ultimo (l’esatto contrario del predicato da un educatore quale don Lorenzo Milani).
L’offerta dei finanziamenti pubblici allora diviene competitiva fino alla nausea, trasformando i Comuni in antagonisti su tutto e trasformando i tecnici in campioni in click day o rastrellatori di qualunque bando, perché conta incassare e non capire che cosa veramente serve alla gente e al territorio. Ci serve marcare queste differenze elevandole a barriere? Ci servono Comuni sempre più isolati? È utile la frammentazione amministrativa fatta di sindaci che non si parlano tra loro? Ovviamente no. Ci servono le differenze, non ci servono le autonomie.
Le differenze sono fondamentali e ci salvano, come insegna la biodiversità, purché ci si prenda cura del contesto in cui possono dare il meglio. Ci servono le differenze collaboranti e non quelle rese autonome le une dalle altre, armate e allenate a ferirsi. Dove imparare che la cooperazione funziona e le differenze autonomizzate falliscono? Se abbassassimo lo sguardo della nostra supponenza politica verso terra (humilitas e quindi humus) potremmo imparare molto dal suolo.
In appena trenta centimetri di terra vivono miliardi di esseri viventi, tutti diversi tra loro: batteri, funghi, alghe, artropodi, insetti, molluschi e via dicendo. Nessuno di loro si sogna e si è mai sognato l’ammutinamento differenziato. Nessuno si azzarda a proporre di separarsi dagli altri, semplicemente perché sa bene che questo darebbe inizio della sua fine. Là sotto è tutto un collaborare, un cooperare, un riconoscere i ruoli e i talenti degli altri, un fare buoni accordi tra soggetti enormemente diversi.
Osserviamo più da vicino quello che fanno i batteri micorrizici: si sono accordati con le radici degli alberi per cedere quei nutrienti che solo loro sono in grado di catturare negli anfratti del suolo e rendere commestibili alle piante. Per questo servizio chiedono in cambio glucosio (molecola fatta di carbonio) che a loro volta le piante preparano attraverso la sintesi clorofilliana. È una cooperazione vincente per tutti, altro che autonomia delle differenze: le piante assorbono anidride carbonica dall’atmosfera (e così ne riducono la quantità in atmosfera, a vantaggio del clima), usano energia solare per separare in due la molecola di CO2, buttano via per nostra fortuna l’ossigeno, usano parte del carbonio per se stesse e cedono il resto ai batteri micorrizici sotto forma di glucosio. Senza questo accordo collaborativo, le piante morirebbero così come il suolo e i batteri micorrizici. E molta CO2 tornerebbe in atmosfera scaldando il Pianeta. Suolo e piante, collaborano simbioticamente e nessuno dei due vuole una autonomia sbandierando le proprie differenze come più importanti.
Non voglio annoiare nessuno con le mie lezioni scientifiche imperfette. Servono solo a far vedere che se mettiamo gli occhiali dell’ecologia vediamo subito l’inganno della proposta per un’autonomia differenziata. Noi dobbiamo lavorare alla composizione delle differenze e non alla loro separazione. Se le differenze non si coagulano in nulla, a che servono? Abbiamo bisogno di concerti e sinfonie in questo logorato Paese rovinato da mediocri chitarristi che si credono David Knopfler dei Dire Straits quando sanno appena strimpellare qualche accordo. Le differenze esistono per fare grande musica, per trasformare due debolezze in una forza e non per far fuggire i più avvantaggiati con il bottino. Men che meno se i più avvantaggiati lo sono grazie a un passato durante il quale hanno estratto le loro fortune dai meno avvantaggiati (il Nord dal Sud). Questo è ancor più inconcepibile.
Per tornare alla sciagurata questione della autonomia differenziata, credo davvero che proprio non abbia senso parlarne. La questione non ha fondamento di esistere perché non vi sono argomenti a sorreggerlo, se non l’egoismo (che non è un argomento, ma un sentimento sinistro). Il guaio, temo, è che già accettare di parlarne sotto il profilo tecnico equivalga in qualche modo a prendere atto che la cosa prima o poi arriverà. E io non voglio questo. La proposta va respinta perché è culturalmente indecente e ragionevolmente irricevibile. È un tema divisivo di cui non abbiamo bisogno. È un tema elefantiaco e sgraziato che nella cristalleria dei valori civili infrange tutto solo per il fatto di esserci finito dentro.
È una questione che distrae la gente dallo sforzo di trovare incessantemente accordi per far collaborare le differenze: questo dobbiamo insegnare. La sciagura culturale dell’autonomia differenziata aiuterà due vicini di casa a conoscersi meglio? Il solo parlare di autonomia differenziata in un Paese lacerato, genererà persone migliori? Più aperte al dialogo intergenerazionale e interculturale? Qualcuno lo può dimostrare? Credo che vi siano argomenti solidi per dire che tutto questo è solo inopportuno e folle. Un virus che ci farà ammalare.
Credo che nell’agenda pubblica si sarebbe potuto, più ragionevolmente, fare spazio a riflessioni su cooperazione, collaborazione e buone simbiosi. Lo dico alla Lega, alla destra. Lo dico al centro come a quella sinistra egoista e ricca che si arrampica sugli specchi dell’avidità per cercare di convincerci, senza vere ragioni, che esiste una autonomia differenziata buona: falso. Alla fine, se ci pensiamo bene, è solo il capriccio della Lega e dei suoi sodali che vogliono mostrare a loro stessi e ai loro elettori che quando promettono delle cose, solitamente le peggiori, devono farle. Un po’ come il marinaio che non si adopera per evitare il naufragio in corso dal momento che la nave non è sua e ha giurato fin dall’inizio che non avrebbe aiutato, quindi meglio continuare a dormire: Piero Calamandrei usava quest’immagine per spiegare che la Costituzione non si salva a colpi di egoismi ma di slanci collaborativi. Su quella nave ci siamo tutti noi e non possiamo appisolarci. I costi culturali -ancor prima che sociali e ambientali di quella proposta indecente- sono spropositati e incalcolabili, produrranno disastri incancellabili ed eleveranno l’egoismo a pilastro culturale. E questo è un costo altissimo, forse il più alto. Occorre quindi respingere al mittente: respingere, respingere e ancora respingere usando la forza della testa e non quella della pancia.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)
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