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Diritti / Opinioni

Perché il “disegno di legge Calderoli” è un progetto contro la Costituzione

© Tatiana Rodriguez - Unsplash

L’autonomia differenziata voluta dal governo aumenterà le diseguaglianze territoriali e sociali. E se a questa ulteriore verticalizzazione del potere dovesse accompagnarsi una riforma in senso presidenzialista -spiega la costituzionalista Alessandra Algostino-, la democrazia disegnata dalla Carta ne uscirebbe neutralizzata

L’autonomia non è contro la Costituzione in sé ma lo è la sua declinazione come autonomia differenziata nel nome della “secessione dei ricchi”. L’autonomia è sancita fra i principi fondamentali della Costituzione (art. 5) in stretta connessione con principi quali democrazia, sovranità popolare, uguaglianza, solidarietà. Essa è impregnata di tali principi e il riferimento all’unità, sempre nell’art. 5 Cost., ribadisce la sua inclusione in un comune orizzonte incardinato intorno alla dignità, ai diritti, all’emancipazione: non è contro, ma parte dell’unità nazionale; è un elemento di democrazia.

L’autonomia declinata nell’art. 5 come locale evidenzia il senso di una prossimità vista come garanzia, attraverso la vicinanza e l’effettività, di concretizzazione dei diritti, in armonia e al servizio del progetto costituzionale di uguaglianza sostanziale (il fulcro della Costituzione, ovvero, l’art. 3, c. 2). È un’autonomia -quella costituzionale- che esprime un’idea di territorio come luogo vissuto, spazio di riconoscimento della pari dignità sociale, di esercizio dei diritti, di soddisfazione dei bisogni. Attraverso l’autonomia passano il pluralismo, la sovranità come appartenente al popolo e intrinsecamente plurale, la valorizzazione della partecipazione (quale essenza della democrazia), la limitazione del potere.

In altri termini possiamo rilevare come l’autonomia si inserisca armonicamente nel progetto di garanzia dei diritti su base di uguaglianza e nella costruzione dello Stato sociale. In questo contesto l’autonomia declinata come differenziata si pone come elemento di rottura: contrasta con i principi di uguaglianza e solidarietà in quanto volano di diseguaglianze territoriali e sociali.

L’autonomia differenziata viene introdotta nel nostro ordinamento con la -pessima- riforma del Titolo V (legge cost. n. 3 del 2001), all’art. 116, c. 3, segnando il passaggio da un regionalismo solidarista a un regionalismo competitivo. La norma, come novellata nel 2001, prevede che alle Regioni a statuto ordinario possano essere riconosciute “ulteriori” competenze (normative e amministrative) in materie spettanti allo Stato. È un elenco consistente che comprende tutte le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 (l’ambito della cosiddetta legislazione concorrente) e altresì alcune materie proprie della potestà legislativa esclusiva statale (art. 117, c. 2, lett. l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s)). Si ragiona di ambiti come: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, comprese le norme generali; ricerca scientifica e tecnologica; tutela della salute; ordinamento sportivo; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; organizzazione della giustizia di pace.

Si ragiona di diritti fondamentali; di diritti, come istruzione e salute, cardine della concretizzazione del “pieno sviluppo della persona umana”; di diritti che devono essere garantiti in modo eguale sul territorio nazionale. In tutte le materie indicate (o solo per alcune di esse), l’art. 116, c. 3, Cost., prevede che la Regione possa, sentiti gli enti locali, chiedere l’attribuzione delle competenze attraverso un’intesa con lo Stato approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti.

Il disegno di legge Calderoli: nel segno dell’esautoramento del Parlamento 

Al procedimento di cui all’art 116, c. 3, Cost., si sovrappone il “disegno di legge Calderoli” approvato dal Consiglio dei ministri il 2 febbraio 2023. “Si sovrappone” nel senso che Regioni e Stato potrebbero in ogni caso stipulare un’intesa seguendo il procedimento dell’art. 116, c. 3, Cost., e nel senso che, anche ove il progetto Calderoli divenisse legge, ad esso potrebbe derogarsi (rispettando solo quanto prescritto dalla norma costituzionale). Il disegno di legge Calderoli, infatti, anche ove completasse l’iter ed entrasse in vigore, resta un atto con forza di legge, come tale abrogabile e modificabile attraverso un’altra legge dotata della stessa forza (il discorso sarebbe diverso solo ove venisse adottata, per stabilire il procedimento, una legge costituzionale).

Ora, la proposta Calderoli prevede, all’art. 2, un complesso procedimento, su iniziativa della Regione, scadenzato da termini, che contempla vari passaggi, al fine di determinare uno schema di intesa preliminare, oggetto di interlocuzioni con la Conferenza unificata (Stato, Regioni ed enti locali) e con il Parlamento, per giungere infine ad uno schema definitivo di intesa. Si noti come le Camere siano chiamate ad esprimersi attraverso i propri “competenti organi” con atti di indirizzo, entro sessanta giorni, con la precisazione che il presidente del Consiglio (o il ministro per gli Affari regionali e le autonomie) predispone quindi lo schema definitivo “sulla base” (solo sulla base, ndr) degli atti di indirizzo e fermo restando che decorso il termine di sessanta giorni può procedere senza che il Parlamento si sia pronunciato. L’organo sede della rappresentanza e espressione della sovranità popolare è relegato al ruolo di interlocutore consultivo eventuale.

Lo schema definitivo è approvato dalla Regione (secondo le modalità e le forme stabilite dalla Regione stessa) e, quindi, deliberato dal Consiglio dei ministri, contestualmente a un disegno di legge di approvazione dell’intesa, immediatamente trasmesso alle Camere per la deliberazione. L’intesa, “dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri, è immediatamente sottoscritta dal presidente del Consiglio dei ministri e dal presidente della Giunta regionale”.

Quali sono i margini di intervento del Parlamento a fronte di un’intesa presumibilmente già sottoscritta (anche letteralmente il comma 7 che prevede l’immediata sottoscrizione precede il comma 8 che stabilisce l’immediata trasmissione alle Camere) e, in ogni caso, giunta al termine della negoziazione? Facile immaginare che il ruolo si riduca ad una mera ratifica.

Sintetizzando, dal procedimento delineato nel disegno di legge Calderoli emergono: a) un ruolo chiave degli esecutivi, statali e regionali, e in specie dei loro vertici monocratici, presidente del Consiglio (e in subordine ministro per gli Affari regionali e le autonomie) e presidente della Giunta; b) una marginalizzazione dei consigli regionali e, in particolare, del Parlamento; c) una estromissione delle opposizioni nonché della discussione e mediazione politica.

Nihil sub soli novum: verticalizzazione del potere ed esautoramento del Parlamento sono due coordinate costanti del processo di metamorfosi di fatto della forma di governo (in contrasto con la centralità del Parlamento sancita dalla Costituzione) e di presidenzializzazione della politica (ovvero di estromissione della politica intesa come discussione tra visioni del mondo plurali).

I Lep (livelli essenziali delle prestazioni) tra vincoli di bilancio e diseguaglianze

Altro capitolo scottante dell’autonomia differenziata riguarda i Lep (livelli essenziali delle prestazioni). La legge di bilancio 2023 (art. 1, commi da 791 a 801, legge 29 dicembre 2022, n. 197) e il disegno di legge Calderoli (art. 3) stabiliscono una serie di passaggi, che vedono l’intervento della Commissione tecnica per i fabbisogni standard e della Cabina di regia (composta da membri del governo e da rappresentanti di Regioni, Province e Comuni) quali organi che determinano i Lep; l’acquisizione dell’“intesa della Conferenza unificata”; il parere delle Camere entro 45 giorni o il decorrere di tale termine; l’approvazione con decreto del presidente del Consiglio dei ministri (gli ormai noti Dpcm).

I nodi critici sono: esautoramento del Parlamento; violazione della riserva di legge nella determinazione dei Lep ex art. 117, c. 2, lett. m), Cost., e in quanto i diritti sono oggetto di riserva di legge; approccio tecnico ad una materia ad alto profilo politico; verticalizzazione e amministrativizzazione della decisione.

Quanto al contenuto, quando si determinano i Lep, e le relative risorse, il paradigma deve essere la garanzia dei diritti, su un piano di effettività. Ne consegue che, come affermato dalla Corte costituzionale (sent. n. 275 del 2016): “È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”. Nella legge di Bilancio, invece, dominano i riferimenti al “rispetto degli equilibri di finanza pubblica”, alla “ricognizione della spesa storica”, agli “stanziamenti di bilancio a legislazione vigente”.

Non solo. Occorre certamente rendere i Lep ricchi di contenuto, abbandonare la spesa storica e la cappa dell’equilibrio di bilancio, evitare che la determinazione sia rimessa a regolamentazioni secondarie, ma occorre altresì riflettere sull’esistenza stessa dei Lep. Il rischio -invero già concretizzatosi con l’autonomia “ordinaria”- è che stabilire i livelli essenziali delle prestazioni non sia una forma di tutela dei diritti ma un modo per non garantire più quanto non è definito essenziale. I Lep, detto altrimenti, si prestano ad uno svuotamento dei diritti, a giustificare la dismissione di una loro tutela piena ed effettiva.

Quale democrazia?

La devoluzione di competenze con l’autonomia differenziata, oltre a produrre diseguaglianze, a essere in contrasto con il principio di solidarietà, apre (ulteriormente) le porte ad un processo di privatizzazione e aziendalizzazione. Si differenzia, si definanzia, si individua un minimo comun denominatore sempre più esiguo, si affianca, fino a sostituirlo, il privato al pubblico: nuovi mercati e profitti per i soggetti privati e regressione e incremento delle diseguaglianze nella tutela dei diritti per i cittadini.

Con l’autonomia differenziata incrementeranno, attraverso un procedimento nel segno della verticalizzazione del potere, in modo esponenziale e intersezionale, le diseguaglianze territoriali e sociali. Se poi all’autonomia differenziata dovesse accompagnarsi una riforma in senso presidenzialista, difficile non ragionare di neutralizzazione della democrazia disegnata dalla Costituzione, nei sui profili politici, economici e sociali.

In questione è la giustizia sociale, il progetto di emancipazione, il modello di democrazia. Siamo già in una democrazia svuotata, asfittica, dominata dai paradigmi neoliberisti (privatizzazione, liberalizzazione, meritocrazia, competitività), autoritaria verso chi agisce il conflitto: il progetto di autonomia differenziata è un passo oltre nella distruzione di una democrazia emancipante e sociale. Non è una questione astratta, si tratta della concretezza di diritti come salute e istruzione per garantire il pieno sviluppo di tutti. Che fare? Opporsi, costruire un fronte unico, suscitare dibattito, muovendo dai bisogni concreti, dalla materialità di diritti che con la devoluzione si tramuteranno sempre di più in privilegi, alimentando il circolo vizioso della diseguaglianza.

Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale nell’Università di Torino, studia da sempre i temi dei diritti fondamentali e delle forme di partecipazione politica e di democrazia diretta.

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